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Esiste una “questione meridionale” anche per la sanità

di Ottavio Nicastro

Diseguaglianze, disparità di accesso, illegalità. Sono molti i fattori che fanno sì che la sanità meridionale sia anch’essa “una questione nella questione” che non può più essere evitata. E riprendendo la lettera di Saviano a Renzi, “troppe volte ho sentito dire che è ormai inutile intervenire. Che il paziente è già morto. Ma non è così. Il paziente è ancora vivo…”

30 AGO - Lo scorso 30 luglio lo SVIMEZ, ha pubblicato le anticipazioni del rapporto 2015 sull’economia del Mezzogiorno, il cui viene presentata la drammatica situazione di una realtà meridionale definita come “alla deriva”. I numeri del rapporto sono impietosi e lasciano poco spazio alle interpretazioni: il Prodotto interno lordo è calato nel Mezzogiorno dell’1,3%, dato inferiore di oltre un punto a quello rilevato nel Centro-Nord (-0,2%). L’anno precedente vi era stata una contrazione del 2,7% e dal 2007 il PIL di questa area si è ridotto del 13,0%.
 
Il quadro complessivo è quello di un Paese che la crisi ha lasciato ancora più diviso e diseguale che nel passato; e nel Mezzogiorno gli effetti negativi di tale situazione sembrano purtroppo non solo transitori ma strutturali, con la prospettiva concreta di un sottosviluppo permanente.
 
I contenuti allarmanti della relazione sono stati subito ripresi e amplificati dalla lettera aperta dello scrittore Roberto Saviano al premier Matteo Renzi, nella quale viene lanciato un grido di allarme su un Sud arrivato al “game over” e si esorta all’azione immediata e al “fare presto”, sottolineando che “agire domani potrebbe essere già tardi”.
 
In effetti il tema che è stato messo sul campo è quello centrale delle politiche per lo sviluppo; e come afferma lo stesso rapporto SVIMEZ, il ruolo delle politiche risulta fondamentale per ridare fiato alla crescita dell’economia meridionale. Come viene evidenziato, la riduzione degli investimenti ha avuto un effetto negativo; la contrazione della spesa pubblica e le politiche in campo scolastico, dei trasporti e della sanità hanno agito sfavorevolmente per il Mezzogiorno, si afferma nel documento.
 
Tra le righe dell’analisi, compare dunque anche il riferimento alla sanità, un tema ormai negletto, una parola scomparsa da programmi e agende varie, se non per evocare la necessità di tagli risanatori. Eppure dalla Sanità e, in termini decisamente più ampi, dalla Salute passa il futuro del nostro Paese; e rilievi di seria preoccupazione su tali questioni sono stati a più riprese avanzati da diversi autorevoli soggetti, sia di natura tecnica che politica.
 
Ricordo ancora il titolo, un ossimoro quasi provocatorio, di un commento al numero monografico di Epidemiologia e Prevenzione dedicato alle differenze geografiche nella salute nel nostro Paese in occasione dei 150 anni dell’Unità: “L’Italia è unita dalle diseguaglianze regionali”. Diseguaglianze in salute e sanità, così evidenti da disegnare una mappa quasi sovrapponibile a quella delle cartine geopolitiche di epoca rinascimentale.
 
Più di recente il rapporto Osservasalute ha messo in evidenza, in uno scenario aggravato dalle ripercussioni della crisi economica, l’intensificarsi delle differenze tra  singole regioni e tra macroaree geografiche, con le situazioni di maggiore criticità presenti ancora una volta nel Sud Italia. Solo per fare alcuni esempi: nel triennio 2009-2011 un nato residente nel Meridione ha avuto una probabilità di morire entro il primo anno di vita 1,3 volte superiore rispetto a un nato residente al Centro e 1,4 volte superiore rispetto a uno residente al Nord. Nel 2011, in Italia il 9,4% dei parti è avvenuto in strutture con un volume di attività inferiore ai 500 parti annui, numero che non soddisfa lo standard qualitativo e di sicurezza e su questo dato risulta elevata la quota che si riferisce a molte regioni meridionali.
 
