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Cure primarie. Portogallo vs Italia, sistemi a confronto

di O. Mancin, L. Viotto

In Portogallo nel 2006 nell’ambito di un rinnovamento del sistema sanitario nazionale, sono sorte le prime Unità di Salute Familiare (USF) che hanno come scopo quello di erogare cure primarie alla popolazione di un determinato territorio. Un modello vincente a cui dovrebbero ispirarsi le future case di comunità

16 GEN -

A 45 anni dalla sua nascita, il nostro SSN è visibilmente in crisi e la pandemia di COVID 19 ha fatto emergere molti dei suoi punti deboli ,fra questi l’assistenza delle cure primarie che ha urgente bisogno di una riforma che la renda sostenibile e più corrispondente ai bisogni attuali di salute.

Diverse sono le proposte in campo fra queste quella del gruppo di lavoro italiano della campagna PHC NOW or NEVER 2018, che nel 2021 ha pubblicato online il ”Libro Azzurro” nel quale propone un modello di cure primarie ispirato al modello portoghese.

Spinte da interesse verso quanto proposto dal Libro Azzurro abbiamo deciso di fare un’esperienza sul campo a Lisbona per conoscere da vicino il loro sistema di cure primarie. Siamo due colleghe, medici di famiglia provenienti da realtà geografiche diverse (provincia di Venezia e Roma ), con esperienze di lavoro differenti ( medicina di gruppo integrata e medicina di gruppo semplice) e siamo state a Lisbona una decina di giorni , ospiti di un paio di Unità di Salute Familiare (USF).

In Portogallo nel 2006 nell’ambito di un rinnovamento del sistema sanitario nazionale, sono sorte le prime Unità di Salute Familiare (USF) che hanno come scopo quello di erogare cure primarie alla popolazione di un determinato territorio.

Questi centri garantiscono accessibilità per la popolazione (dalle 08:00 alle 20:00 dal lunedì al venerdì) e devono dimostrare, dati alla mano, di erogare la migliore assistenza sanitaria di base. Per far ciò, tutti gli anni viene stipulato per iscritto un contratto con il Distretto, dove vengono definiti obiettivi di miglioramento delle cure erogate e la metodologia per raggiungerli.

Noi abbiamo frequentato alcune USF di Lisbona centro, ognuna con un bacino di utenza per legge tra i 3.000 e i 18.000 assistiti.

Nelle USF ci lavorano vari medici di famiglia , secondo turni interni prestabiliti , con un orario settimanale massimo di 38 ore, oppure in part-time. Qui i medici di famiglia si occupano dei cittadini dai 0 ai 100 anni, della pianificazione familiare e del diabete (non ci sono i pediatri di libera scelta e neppure i consultori)

I cittadini scelgono liberamente il loro medico ma ovviamente in caso di “urgenza” saranno visti dal medico in servizio. In ogni USF oltre ai medici, lavorano infermieri , segretari clinici, un amministrativo e un assistente sociale. C’è la possibilità di consultare lo psicologo su appuntamento, settimanalmente. Gli infermieri hanno molta autonomia di lavoro: fanno i bilanci di salute dei neonati, seguono la contraccezione delle donne, seguono con il medico le donne gravide sane, oltre a occuparsi di medicazioni, vaccinazioni, controlli degli stili di vita, etc. inoltre, fanno le vaccinazioni in autonomia , anche in assenza del medico: sono loro che si recano a casa degli assistiti non trasportabili per le vaccinazioni.

All’ingresso della USF vi è sempre una “guardia giurata” che controlla le entrate e da sicuramente un senso di sicurezza agli operatori sanitari che vi lavorano.

Una volta entrati si va ai banchi dei segretari dove si può esporre la propria richiesta.

I medici, gli infermieri e i segretari clinici, lavorano strettamente in equipe. Vi è un coordinatore della USF(eletto da tutto il personale ogni 3 anni) a cui spetta il compito di organizzare l’attività; sono frequenti gli incontri periodici con il personale dell’equipe.

