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Screening oncologici. Saltati durante la pandemia oltre 4milioni di inviti e 2mln e 500mila test

di E.M.

Azioni di prevenzione che si traducono in mesi di ritardo per la diagnosi dei tumori del collo dell’utero, mammella e colonretto. E se qualche Regione ha recuperato sono ancora molte quelle in difficoltà soprattutto nel meridione. Questi i dati emersi dal Terzo Rapporto dell’Osservatorio nazionale screening sui ritardi accumulati in seguito alla pandemia da Covid 19 rispetto al 2019. IL RAPPORTO

12 MAG - Oltre 4 milioni di inviti e 2 milioni e 500mila test di screening in meno nel 2020 rispetto al 2019, che si traducono in ritardi di 5 mesi per lo screening per il tumore del collo dell’utero, di 4 mesi e mezzo per quello della mammella e 5 mesi e mezzo per lo screening colorettale.
Un tempo sospeso che potrebbe costare molto in termini diagnostici: in numeri si stimano in oltre 3.300 i carcinomi mammari, 2.700 le lesioni cervicali CIN2+, in quasi 1.300 i carcinomi colorettali e oltre 7.400 gli adenomi avanzati, non “intercettati” a causa dei ritardi negli screening.
 
È quanto emerge dal Terzo Rapporto sull’impatto del Covid-19 riguardo all’offerta di prevenzione oncologica nel corso del 2020 stilato dall’Osservatorio nazionale screening (Ons), strumento tecnico a supporto del Ministero e delle Regioni collocato presso l’Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica (Ispro) di Firenze.
 
Una fotografia senza filtri che immortala impietosamente  le ormai croniche differenze tra il Nord e il Sud del Paese, con le Regioni meridionali spesso in sofferenza. Ma anche una grande variabilità di recupero da parte delle singole Regioni: se nell’ultimo trimestre del 2020, alcune regioni hanno premuto sull’acceleratore per recuperare il tempo perso, nella maggioranza delle realtà italiane il ritardo è addirittura aumentato.
 
“Purtroppo non c’è stato un recupero rispetto al ritardo accumulato precedentemente, in particolare a seguito della sospensione degli inviti nel periodo marzo-aprile 2020 – ha spiegato Paola Mantellini, direttore dell’Osservatorio Nazionale Screening –, anche se è positivo che la velocità con cui questo ritardo si è generato si sia ridotta, ed è positivo che a partire dal mese di maggio e in particolare nell’ultimo trimestre del 2020 alcune Regioni abbiano fatto sforzi imponenti per recuperare: alcune realtà sono addirittura riuscite a erogare più test di screening rispetto al 2019”.
 
Ma il livello di allerta è alto. L’impatto di ritardo e riduzione della precocità di diagnosi rimane infatti importante: sono state aggiornate le stime delle lesioni che potrebbero subire un ritardo diagnostico e che su tutto il 2020 risultano essere pari a oltre 3.300 carcinomi mammari, 2.700 lesioni cervicali CIN2+, quasi 1.300 carcinomi colorettali e oltre 7.400 adenomi avanzati in meno rispetto al 2019. “Queste stime ci devono mantenere in allerta per far sì che anche nel primo semestre del 2021 si recuperino rapidamente, definitivamente e strutturalmente i ritardi” ha quindi suggerito Gianni Amunni, Direttore Generale di Ispro.
 
Comunque altre informazioni in grado di delineare un quadro più preciso, avverte l’Osservatorio, potranno arrivare dalla prossima indagine per la rendicontazione Lea relativa al 2020 che, rispetto agli esiti del trattamento, sarà però disponibile solo a fine 2021: “Questi dati – commenta Marco Zappa, alla guida dell’Ons fino allo scorso anno – potranno farci capire se al ritardo è corrisposto un peggioramento degli stadi di malattia, in particolare per quanto attiene allo screening mammografico e colorettale”. Zappa punta poi i riflettori sulla propensione alla partecipazione analizzata dal Rapporto che sembra evidenziare “una certa idisaffezione’, o forse è meglio dire timore, da parte dei cittadini, con una riduzione della partecipazione del 15% per lo screening per il tumore del collo dell’utero e per quello della mammella e del 20% per quanto riguarda lo screening del colonretto”.
 
