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Indi Gregory è morta. Il caso diplomatico e la strumentalizzazione di un dramma

di Giovanni Rodriquez

Per il rispetto dovuto al dramma che ha vissuto la famiglia Gregory, si sarebbe dovuto evitare il ricorso a termini impropri quali "omicidio" e "cure negate", evocati al solo fine di strumentalizzare la vicenda e dibattere piuttosto di cure palliative e accanimento terapeutico. Di fronte all'assenza di dolore, alla volontà della famiglia, alla disponibilità da parte di una struttura di eccellenza di accoglierla per sottoporla a cure palliative, perché si è lasciata la libertà ai genitori di decidere come accompagnare la propria figlia verso il fine vita?

13 NOV -

Indi Gregory è morta ieri notte. La bambina inglese di 8 mesi era affetta da una una gravissima patologia mitocondriale incurabile. Il suo stato di salute era stato decretato come terminale dai medici del Queen's Medical Centre di Nottingham e dai giudici britannici, nonostante l'opposizione dei genitori. Il governo italiano, riconoscendo alla piccola la cittadinanza, aveva provato a far trasferire Indi presso l'ospedale Bambino Gesù di Roma per sottoporla a cure palliative.

Il tentativo, sostenuto dai genitori Dean Gregory e Claire Staniforth, si è rivelato inutile. Giudici e medici d'Oltremanica hanno deciso di staccare i supporti vitali ritenendo che si tratti della soluzione meno crudele possibile, per quanto tragica, da adottare "nel miglior interesse" della bambina. Il distacco dai principali dispositivi vitali è stato eseguito in un hospice locale.

L'intera vicenda è stata accompagnata da forti polemiche tra Italia e Regno Unito, culminate un un appello senza precedenti al ministro della Giustizia britannico, Alex Chalk, a "sensibilizzare" la magistratura per provare a indurla a cedere la giurisdizione sul dossier all'Italia, sulla base di una interpretazione ampia della Convenzione dell'Aia del '96 in materia di cooperazione giudiziaria internazionale.

Per il rispetto dovuto al dramma che la famiglia Gregory ha vissuto si sarebbe dovuto evitare il ricorso a termini impropri evocati al solo fine di strumentalizzare la vicenda, e dibattere piuttosto di cure palliative e accanimento terapeutico. Non ha senso parlare di “cure negate” dal momento che per questa patologia non esistono terapie, neppure sperimentali; né ricorrere a termini quali “omicidio” visto che anche in presenza di cure palliative l’esito sarebbe stato, ahimè, il medesimo. Lo stesso catechismo della Chiesa Cattolica riconosce come legittima in taluni casi “l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi”. La piccola Indi, ricordiamo, non riesce autonomamente a respirare né a nutrirsi. Senza il sostentamento delle macchine sarebbe deceduta già da tempo. Con la rinuncia all’accanimento terapeutico, non si vuole procurare la morte, bensì si accetta il fatto di non poterla impedire.

Arrivati a questo punto, però, si apre un enorme interrogativo: a chi demandare questa decisione? Trattandosi di una neonata, la decisione dovrebbe spettare a coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando gli interessi legittimi della paziente. Più che da un giudice, la decisione ultima “nel migliore interesse” della bambina avrebbe dovuto poterla prendere la sua famiglia, partendo da alcuni presupposti ben precisi. Possibilità di guarigione non ve ne sono. Alla luce di ciò, un punto dirimente sarebbe potuto essere questo: il dolore.

I medici spiegavano che, proprio a causa della malattia e di uno stato di attività cerebrale pressoché del tutto assente, la piccola Indi probabilmente si trovava in una condizione tale da non poter provare alcun dolore. Di fronte all'assenza di dolore, alla volontà della famiglia, alla disponibilità da parte di una struttura sanitaria di eccellenza di accoglierla per sottoporla a cure palliative, perché non aver lasciato ai genitori la decisione su come accompagnare la propria figlia verso il fine vita? Stabilire quali condizioni possano o non possano essere definite come "vita" è un terreno scivoloso sul quale ci si dovrebbe muovere con un'enorme cautela. Un tema, anche molto personale, sul quale non potrà di certo essere in alcun modo dirimente una sentenza di tribunale.

Giovanni Rodriquez



13 novembre 2023
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