Corruzione in sanità. Nel 2016, secondo il Censis, una Asl su quattro è stata vittima di almeno un episodio corruttivo. Un dato che non convince. Ecco perché
di C.F.
Presentati oggi a Roma i nuovi dati del network Curiamo la Corruzione, coordinato da Transparency International Italia, con Censis, ISPE Sanità e RiSSC. Come lo scorso anno, quando si parlò del 37% delle Asl oggetto di corruzione, il dato ha fatto scalpore guadagnandosi l'attenzione dei media. Ma noi, probailmente controcorrente, manteniamo intatte le riserve su questo tipo di analisi che già manifestammo in occasione della presentazione dei precedenti report
06 APR -
“Nell’ultimo anno ha assistito o è venuto a conoscenza di uno o più episodi di corruzione nella struttura in cui lavora?”. A questa domanda, posta dai ricercatori del Censis ai dirigenti di 136 strutture sanitarie italiane nell’ambito di un’indagine che si è chiusa nel gennaio scorso, il 74,3% ha risposto no, il 22,8% ha detto di esserne venuto a conoscenza e che la sua struttura ha affrontato la cosa in “maniera appropriata” e un residuo 2,9% ha risposto anch’esso sì ma sottolineando che in questo caso, a suo avviso, gli episodi di corruzione non sono stati affrontati in maniera appropriata.
Tra i settori ritenuti a più alto rischio di corruzione gli intervistati hanno messo nell'ordine: l'acquisto e la fornitura di beni e servizi, la gestione delle liste d'attesa, l'assunzione di personale, le nomine dei soggetti apicali, le false certificazioni, l'accreditamento delle strutture private, le prescrizioni improprie dei farmaci, la formazione e le consulenze.
Le strutture sanitarie che hanno partecipato all’indagine sono state classificate in 4 gruppi, secondo un indice che valuta la percezione del rischio di corruzione. 24 strutture, pari al 17,6%, di cui ben 16 del Nord, si classificano nella fascia di rischio basso. Sono invece 20 le strutture sanitarie, cioè il 14,7%, che presentano una percezione di rischio alto, e tra queste 9 si trovano al Sud.
Sono forse questi i dati più emblematici del nuovo rapporto sulla corruzione in sanità presentato oggi a Roma e coordinato da Transparency International Italia, con Censis, ISPE Sanità e RiSSC.
Tradotto in soldoni, come hanno fatto anche i ricercatori nel loro comunicato stampa, questo vorrebbe dire che
in una Asl su quattro ci sarebbe stato almeno un episodio di corruzione nel corso del 2016, o almeno definito come tale dai ricercatori che non hanno fornito molti chiarimenti sulla natura di tale termine che, è bene ricordarlo, viene misurato in questa ricerca a livello di “percezione”, non di fatti acclarati di corruzione e come tali magari denunciati o perseguiti.
In ogni caso, prendendo per buono il dato, e ipotizzando che di corruzione nel senso penale del termine trattasi, staremmo parlando di 34 episodi in un anno nelle 136 Asl coinvolte nell’indagine. Che, se proiettato sulla totalità delle strutture sanitarie italiane (225 tra Asl e ospedali),
vorrebbe dire 56 episodi “percepiti” di corruzione in un anno nel complesso dell'attività del Ssn.
Un numero che, preso così, a dire il vero non ci dice nulla. Nè in termini quantitativi (in fondo non mi sembra un valore da far gridare alla corruzione di Stato!) né tantomeno di qualità (di cosa si starà parlando? di mazzette? di appalti truccati? di parcelle gonfiate? di truffe? Mah...).
E in ogni caso è un dato che, se fosse stato presentato come tale, non avrebbe guadagnato i titoli sul web e sulla stampa (
come del resto avvenne anche lo scorso anno in occasione della presentazione della stessa indagine con i dati degli anni precedenti) con quel “
Corruzione in una Asl su quattro” sparato in grande evidenza.
Come anche controverso appare il dato sul costo della corruzione e degli sprechi che i ricercatori, questa volta dell'Ispe Sanità, indicano nel 6% del totale della spesa sanitaria italiana complessiva. Un dato ormai reiterato come un mantra dal 2014 quando l’Ispe Sanità presentò il suo libro bianco e che già allora scoprimmo essere frutto di una stima importata da una ricerca britannica (
Università di Portsmouth) del 2011 che calcolava un costo per le “frodi e gli errori” in sanità variabile da un minimo del 3% a un massimo del 10% della spesa globale
Nessuno vuole mettere in dubbio quello studio ma risulta quanto meno insolito reiterarlo ogni anno, riaffermando che ogni anno “sprechiamo” il 6% della nostra spesa in malaffare e ineffcienze, senza che sia stato mai fatto un vero studio ad hoc per l’Italia (Paese mai considerato, tra l’altro, tra quelli oggetto dello studio britannico).
Non sarebbe male se per l’anno prossimo l’Ispe Sanità ci pensasse su e ci presentasse una ricerca “nostrana” basata magari su dati non solo di percezione o di estrapolazione da ricerche altrui ma tenendo anche conto di quanto emerso dai rapporti della Corte dei conti, della Guardia di Finanza, dai Nas, eccetera.
Ultimo dato che ci lascia molto perplessi è quello degli ulteriori 13 miliardi che Ispe Sanità valuta come "l
'ammontare delle potenziali inefficienze nell'acquisto di beni e servizi sanitari nel Ssn". Se sommiamo il 6% della spesa che andrebbe in fumo per la corruzione e gli sprechi (che l'Ispe Sanità sintetizza con il termine corruption) pari a 9,2 miliardi, con questi ulteriori 13 miliardi, si arriva alla cifra complessiva di 22,2 miliardi (
erano 23,6 nel Libro Bianco del 2014), che rappresentano quasi il 20% della spesa sanitraia annuale del Ssn. Un dato tanto clamoroso quanto insostenibile e non documentato.
In altri termini come si può immaginare che ogni anno la sanità pubblica "sprechi" il 20% della sua spesa che già così è tra le più basse d'Europa? Vorrebbe dire che potremmo farcela facendone a meno, visto che si tratta solo di ruberie ed inefficienza? Ovvero che ci basterebbero poco più di 90 miliardi l'anno? Ma non scherziamo!
Ma in ogni caso il dovere di cronaca ci obbliga a dare conto dei dati complessivi presentati oggi
che potete trovare a questo link.
C.F.
06 aprile 2017
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