Sul tema degli screening, per la mammografia nel periodo 2010-2013, si evidenziano differenze territoriali legate alla quota di donne che aderisce ai programmi organizzati, con gradiente Nord-Sud. Lo stesso fenomeno riguarda lo screening per il tumore del colon-retto, con percentuali di copertura del 61% al Nord, 42% al Centro e 18% al Sud ed Isole. Anche sul ricorso al taglio cesareo si evidenzia il consueto gradiente Nord-Sud, che vede i valori più elevati in Campania.
 
Rispetto all’assistenza territoriale, il dato che descrive l’ospedalizzazione evitabile per diverse condizioni (complicanze a lungo termine del diabete mellito, broncopneumopatia cronico ostruttiva, insufficienza cardiaca, asma e gastroenterite in età pediatrica) risulta sempre più elevato nelle regioni meridionali. Nel 2012 il tasso di assistibili in Assistenza Domiciliare Integrata va da un valore di 1.356 per 100.000 delle regioni settentrionali, ad uno di 895 delle regioni del Centro a 788 del Sud ed Isole.
 
La “mortality amenable to health care services”, che comprende i “decessi considerati prematuri, che non dovrebbero verificarsi in presenza di cure appropriate e tempestive” e che viene considerato un indicatore per valutare la qualità e l’efficacia dei servizi sanitari, presenta nel 2011 valori significativamente superiori al dato nazionale nel Lazio e in Campania, Calabria e Sicilia.
 
Proprio sul fronte Servizi Sanitari Regionali (SSR), si registrano le valutazioni di alcuni progetti che si prefiggono di misurarne la performance. Per il CREA Sanità dell’Università di Tor Vergata, la misura della performance complessiva ottenuta considerando un valore pari a uno che rappresenta un sistema “ottimale”, va da un massimo di 0,83 della Regione Toscana ad un minimo 0,21 per la regione Campania. A cinque SSR è stato attribuito un valore inferiore a 0,5: Sardegna, Molise, Puglia, Calabria e appunto Campania. E anche il “Bersaglio” del Laboratorio Management e Sanità della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa segna molto spesso “rosso” per le regioni meridionali, confermando la estrema variabilità nazionale e lo scarto Nord-Sud Italia.
 
E intanto aumenta l’incertezza e crescono i timori dei cittadini. Secondo una recente ricerca del Censis il 63,4% degli italiani si dichiara insicuro rispetto alla copertura sanitaria futura, ma sono il 77,1% quando gli intervistati sono residenti al Sud.
 
Timori fondati se si pensa che sia secondo i dati dello stesso Censis che dell’Istat una quota sempre maggiore di cittadini deve rinunciare a prestazioni sanitarie(visite specialistiche, accertamenti diagnostici, interventi chirurgici, acquisto di farmaci) a causa di motivi economici o per carenze dell’offerta. Il dato che si riferisce all’anno 2013 mostra che al Nord la percentuale non supera in genere il 5,5% mentre nelle regioni meridionali la percentuale è invece spesso superiore al 13%.
 
Come dice Agenas per voce di Giuseppe Zuccatelli, “questi ultimi anni di esperienza di controllo della spesa nelle Regioni in Piano di rientro hanno portato a un risultato positivo nel conseguire il pareggio di bilancio, ma ci si è concentrati soprattutto sui fattori economici. In altre parole, molto sul “riequilibrio dei conti” e poco sulla “riqualificazione”. La conseguenza è stata un ulteriore divario nell’erogazione dei Lea tra le Regioni virtuose e quelle in Piano di rientro, con un rischio di deterioramento della qualità delle cure erogate”.
 