I dati dei pazienti sono raccolti in un sistema informatico nazionale a cui gli operatori possono accedere da ogni USF e anche dagli ospedali in modo che ogni accesso possa venire codificato e rimanere segnato per essere visualizzato da ognuno. Il sistema informatico, più avanzato del nostro, è in grado anche di fornire in tempo reale i dati di spesa sanitaria e di raggiungimento o meno degli obiettivi previsti per ogni singola USF.

Il carico burocratico nel lavoro medico, rispetto al nostro, è molto ridotto:

Nelle USF è prevista la frequenza degli studenti di medicina e degli specializzandi di medicina generale seguiti da tutor che per il loro compito riducono le ore di ambulatorio previste di attività settimanale e sono retribuiti a parte . Tutte le scuole di specialità in Portogallo sono gestite dal Ministero della Salute.

Tutti i lavoratori delle USF ,medici e non ,hanno un rapporto di dipendenza che garantisce a loro i diritti fondamentali dei lavoratori: ferie, malattia, assenza per maternità e paternità, infortuni.

Il medico non è mai reperibile, né disponibile, al di fuori del proprio turno di lavoro dal momento che il paziente può comunque trovare risposta dai colleghi presenti nella USF, dalle 8 alle 20 dal lunedì al venerdì. Di notte e nei festivi ci si rivolge al PS.

Vantaggi e svantaggi del sistema portoghese rispetto a quello italiano

Le USF portoghesi assomigliano molto alle Medicine di Gruppo Integrate che si sono sviluppate In Italia grazie al decreto Balduzzi e rappresentano anche il modello verso cui si vuole convergere con le Case di Comunità.

Il problema principale in Italia è che tale modello è diffuso a macchia di leopardo e che ancora troppi sono i medici che lavorano da soli , non in equipe e senza personale amministrativo e infermieristico. In Portogallo è stata fatta una riforma capillare che ha trasformato tutte le cure primarie del territorio in USF. In Italia le case di comunità previste con il PNRR sono troppo poche e ancora non è chiaro chi vi lavorerà e con quale contratto.

Il modello delle case di comunità rispetto alle USF avrebbero il vantaggio di prevedere una equipe più ampia che comprende anche gli specialisti delle discipline più affini alla medicina generale ( diabetologia, cardiologia, oncologia…) , senza contare che è prevista anche una strumentazione per la diagnosi di base ( ECG, spirometro, ecografo) che non abbiamo trovato nelle USF portoghesi. Sulla carta le nostre case di comunità prevedono anche una maggiore integrazione con il distretto per l’assistenza domiciliare e le cure palliative .

Molto positivo il modello portoghese per quanto riguarda la riduzione del carico burocratico: adeguarsi al loro modello renderebbe più snello il lavoro del mmg riportandolo finalmente a un ruolo essenzialmente clinico. Ed è proprio questo che colpisce quando entri in un ambulatorio delle USF portoghesi: i medici si occupano di clinica, visitano e fanno diagnosi, cosa ormai divenuta quasi obsoleta qui da noi oberati come siamo da una marea di richieste burocratiche.

Nei giorni in cui siamo stati nei loro ambulatori abbiamo anche notato una scarsa o nulla richiesta di visite per fatti acuti banali : riniti, mal di gola ,tosse segno evidentemente di una cultura sanitaria diversa che non porta a ricorrere al medico per eventi che spesso si risolvono da soli ( forse anche per la presenza dell’autocertificazione di malattia).

Interessantissimo il loro sistema informatico che mette in rete tutti i presidi sanitari della nazione : c’è ovviamente da dire che il Portogallo è un Paese piccolo che conta 10 milioni di abitanti e quindi non è facilmente confrontabile con l’Italia , ma di sicuro portare a compimento il progetto Fascicolo sanitario elettronico, sarebbe basilare per un sistema di cure innovativo.

Molto interessante l’autonomia del personale infermieristico che ha un ruolo fondamentale di supporto e di integrazione con il lavoro del medico. Sarebbe utile valutare anche da noi un maggior spazio di autonomia per gli infermieri specie nel futuro ruolo di infermieri di “famiglia”.

