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Covid. Questa ondata non se l’aspettava nessuno ma in autunno sì, eppure non ci stiamo ancora preparando a fronteggiarla

di Cesare Fassari

La ricetta sul cosa sarebbe bene fare per non tornare in emergenza è la stessa che proponemmo a febbraio: vaccini obbligatori per il Covid pianificando per tempo la campagna autunnale, senza dover ricominciare a rincorrere gli italiani reticenti e creazione di una rete di emergenza sanitaria dedicata al Covid e ad altri potenziali nuovi virus pandemici  con ospedali ed equipe territoriali dedicati

28 GIU -

Questa ondata estiva non se l’aspettava nessuno. Eppure è arrivata con un crescendo di nuovi casi, molte anche le reinfezioni, e con preoccupanti segnali di ripresa dei ricoveri e delle terapie intensive.

Nei pronti soccorso si cominciano a registrare sempre più accessi Covid e se per il momento il sistema ospedaliero è ancora in grado di tenere botta il rischio è che a breve potremmo avere problemi nel ricoverare persone positive perché in molti ospedali i reparti Covid sono stati ridimensionati o smantellati del tutto.

Quanto sta accadendo ora, lo ripeto con numeri non previsti da nessuno, è una certezza che si ripeterà in autunno con numeri probabilmente ancora peggiori perché a quel punto la protezione dei vaccini sarà ormai alquanto ridotta anche per chi ha fatto la terza dose.

Eppure, salvo qualche blanda dichiarazione di intenti sull’avvio di una nuova campagna vaccinale - per altro senza avere ancora deciso a chi fare il vaccino (a tutti, solo agli over 50/60 e fragili?) e dove somministrarli (Hub vaccinali o solo Mmg e farmacie?) – nulla è stato programmato per gestire l’eventuale (ma molto probabile) nuova ondata di ricoveri Covid.

Mesi fa, da queste colonne, provammo a lanciare un sasso (era fine febbraio) per ricordare che l’uscita del Covid dalle prime pagine non voleva dire che il virus fosse scomparso e che probabilmente in autunno sarebbe tornato a colpire e che sarebbe stato bene prepararci per tempo.

Ora, che abbiamo anche fatto l’esperienza della prima ondata estiva, la ricetta sul cosa sarebbe bene fare per non tornare in emergenza è la stessa che proponemmo a febbraio: vaccini obbligatori per il Covid, pianificando per tempo la campagna autunnale, senza dover ricominciare a rincorrere gli italiani reticenti (e fidatevi sono in aumento e proprio per il fatto di non aver avuto la saggezza politica e la convinzione clinica di rendere obbligatorio questo vaccino), e creazione di una rete di emergenza sanitaria dedicata al Covid e ad altri potenziali nuovi virus pandemici (che tutti gli scienziati affermano essere prima o poi in arrivo) con ospedali ed equipe territoriali dedicati.

Non stiamo parlando di costruire cattedrali nel deserto ma di programmare strutture e servizi agili, attivabili al bisogno, come del resto sottolineava sempre mesi fa un grande clinico come Sergio Harari: “La sanità e soprattutto gli ospedali – scriveva il 17 gennaio scorso sul Corriere della Sera - devono attrezzarsi per un nuovo scenario, nel quale poter gestire i pazienti con problemi chirurgici e internistici positivi al virus senza ritardarne diagnosi e terapie e senza rallentare le altre attività. In parallelo ci saranno reparti di malattie infettive, pneumologia, medicina interna, terapia intensiva, dedicati alla cura di chi ha la malattia causata da SARS CoV-2”.

 
“Non è impossibile farlo – spiegava il professore - anche se richiede un ripensamento delle nostre strutture ospedaliere ma in questi due anni abbiamo imparato molto: bisogna prevedere stanze a pressione negativa in tutti i reparti di degenza (è una modalità di ventilazione dell’aria che riduce il rischio infettivo e si usa già in molte situazioni, come quando si ricoverano pazienti con tubercolosi polmonare), studiare percorsi distinti «sporco e pulito», fare lavorare le camere operatorie e i servizi (radiologie, endoscopie, ecc.) con slot di orari distinti per tipi di pazienti, e così via”.
 
“Nel prossimo futuro – conclude Harari - dovremo immaginare ospedali architettonicamente studiati per far fronte a queste situazioni e che possano essere rapidamente convertiti, così come un po’ empiricamente abbiamo fatto nei mesi passati facendo spesso di necessità virtù”.

A questa rete d’emergenza ospedaliera si dovrà accompagnare una altrettanto ben strutturata rete territoriale che in realtà abbiamo già, anche se dal 30 giugno dovrebbe essere smantellata, mi riferisco alle Usca la cui esperienza sarebbe assurdo non valorizzare e mantenere in vita considerando che per l’appunto la pandemia è tutt’altro che finita.

Qualcuno ascolterà questo ennesimo suggerimento? Al momento ne dubito ma la “Speranza” è l’ultima a morire.

Cesare Fassari

 



28 giugno 2022
© Riproduzione riservata


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