Pensare che la risoluzione del problema consista solo in un maggior investimento economico è riduttivo, aggiunge Mantellini: “Un maggior investimento di risorse tecnologiche, strutturali e di personale sarà efficace se e solo se andrà di pari passo con la capacita di visione a livello istituzionale e aziendale. Competenza nell’individuare chiari obiettivi strategici e operativi e capacità di orientarsi in maniera prioritaria alla valutazione degli effetti e dell’impatto degli interventi, non limitandosi ai soli risultati, sono aspetti irrinunciabili per una ripresa dello screening. La scommessa più importante è l’investimento in risorse umane in termini di formazione, di tempo dedicato alle attività e di motivazione intrinseca.
In questa direzione, conclude Mantellini “tanto l’Osservatorio Nazionale Screening, quanto le società scientifiche di settore, si stanno già adoperando per cogliere questa emergenza come una opportunità di proporre l’adozione di nuove strategie e nuovi protocolli di comprovata efficacia e che rispondano a logiche di equità e di accesso per tutti i cittadini aventi diritto”.
 
Vediamo i risultati emersi.
Screening per il tumore del collo dell’utero
Il numero di test effettuati in meno rispetto al 2019 è complessivamente di 669.742, pari ad una riduzione del 43,4%. Ci sono ampie oscillazioni fra le Regioni (PA di Bolzano -6,5%, Lombardia -72,5%). Per quanto riguarda il ritardo accumulato la media è di 5,2 mesi. Prendendo in esame tre periodi temporali (gennaio-maggio, giugno-settembre, ottobre-dicembre) è emerso un progressivo rallentamento nella diminuzione degli esami eseguiti: infatti si passa dal -55,3% del primo periodo al -39,6% del secondo periodo al -28,9% nel terzo. In altre parole continua ad accumularsi ritardo, anche se a velocità minore. Solo 4 Regioni presentano complessivamente riduzioni nel numero di test di screening inferiori al 25% (Umbria +1,8%, PA Bolzano -6,5%, Toscana -21,5%, Valle d’Aosta -23,7%), mentre tutte le altre presentano performance più scadenti. Tre Regioni, Umbria, Toscana, Emilia Romagna, nell’ultimo trimestre hanno invece recuperato rispetto al trimestre del 2019.
La stima delle mancate diagnosi di lesioni CIN2+ a causa del ritardo accumulato è pari a 2.782 casi non intercettati

Screening per il tumore della mammella
Le donne invitate/contattate in meno si attestano su un -980.994 pari al 26,6% (si va dal -0,5% delle Marche al -60% della PA Trento).
Nel 2020 sono oltre 750mila (751.879) le donne che non hanno eseguito la mammografia in screening rispetto allo stesso periodo del 2019, con una riduzione del 37,6 % rispetto al 2019. E con ampie oscillazioni fra le Regioni: dal - 9,1% dell’Umbria al -63,3% della Calabria). Per quanto riguarda il ritardo accumulato lo standard è di 4,5 mesi. Complessivamente a fine anno le Regioni che presentano meno di 2 mesi e mezzo di ritardo sono Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Toscana ed Umbria. Emilia Romagna, Toscana ed Umbria in particolare nell’ultimo trimestre del 2020 hanno eseguito più esami dello stesso periodo del 2019. Le stima del numero di carcinomi non diagnosticati è pari a 3.324 lesioni perse
 
Screening per il tumore del colon-retto
Nel 2020 emerge una riduzione di quasi 2milioni di inviti in meno (1.929.530) rispetto all’anno precedente, pari al 31,8% e con differenze da regione a regione: si va da +54,9 della PA Bolzano al -70,5% della Basilicata. Sono superiori al milione in meno (1.110.414), le persone che hanno eseguito il test di screening (FIT o Sigmoidoscopia) nel 2020 rispetto al 2019, con una riduzione del 45,5%. Con ampie oscillazioni fra le Regioni (Umbria -0,2%, Calabria -87,1%). Nel corso del 2020 le regione hanno accumulato un ritardo medio di 5,5 mesi. E solo tre Regioni (Abruzzo, Emilia-Romagna, Umbria) hanno recuperato parte del ritardo precedente attestandosi al di sotto del 20% di persone esaminate in meno. Nell’ultimo trimestre anche il Veneto ha mostrato un leggero recupero rispetto all’anno precedente.
La stima delle lesioni perse è di -1.299 carcinomi e -7.474 quella degli adenomi avanzati.
 
A cura di Ester Maragò
 

12 maggio 2021
© Riproduzione riservata


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