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Importanzioni parallele di farmaci. Schito (Assofarm): “Legittime, ma lesive”. Dall’Italia parte circa 1/3 del parallel trade europeo


Il vicepresidente di Assofarm evidenzia due gravi effetti del mercato parallelo, disciplinato dal principio comunitario della libera circolazione dei prodotti e dei capitali: il rischio di carenza di farmaci nei paesi esportatori e la riduzione dei profitti delle multinazionali (stimata in circa 3,5/4,5 miliardi l’anno), che si traduce in tagli alla ricerca scientifica.

07 FEB - Carenza di farmaci e mercato parallelo. Se ne è parlato a lungo in queste settimane. Del resto si tratta di un fenomeno rilevante (riguarda oggi circa il 7% del mercato farmaceutico europeo, per un valore di almeno 10 miliardi), che pur legittimo dal punto di vista normativo, comporta non poche problematiche, ad iniziare dalla mancata disponibilità di farmaci di grande importanza sanitaria nei paesi esportatori. A questo fenomeno e alle sue ricadute il vicepresidente di Assofarm, Francesco Schito, dedica l’editoriale dell’ultimo bollettino dell’associazione delle farmacie comunali.

“La ‘molla’ che fa scattare questo mercato parallelo di esportazioni-importazioni di farmaci da un paese all’altro è dato dal differenziale di prezzo di farmaci rimborsati dalle autorità pubbliche nei diversi contesti nazionali. E ciò che permette tutto ciò è ovviamente il principio comunitario della libera circolazione dei prodotti e dei capitali tra i paesi membri, così come sancito dal Trattato di Roma. Si tratta pertanto, è bene dirlo fin d’ora, di una pratica commerciale del tutto legittima. Legittimità che non può essere messa in discussione dal fatto che in questo mercato parallelo si possano registrare casi di contraffazione e falsificazione di farmaci”, spiega Schito. Che tuttavia sottolinea anche come questa legittima importazione produca “effetti collaterali non trascurabili”.

Primo fra tutti “il rischio concreto di una carenza di farmaci di grande importanza sanitaria nei paesi esportatori”. Ma non solo. “Anche le multinazionali del farmaco vedono ridotti i propri profitti in quanto i loro farmaci nei mercati più redditizi sono venduti a prezzi più bassi. Ne risulta una minore disponibilità di risorse per la ricerca scientifica”. Secondo uno studio elaborato da Fabrizio Gianfrate per conto di I-Com (Istitituto per la Competitività), questa perdita si può stimare in circa 3,5/4,5 miliardi l’anno.

“E’ invece evidente – sottolinea Schito - che chi beneficia di tale fenomeno sono non solo i grossisti dei paesi esportatori, ma tutti i cosiddetti ‘payers’ dei paesi importatori, seppure in maniera differente da un contesto nazionale all’altro: tanto la filiera distributiva, quanto i privati cittadini e i governi, che con tale strumento riescono a ridurre la propria spesa farmaceutica. Non è un caso che la maggior parte dei Governi dei paesi importatori incoraggino più o meno attivamente l’importazione parallela. Gli importatori paralleli, secondo la disanima del professor Gianfrate, sono però di gran lunga quelli che ci guadagnano di più”.

Come si posiziona il nostro paese rispetto a tutto ciò? “Dall’Italia parte circa un terzo di tutto il parallel trade europeo. Ciò – spiega Schitp - è sicuramente dovuto ai bassi prezzi imposti dal Servizio Sanitario Nazionale, ma anche dalle caratteristiche dei grossisti. Più che altrove, da noi si assiste ad un alto numero di piccole realtà dal raggio d’azione locale. Si tratta di aziende che riforniscono più volte al giorno le farmacie del proprio territorio, e che trovano il proprio modello di business nel liberare le farmacie stesse dai costi di magazzino. Peso finanziario che, sommandosi alle ridotte dimensioni del proprio mercato e ai bassissimi margini garanti dallo Stato, rendono pressoché necessaria l’apertura alle esportazioni parallele. E’ evidente che ci sono anche grandi operatori italiani che nel mercato parallelo realizzano grandi speculazioni. Come del resto non vorremmo che si dimenticasse una certa bonarietà da parte di alcune Regioni nel distribuire licenze a nuovi grossisti”.

Ma per il vicepresidente di Assofarm “alcune responsabilità individuali sono poca cosa di fronte alla complessità di problemi che generano e mantengono”. Ci troviamo infatti di fronte a “un reale danno per la salute dei cittadini europei apparentemente irrisolvibile a causa del rispetto del principio di libera circolazione dei prodotti all’interno dell’Unione”. Ma i principi sono sempre più importanti dei diritti individuali? La risposta, per Schito, è “no”.

“I farmacisti italiani – afferma il vicepresidente di Assofarm - vivono quotidianamente la frustrazione umana e professionale di non avere a disposizione i farmaci richiesti da pazienti affetti da gravi malattie. A questi farmacisti, e ancor più ai loro pazienti, non si può rispondere ‘purtroppo è un effetto del Trattato di Roma’”.

Per Schito è allora necessario “recuperare una piena coerenza con i principi ispiratori della nostra comune casa europea, dobbiamo avere la forza di non lasciare le nostre società in mano a meccanismi impersonali e incapaci alla lunga di adattare il loro funzionamento al bene comune. Non è quindi questione di trattati o di procedure d’infrazione, ma di visione e di volontà politica”.

07 febbraio 2014
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