Questo significa che il rispetto dei vincoli di bilancio è stato spesso ottenuto a discapito della garanzia nell’accesso ai servizi sanitari. E ancora i dati Istat confermano questa situazione, indicando un aumento del numero di cittadini che sono costretti ad utilizzare proprie risorse per le prestazioni sanitarie; e questo soprattutto nel Centro e nel Sud del Paese e nelle regioni sottoposte a Piani di Rientro, dove l’offerta di servizi ha subito maggiori contrazioni e dove la compartecipazione è alla spesa è stata sempre più elevata.
 
L’alternativa rimane spesso quindi l’emigrazione sanitaria. Le analisi del Cergas Bocconi sul fenomeno della mobilità sanitaria (dati 2011) che mettono in relazione i tassi di attrazione e fuga delle Regioni italiane individuano la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la Toscana ed il Veneto come le realtà maggiormente attrattive, mentre Calabria, Sicilia, Campania e Sardegna sono quelle con un alto tasso di fuga.
 
Non è da sottovalutare infine il tema della legalità e della influenza nefasta degli interessi delle organizzazioni criminali anche sulle aziende sanitarie. In pochi ricordano che dal 2005 al 2010 sono state commissariate per infiltrazioni della criminalità organizzata le ASL di Pomigliano d’Arco, Locri, Reggio Calabria e Vibo Valentia; fino allo scioglimento per analoghi motivi dell'azienda ospedaliera Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta disposto dal Ministero dell’Interno nell’aprile di quest’anno.
 
Definire preoccupante il quadro che emerge da questo insieme di dati può risultare davvero un eufemismo. Si potrebbe dire che sono tutti sintomi di una gravissima patologia. E riprendendo lo scritto di Saviano, “troppe volte ho sentito dire che è ormai inutile intervenire. Che il paziente è già morto. Ma non è così. Il paziente è ancora vivo. Ci sono tantissime persone che resistono attivamente a questo stato di cose…Sono tante davvero. E tutte assieme costituiscono una speranza…”.
 
Una speranza che è un dovere di tutti e soprattutto delle istituzioni alimentare, non occultando la verità dei fatti, non scivolando nei vittimismi o nascondendo le responsabilità esistenti. Ed è a questa responsabilità che credo occorra fare riferimento, sia nella indispensabile dimensione locale delle classi dirigenti che nella eventuale azione vicariante dello Stato.
 
Sono anche organismi internazionali a chiederci di agire. E’ l’OCSE nell’ultima revisione sulla qualità dell’assistenza sanitaria in Italia a porre l’accento sulle enormi differenze nelle modalità e negli strumenti di gestione della performance del sistema sanitario tra i vari contesti regionali e ad affermare che una delle sfide principali del nostro Paese è quella di sostenere le realtà che hanno una infrastruttura più debole, affinché possano erogare servizi di qualità pari alle regioni con le performance migliori.
 
Una sfida che tutti i soggetti sociali interessati dovrebbero raccogliere, a partire dalla politica chiamata a esercitare il suo fondamentale ruolo di indirizzo. A chi si propone quotidianamente con le ricette giuste per l’uscita dalla crisi, forse è opportuno ricordare che la salute è una condizione necessaria e indispensabile per la crescita.  
 
E’ stata proprio la  Commissione Igiene e Sanità del Senato nella sua recente relazione sullo stato e sulle prospettive del Servizio Sanitario Nazionale a richiamare l’attenzione sul rapporto fra salute e Pil e anche sul contributo della sanità alla crescita economica e allo sviluppo umano nel suo complesso in termini di qualità della vita e benessere delle persone.
 
Senza dimenticare che per il contrasto alle disuguaglianze sanitarie sono indispensabili anche interventi in ambiti extrasanitari e in primo luogo quelli di riduzione dello svantaggio socio-economico-culturale.
 
Ottavio Nicastro
Segretario Scientifico ANMDO – Regione Emilia-Romagna

30 agosto 2015
© Riproduzione riservata


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