Il personale amministrativo delle USF è essenziale per lo svolgimento di tutta l’attività; nessuno ha accesso diretto al medico , tutto passa attraverso il filtro delle segretarie. Anche questo è un dato rilevante. Gran parte del nostro tempo lo passiamo a rispondere a pazienti che ci chiamano a tutte le ore, mandano messaggi o email: tutto questo in Portogallo non esiste perché tutto viene filtrato dalla segreteria.

I medici lavorano con un rapporto di dipendenza anche se viene mantenuta per il paziente la possibilità di scegliere il medico.

I medici sono pagati a quota oraria venendo stabilito a quanti pazienti ammonta un’ora di lavoro. Normalmente i colleghi portoghesi hanno al massimo, come noi, 1500-1800 pazienti. Chi fa il tutor riduce le ore di attività ambulatoriale come pure chi fa il coordinatore ed ha indennità in merito.

Questo tipo di contratto garantisce al medico le tutele fondamentali del lavoro dipendente ( malattia, ferie, infortuni, paternità e maternità) e permette di svolgere un lavoro clinico, di ricerca e didattico.

Il colleghi portoghesi affermano che la dipendenza non pesa come avessero un capo che controlla perché ogni USF è autonoma nella gestione e il controllo è annuale: se non si raggiungono gli obiettivi la USF scende di grado e con questo anche gli stipendi, per cui è interesse di tutta l’equipe a far funzionare le cose.

Come dicevamo il modello portoghese per molti aspetti è simile alle nostre MGI e alle future case di comunità. Colpisce favorevolmente la capacità di lavorare in equipe e la buona integrazione fra le varie figure professionale ( cosa che appare ancora lontana da noi). A nostro avviso è un modello vincente a cui dovrebbero ispirarsi le future case di comunità. La difficoltà principale in Italia è l’esistenza di 20 sistemi regionali sanitari che rende estremamente eterogenea l’erogazione delle cure e che tenderà ad aumentare il divario già esistente se si attuerà l’autonomia differenziata.

Oltre a ciò la contrattazione per fare entrare i medici di famiglia nelle future case di comunità è solo agli albori e fortemente in salita e non c’è traccia di una rivisitazione di tutto il sistema delle cure primarie a nostro avviso necessario per dare un impulso innovativo di miglioramento dell’assistenza sanitaria di base e di integrazione con l’ospedale. I medici devono entrare stabilmente nelle CdC non effettuare servizi “ a ore” che attualmente sono mal definiti nella pratica e nello scopo.

Il progetto delle case di comunità così come è stato presentato sembra il fiorire di Cattedrali nel deserto, perché se non vi entreranno i medici di famiglia e i pls non avranno alcun senso ( come già si sta verificando in alcune parti di Italia)

La sfida è di coinvolgere la medicina di famiglia in un nuovo modello di cure condiviso che ridia valore alla clinica e al bene della comunità. Il tutto può avvenire inizialmente anche mantenendo il rapporto di convenzione ( almeno per chi vuole ed è a fine carriera ) perché non pare determinante al fine dell’organizzazione del lavoro: determinante semmai è garantire i diritti del lavoratore almeno per quanto riguarda ferie e malattia.

Di sicuro è necessario creare un modello di cure primarie che lavori in equipe con personale amministrativo e infermieristico e possibilmente con l’integrazione con gli specialisti; è fondamentale garantire una apertura 12 ore al di ( possibile solo in un lavoro di equipe) ed è ormai inderogabile ridurre il carico burocratico che sta soffocando il nostro essere medici.

I nostri professionisti sono equiparabili a quelli portoghesi; a loro va dato atto che hanno saputo dotarsi di una organizzazione che in Italia trova ancora molte resistenze.

Ornella Mancin
Mmg provincia di Venezia
Laura Viotto
Mmg Roma



16 gennaio 2024
© Riproduzione riservata


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