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Covid. Finito lo smart working come rimodulare spazi, postazioni di lavoro, orari e turni

di Domenico Della Porta

Senza rimodulazione, infatti, verrebbero meno le tre dimensioni fondamentali indicate dal documento tecnico INAIL e da tener presente sia nella fase 2 sia nella 3: l’aggregazione, la prossimità, l’esposizione

30 GIU - Agire sulla prevenzione della diffusione del virus, tramite «rimodulazione degli spazi e postazioni di lavoro, orario di lavoro e dell’articolazione in turni». In piena fase 2 della pandemia da Sars-CoV-2, accanto agli inviti sulla prevenzione e precauzione, da osservare negli ambienti di vita e di lavoro, c’è anche quello alla “rimodulazione delle attività lavorative”, vale a dire adattare, variare, regolare nuovamente un'entità, una risorsa, un importo in base a sopravvenuti obiettivi o esigenze diverse, come nel caso che stiamo vivendo della convivenza con il nuovo coronavirus.
 
Gli spazi di lavoro devono essere «rimodulati nell’ottica del distanziamento sociale utilizzando anche uffici inutilizzati, sale riunioni». Per gli ambienti dove operano più lavoratori contemporaneamente vanno trovate «soluzioni innovative con il riposizionamento delle postazioni di lavoro adeguatamente distanziate tra loro e l’introduzione di pannelli in plexiglass». Gli spazi comuni dovranno essere igienizzati e l’accesso ai lavoratori sarà consentito a scaglioni, mentre non sono consentite ancora le riunioni tradizionalmente intese.
 
Tutto questo non significa semplicemente eliminare o diminuire al minimo lo smart working, come in non poche pubbliche amministrazioni è stato avviato, ma utilizzare l’opportunità della rimodulazione per prevenire i “rischi psico sociali ed organizzativi” indicati da oltre 10 anni dal d.lgs.81/2008, ancora oggi poco valutati e non rimossi, quali stress lavoro correlato, impegni gravosi dal non rispetto del prolungamento di turni e mancata rotazione degli stessi, mancata valutazione delle condizioni psico-fisiche in cui si trovano i lavoratori avanti negli anni, e delle esigenze legate alla conciliazione dei tempi di lavoro e di vita delle lavoratrici madri.
 
Senza rimodulazione, infatti, verrebbero meno le tre dimensioni fondamentali indicate dal documento tecnico INAIL e da tener presente sia nella fase 2 sia nella 3: l’aggregazione, la prossimità, l’esposizione.
 
Occorre sottolineare preliminarmente che alle manchevolezze sulle caratteristiche del luogo di lavoro non evidenziate nella normativa vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di fronte ad una esigenza di rimodulazione dei luoghi di lavoro, è possibile ovviare utilizzando proficuamente quanto a livello locale viene prodotto con lo strumento dei Regolamenti comunali o regionali di igiene edilizia..
 
Ai fini normativi si intendono per luoghi di lavoro: i luoghi destinati a contenere posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo nell'area della medesima azienda ovvero unità produttiva comunque accessibile per il lavoro. Per luoghi di lavoro devono intendersi tutti gli ambienti ubicati dentro o fuori dall'azienda comunque accessibili per ragioni di lavoro (anche saltuariamente) quali ad es. i locali tecnici nei quali si possono eseguire interventi di ordinaria manutenzione, ecc.
 
Uno degli elementi da tener presente è il “rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo”. Si tratta di una delle maggiori innovazioni introdotte dalla normativa poiché in precedenza, fermo restando l’obbligo di non causare danni ai lavoratori, non vi erano vincoli legislativi specifici relativi a principi di carattere ergonomico.
 
Diventa quindi essenziale, al fine del concreto rispetto degli obblighi previsti in materia di ergonomia, il riferimento a standard nazionali ed internazionali capaci di fungere da un lato da guida applicativa per il datore di lavoro, e dall’altro da criterio di riferimento univoco e non soggettivo per le valutazioni degli organi di vigilanza. L’ergonomia viene intesa come “l’applicazione delle informazioni scientifiche che riguardano l’essere umano al disegno di oggetti, sistemi ed ambienti destinati all’uso da parte di persone”.
 
E’ quindi evidente il richiamo della legge ad un duplice scopo: da un lato assicurare che il rispetto dei principi ergonomici conduca alla prevenzione dei disturbi fisici collegati ad un cattivo disegno del sistema organizzato del lavoro, dall’altro che vengano messe in opera specifiche misure collegate “all’attenuazione” dei compiti contraddistinti da maggiore monotonia e ripetitività.
 
Da cosa nasce l’esigenza di organizzare il lavoro secondo principi ergonomici, utilizzando la rimodulazione come momento di spinta e di ripresa e non come impedimento allo sviluppo?
 
Essenzialmente dalla constatazione che in tutto il mondo industrializzato sono in declino le malattie da lavoro un tempo più frequenti (silicosi, intossicazioni), mentre sono in costante aumento (fino a rappresentare oltre il 50% del totale) le malattie occupazionali che colpiscono il sistema neuro-muscolare e scheletrico (sindrome del tunnel carpale, tendiniti, cervico-brachialgie, mal di schiena) e che sono legate, in modo generale, alla presenza di fattori di rischio specifici (sovraccarico muscolare statico o dinamico, posizioni anatomiche sfavorevoli, compressioni localizzate) che sono annidati nelle modalità stesse di progettazione e realizzazione del ciclo lavorativo, e che potrebbero essere ridotti con l’applicazione di principi ergonomici ed organizzativi, facilitando la conciliazione tra i tempi di lavoro e di vita.
 
In concreto, quindi, la norma richiama il rispetto generale dei principi ergonomici e ne definisce specificamente i campi di applicazione a:
• concezione (progettazione) dei posti di lavoro, 
• scelta delle attrezzature, 
• definizione organizzativa dei metodi e modalità di lavoro e produzione.
 
L’obiettivo dell’opportunità offerta dalla rimodulazione sarà quello di delineare luoghi di lavoro meglio organizzati per:
- Intercettare i bisogni;
- Fornire risposte
- Promuovere benessere
- Migliorare la produttività e competitività
 
Domenico Della Porta
Docente Medicina del Lavoro Facoltà Giurisprudenza Università Telematica Internazionale Uninettuno - Roma
  


30 giugno 2020
© Riproduzione riservata


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