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Hpv. Vaccinazioni, Italia terza in Europa. Ma ancora lontani dall'obiettivo


Con il 65% di copertura vaccinale, il nostro Paese si posiziona dopo Regno Unito e Portogallo. Ma siamo ancora lontani dall’obiettivo della copertura al 95%. Le cause? Scarsa informazione e errata comunicazione divulgativa. Questi i risultati di un’indagine qualitativa promossa da Onda.

26 GEN - Manca poco meno di un anno alla scadenza della campagna vaccinale contro il Papilloma Virus e l’Italia, nonostante abbia ottenuto buone performance, è ancora lontana dall’obiettivo fissato dall’Intesa Stato-Regioni di una copertura vaccinale al 95%. È stata infatti raggiunta una copertura media nazionale della coorte 1997-1998 per le 3 dosi di vaccino del 65%. Una buon risultato che ci colloca dietro Regno Unito (81%) e Portogallo (80%). Un ottimo risultato se pensiamo che Paesi come Francia, Lussemburgo e Norvegia hanno raggiunto una copertura fra il 17 e il 30%.
Tuttavia, l’Italia nicchia ancora a dire un sì deciso alla vaccinazione contro l’Hpv. Le cause? Scarsa informazione sull’importanza della prevenzione primaria e secondaria nonostante le tante campagne e attività svolte.
A metterlo in evidenza sono i risultati di un’indagine promossa da Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna, presentati oggi in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati organizzata in occasione della settimana europea della prevenzione del carcinoma della cervice uterina. L’indagine ha coinvolto in tre città (Milano, Bari e Roma) 40 donne che negli ultimi cinque anni hanno dovuto affrontare le conseguenze di una diagnosi infausta.
 
“L’indagine – spiega Francesca Merzagora, presidente di Onda – ha mostrato un sentimento di paura generalizzato proprio verso l’Hpv e il Pap Test positivo, che si riflette sia sulla sfera personale, la donna prova vergogna, senso di colpa, chiudendosi nel silenzio anche con il partner, sia sulla sfera sessuale, portandola a rinunciare anche a rapporti intimi per lunghi periodi, o a temere per gravidanze future e per possibili ricadute della malattia. È solo l’aver vissuto e conosciuto la malattia che aumenta la consapevolezza della donna – prosegue Merzagora – portandola ad interessarsi a tutto quanto ruota attorno al tumore della cervice, vale a dire una migliore conoscenza della malattia e delle forme di prevenzione e protezione, anche vaccinali, per sé e le proprie figlie”.
 
Ogni anno in Italia a 17 mila donne viene diagnosticata una lesione precancerosa (le più pericolose si chiamano Cin 2 e Cin 3), campanello d’allarme per lo sviluppo di un carcinoma alla cervice uterina. Una situazione difficile, soprattutto di fronte agli interventi chirurgici cui ci si deve sottoporre, che provoca nella donna vergogna, senso di colpa, timore per gravidanze future e possibili ricadute. Il problema è che non viene ancora completamente compreso l’ulteriore vantaggio che il vaccino avrebbe nella prevenzione delle lesioni precancerose. Occorre quindi una più efficace sensibilizzazione all’Hpv e una maggior chiarezza anche al momento di un Pap Test positivo.
 
Tra i dati della ricerca emerge anche la soddisfazione per l’assistenza medica ricevuta (75%), mentre il 50% delle donne è critica riguardo alle modalità di comunicazione della diagnosi (approccio impersonale, difficoltà di comprensione dei termini medici, accompagnamento nel follow-up) e sulla chiarezza dei referenti, spesso evasivi nel dare risposta a dubbi generali e/o, laddove indicata, a guidarle nella scelta vaccinale (ancora oggi timidamente raccomandata dagli specialisti).
 
“Occorre identificare – dichiara Walter Ricciardi, Direttore dell’Istituto di igiene e medicina preventiva dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – strategie di intervento per la prevenzione primaria e secondaria al fine di diagnosticare la malattia in una fase precoce e aumentarne la guaribilità. Per l’Hpv, in particolare, la prevenzione secondaria è assicurata dal Pap test e dal test per Hpv, e quella primaria da due vaccini: uno contro i tipi virali 6, 11, 16, 18 e un secondo contro i tipi 16 e 18. Questi ultimi due sono ad alto rischio oncogeno, e responsabili da soli di circa il 70% di tumori della cervice uterina, del tumore della vagina e di un terzo dei tumori della vulva. Il vaccino contro l’Hpv è il primo, espressamente utilizzato per prevenire una malattia oncologica, indirizzato a proteggere le ragazzine prima dell’esordio sessuale da un terribile cancro che colpisce l’area riproduttiva con ripercussioni sulla possibilità procreativa e sulla sfera personale, di coppia e familiare”.

Per Maria Grazia Pompa, Direttore dell’Ufficio V, Malattie Infettive e Profilassi Internazionale del Ministero della Salute, per raggiungere l’obiettivo della copertura vaccinale “la comunicazione è elemento cardine del “contratto” terapeutico, mentre la formazione dell’operatore ne è un presupposto fondante”.
“Desta non poco disappunto – osserva Pompa – la scarsa incompleta o errata informazione in merito alla vaccinazione, non tanto nella popolazione generale o femminile, quanto tra i professionisti sanitari. Ovviamente non si ignorano, né si nascondono i limiti del vaccino anti-Hpv, in particolare il fatto che la vaccinazione, pur prevenendo le infezioni dai virus HPV responsabili della maggior parte di lesioni/patologie a carico della cervice dell’utero, non previene le infezioni da tutti i tipi di Hpv ad alto rischio oncogeno. A riguardo, la posizione del Ministero è sempre stata quella di promuovere e sostenere i programmi di screening organizzato ed il suo impegno volto ad aumentarne la copertura, favorendo l’accesso al test e l’adesione in tutto il Paese”.

26 gennaio 2012
© Riproduzione riservata


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