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Emergenza pronto soccorso. AcMEC: "Colpa del taglio dei posti letto e delle carenze sul territorio"


Code sempre più lunghe e tempi di attesa per un ricovero che possono arrivare a 72 ore. Le cause? Le carenze negli altri settori della medicina e, soprattutto, del drastico taglio ai posti letto. La denuncia alla prima delle tre Giornate di studio sulla Medicina d’Urgenza promosse dall'AcMEC.

07 GIU - É ancora troppo alto il numero di accessi in Pronto Soccorso (PS), e, come se non bastasse, questi stanno diventano sempre più lunghi, complicati e inclusivi di prestazioni costose (tecniche diagnostiche come TAC e Risonanze magnetiche). È questa la diretta conseguenza di carenze negli altri settori della ‘filiera della salute’. In particolare, tra i principali determinanti dei maggiori tempi di attesa nei PS, vi è la ridotta disponibilità di letti in reparto che hanno subito, nell’ultimo decennio, un drastico ridimensionamento. In tutto quasi 45 mila posti letto sono stati tagliati dal 2000 al 2009, pari al 15,1% del totale con un rapporto posti letto abitanti passato dal 5,1 ogni mille abitanti di 12 anni fa, al 4,2 attuale. Sono questi alcuni dei dati emersi nel corso del convegno “La Medicina d’urgenza tra Mente e Corpo”, la prima di tre Giornate di studio che si terranno a Milano, promosse dalla Academy of Emergency Medicine and Care (AcEMC) in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Le attese in PS per un ricovero, quindi, sono troppo spesso diventate insostenibili. “Ormai è diventato ‘normale’ attendere il ricovero in barella per 24, 48, 72 ore - ha spiegato Vittorio Demicheli, direttore del Servizio Sovrazonale dell’Asl Al I (Alessandria) - mentre si noti che secondo le raccomandazioni dettate in molte realtà regionali (ad esempio in Regione Piemonte) il ricovero dovrebbe avvenire entro le sei ore dal triage”. “È chiaro, però, che se in reparto non c’è un posto letto libero per accogliere il malato - ha aggiunto Ivo Casagranda, Presidente AcEMC e responsabile DEA dell’ospedale di Alessandria - questo dovrà rimanere in PS dove, pur nel disagio della permanenza in barella, riceverà le cure di cui ha bisogno”.

“In media, quasi una persona su due si reca almeno una volta all’anno in un Pronto Soccorso - ha affermato Valter Galante, Direttore Generale della Asl di Asti - nella grandissima maggioranza dei casi (86%) i cittadini accedono direttamente al PS, solo nel 12% dei casi vengono accompagnati dal 118. Nella Regione Piemonte - ha proseguito - che ha 4.457.748 abitanti, nel 2010 sono stati visitati in Pronto Soccorso 1.834.748 cittadini (41%) e nella regione Veneto 1.900.000 accessi al PS nel 2011 su 4.527.694 abitanti (42 % della popolazione)”.

Nel 2007 i dati nazionali a disposizione hanno indicato un numero di accessi pari a 27.518.347 (tasso 364,41 su 1000 persone) con una percentuale di ricoveri del 17,28%. Secondo dati, secondo l'AcMEC "molto parziali", del Ministero della Salute (dati 2011 indagine Assistenza sanitaria in Emergenza – Urgenza Emur) e riferiti ai primi tre mesi del 2011, il 75% di cittadini che accede al Pronto Soccorso viene successivamente dimesso, mentre solo il 13% viene ricoverato, pur con un’estrema variabilità regionale. Sempre secondo l’indagine ministeriale circa i 3/4 dei dimessi a domicilio sono accessi con codice verde. Questi dati dimostrano l’enorme lavoro prodotto all’interno dei PS oltre che la grande efficienza degli operatori che porta a un numero piuttosto ridotto di ricoveri.   
                                                                                                                 
A intasare il PS vi è anche il fatto che sono molto aumentate le situazioni di emergenza (le riacutizzazioni dei malati cronici anziani) e che le corsie degli ospedali sono piene di malati difficili da dimettere per l'assenza di soluzioni residenziali nel territorio, carenze nella lungodegenza e Rsa. In mancanza di risposte alternative ai bisogni di salute della popolazione, sempre più anziana e con pluripatologie, questa non ha altra scelta che rivolgersi, anche se a volte impropriamente, ai PS.

E proprio qui, dunque, si hanno difficoltà ad assolvere ai propri compiti non a causa di sue inefficienze, ma soprattutto per l'insufficienza di altre parti del sistema che, se funzionanti, determinerebbero con molta probabilità una sensibile riduzione degli accessi da una parte e dei tempi di permanenza dall’altra. Per ridurre gli accessi, secondo quanto emerso dai lavori del convegno, non vi sarebbe tanto bisogno di creare nuovi servizi territoriali di emergenza quanto di organizzare le cure primarie secondo il modello della ‘medicina d’iniziativa’, che mira alla prevenzione e al miglioramento della gestione delle malattie croniche, prevenendone le riacutizzazioni e che potrebbe avere come effetto secondario la riduzione del bisogno di rivolgersi al Pronto Soccorso. Per ridurre l'affollamento dei PS occorrerebbe, dunque, anche offrire una soluzione alle tante forme di emergenza sociale, per le quali oggi vi è una drammatica assenza di strutture dedicate (dormitori, mense, servizi di bassa soglia e di strada).

Infine, quello che a parere degli esperti intervenuti occorrerebbe, è un maggiore sviluppo e coordinazione della funzione di accettazione che inizia in Pronto Soccorso, immaginandola non come la porta che semplicemente regola l'accesso in ospedale, ma come il luogo dell'ospedale in cui iniziano tutti i suoi percorsi interni.
 

07 giugno 2012
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