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Il welfare assistenziale e le prossime elezioni

di Ettore Jorio e Candida Tucci

In Calabria (e non solo) vi è l’imprescindibile necessità di unificare i momenti di programmazione a livello regionale e di istituire forme di cooperazione tra le istituzioni competenti per l’erogazione dei servizi sanitari e sociali, ricorrendo ai privati e quindi privilegiando la sussidiarietà orizzontale. A fronte di una sfida simile, lo Stato è chiamato a rivedere le proprie posizioni e a consentire, al riguardo, una più fattiva concreta “concorrenza”, attraverso l’attuazione del federalismo fiscale, fondato su costi/fabbisogni standard e su una efficace perequazione

09 SET - Il momento elettorale - diffuso tra 1349 comuni, ivi compresi venti capoluoghi di province e Città metropolitane, e una regione (la Calabria) - registra la presenza di un tema spinoso: il welfare assistenziale. Quel sistema organizzato strutturalmente a garanzia dell’esigibilità collettiva del diritto alla tutela della salute e dell’assistenza sociale. In quanto tale, istituzionalmente condiviso in termini di programmazione e gestione dai maggiori protagonisti del sistema autonomistico territoriale: Comuni e Regioni.

Cosa e come fare è il vero tema
Salute e Welfare sono stati da sempre ambiti assistenziali ben distinti, nei quali sono stati impegnati tutti i livelli istituzionali: nazionale, regionale e locale. Siffatta differenziazione dei gradi di governo è stata ed è soprattutto determinata dalla separazione delle competenze legislative attribuite dalla Costituzione con la revisione del 2001: concorrente tra il decisore statale e regionale, nel primo caso, ed esclusiva in capo alle Regioni, nel secondo caso. Da ciò ne è conseguito che i principali responsabili del raggiungimento dell’obiettivo dell’integrazione socio-sanitaria (obiettivo previsto da tutte la Programmazioni Nazionali sin dal primo Piano Nazionale Sanitario 1994-1996) fossero state le Regioni, alle quali è stato da sempre demandato il compito di legiferare, non solo nel dettaglio organizzativo, sul sistema unitario territoriale dei servizi alla persona umana, per come intesa da Pietro Perlingieri nella “Sintesi dei diritti umani”.
A fronte di questo cosa è successo
A livello regionale sono intervenute chi più e chi meno, ma certamente nessuna esaustivamente. C’è poi quella Regione che è intervenuta molto male: la Calabria. L’unica regione al voto il prossimo 3 e 4 ottobre, di conseguenza con l’esigenza di vedere i candidati sfidarsi sulle migliori proposte di revisione sul tema.
 
In una siffatta regione l’obiettivo dell’integrazione non è stato preso neppure in considerazione nei vent’anni trascorsi dalla revisione costituzionale del 2001, nella quale – forse per una svista – l’assistenza sociale è stata lasciata residuare nella competenza esclusiva regionale. Pertanto, ivi si replica la stessa separazione tra le istituzioni territoriali, aggravata da un ormai ultra decennale improduttivo Commissariamento ad acta. Uno status che è divenuto, a seguito di una opzione governativa straordinaria (ex art. 120, comma 2, Cost.), un sistema di ordinaria amministrazione affidato a commissari scambievoli che ha registrato per 12 anni un perdurante e progressivo fallimento nell’esercizio delle politiche salutari.
Quanto all’organizzazione territoriale, le autonomie competenti per l’attuazione delle programmazioni, che afferiscono al welfare assistenziale, rimangono distinte e separate per disposizione normativa: le aziende sanitarie provinciali (Asp) per la salute; i Comuni per il sociale.
 
L’unitarietà gestoria per risolvere
In Calabria (e non solo) vi è l’imprescindibile necessità di unificare i momenti di programmazione a livello regionale e di istituire forme di cooperazione tra le istituzioni competenti per l’erogazione dei servizi sanitari e sociali, ricorrendo ai privati e quindi privilegiando la sussidiarietà orizzontale. A fronte di una sfida simile, lo Stato è chiamato a rivedere le proprie posizioni e a consentire, al riguardo, una più fattiva concreta “concorrenza”, attraverso l’attuazione del federalismo fiscale, fondato su costi/fabbisogni standard e su una efficace perequazione.
Cambiare direzione di marcia e superare definitivamente il pericoloso paradigma Welfare-appannaggio dello Stato per intraprendere la strada di una nuova cultura organizzativa di rafforzamento dei servizi territoriali, come momenti di prevenzione e soddisfacimento del bisogno, contribuirà a migliorare la frammentazione dell’offerta dei servizi di assistenza e, in generale, migliorare sensibilmente l’accessibilità al sistema di protezione sociale.
Diversamente, i diritti senza canali mirati di accesso, finirebbero per rimanere sulla carta.
 
Puntare sull'innovazione sociale significa fare un passo ulteriore in termini di sostenibilità delle politiche di assistenza. La sostenibilità, nella cura ed assistenza, non è più solo sostenibilità fiscale ma anche e soprattutto sociale. L’anziano e il bisognoso e le famiglie hanno infatti bisogno di tutele sistemiche, sia in termini di previdenza che di prevenzione, sino ad oggi utopiche. Di previdenza, nel senso di prendere in considerazione, prudentemente e tempestivamente, le necessità e i pericoli cui va naturalmente incontro nel futuro il segmento più debole della collettività. Di prevenzione, nel senso di attuare politiche sociosanitarie indispensabili per prevenire i rischi e, quindi, per evitare che gli stessi si trasformino in realtà segnatamente pregiudizievoli per il resto della vita dei suddetti.
 
Certamente, ma non solo, rappresentata dalla sola filiera assistenziale territoriale capace di filtrare i pericoli attraverso i suoi nodi strumentali a generare una stretta maglia di presidi, strutturali e professionali, funzionali a creare un insieme protettivo.
Ciò in quanto dovrà, costituendo un insieme sinergico con la iniziativa assistenziale territorialmente diffusa, mettere a servizio ideale una sorta di ragnatela che salvaguardi da quelle frequenti cadute, ordinarie e non, dalle quali il debole è difficile che si possa rialzare ex se.
 
Come e meglio del circo equestre
Ragnatela che dovrà essere costruita dalla organizzazione socio-sanitaria e dalla volontà politica necessaria allo scopo e dalla società stessa con tutti i suoi membri se vogliamo realmente che sia fitta al punto tale che in caso di caduta nessuno passi dai buchi. Una chiamata di responsabilità che impone a tutti di essere presenti ma soprattutto pronti. Dalle istituzioni politiche alla società civile (termine odioso quasi a supporre che ce ne possa essere una incivile che abbia un ruolo).
Come la rete di protezione messa a sostegno degli atleti circensi che volteggiano pericolosamente sui trapezi. Uno sport, questo, che possiede il suo fascino determinato da quella difficoltà, a volte esagerata, degli esercizi difficili ad immaginare senza la rete di protezione.
 
Ettore Jorio
Università della Calabria
 
Candida Tucci
Imprenditrice del sociale
 

 

09 settembre 2021
© Riproduzione riservata


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