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Intervista a Giuseppe Rosato (AO San Giuseppe Moscati Avellino)

27 NOV - Cosa l’ha spinta a intraprendere questo processo?
Le motivazioni sono state diverse, ma quattro le ritengo fondamentali: primum non nuocere, ossia il dovere etico di non danneggiare i pazienti, poi garantire maggiore tranquillità ai professionisti, quindi contenere i costi addizionali della spesa sanitaria e i costi sociali conseguenti agli incidenti nelle cure e, infine, non affidarsi esclusivamente alla copertura assicurativa, ritenendo l’assicurazione non uno strumento proprio di gestione, ma semplicemente un correttivo ex post.
Tali motivazioni hanno reso la gestione del rischio clinico un elemento essenziale della politica sanitaria dell’Azienda ospedaliera “Moscati”, finalizzato alla promozione dell’uso sistematico dell’analisi e del ridisegno dell’organizzazione, della ricerca, del confronto, della raccolta e dello studio dei dati allo scopo di progettare processi in grado di ridurre al minimo l’errore.
 
Cosa significa per un ospedale del Sud essere il primo certificato secondo il modello sistemico per la gestione del rischio di Federsanità Anci, sviluppato in collaborazione con Agenas?
La conferma che volere è potere. Non è importante il posto dove si lavora, ma la determinazione, l’entusiasmo e la dedizione dimostrati da tutti per raggiungere l’obiettivo prefissato. Questa scelta da noi ha avuto successo non solo perché essenzialmente dettata dalla volontà di affrontare il problema da parte della direzione strategica, ma anche per l’investimento effettuato sulla formazione del personale, al fine di acquisire gli strumenti metodologici necessari al cambiamento, per la condivisione di ogni momento del percorso allo scopo di rendere i professionisti in grado di gestirlo in prima persona e, infine, per la consapevolezza che nessuno verrà mai lasciato solo ad affrontare situazioni difficili. Certo, non manca un pizzico di orgoglio per il traguardo raggiunto, ma è proporzionato all’impegno profuso, e la soddisfazione maggiore è legata all’eco che la consegna dell’ambito riconoscimento ha avuto, varcando i confini aziendali e investendo le istituzioni locali, regionali e i mass media nazionali, che hanno dedicato all’Azienda Ospedaliera “Moscati” giudizi di apprezzamento.
 
La certificazione ha interessato tutte le Unità Operative o solo quelle più “sensibili” (come Rianimazione, Pronto Soccorso, sale operatorie, ecc.)?
Ha interessato tutte le Unità Operative. Naturalmente, quelle più sensibili hanno richiesto maggiore attenzione, ma il modello sistemico per la gestione del rischio clinico prevede un esame complessivo di tutte le strutture aziendali.
 
Come hanno vissuto i lavoratori dell’Azienda l’intervento dei formatori e la necessità di cambiare alcuni modi di gestire i processi?
Non sono state tutte rose e fiori. La competenza, l’esperienza e la capacità comunicativa del responsabile della formazione di Federsanità Anci hanno affascinato un po’ tutti e la sua passione è stata il vero motore che ha indotto i destinatari delle sue indicazioni teorico-pratiche a remare pro e non contro. Il responsabile di Federsanità Anci ha selezionato con il nostro clinical risk manager 32 facilitatori, formandoli attraverso incontri e azioni sul campo, in modo da avere una squadra da utilizzare nelle varie Unità Operative e nei Dipartimenti. In questa fase sono state coinvolte pressoché tutte le strutture aziendali: la direzione strategica, il servizio manutentivo, il servizio informatico e la società esternalizzata My Hospital, l’Ufficio Relazioni Esterne, l’ufficio legale per la gestione del contenzioso, il servizio infermieristico, la farmacia, i dipartimenti, le unità operative complesse e semplici. L’effetto trascinamento e lo spirito di competizione hanno accelerato il processo, rendendolo non solo possibile e attuabile, ma anche rispettoso del cronoprogramma concordato. Non sono mancati momenti di criticità. Si sono registrate delle resistenze al cambiamento che hanno messo in pericolo la riuscita del progetto. La tensione continua tra stabilità e innovazione, il conflitto tra settori più pronti e altri meno reattivi alle trasformazioni, l’abitudinarietà e l’autorefenzialità, associate a una diffidenza generalizzata verso le novità, hanno determinato delle reazioni negative. Vi sono stati professionisti che hanno percepito il cambiamento come una perdita di controllo sulle loro attività consolidate, sul loro ruolo in Azienda, sulle abitudini di vita e di lavoro. Si è allora puntato sugli alleati attivi, riducendo via via l’area grigia degli incerti fino a conquistarli al progetto, per evitare che diventassero alleati indiretti dei resistenti. Stefano Mezzopera, responsabile della formazione e del progetto, ha sostenuto un doppio lavoro: verso il team coinvolto (facilitatori) e, parallelamente, verso tutti gli artefici del progetto (attivi e resistenti), dimostrando opportunamente a tutti l’utilità dell’approccio, i successi ottenuti e i risultati legati alla nuova organizzazione. In questo modo, sono stati gradualmente eliminati i surplus di ansietà, monitorati e stabilizzati i cambiamenti, scoperte professionalità nascoste, che attendevano solo di essere riconosciute e valorizzate. Tutto ciò ha determinato la condivisione delle motivazioni sottese al cambiamento, generando prospettive a lungo termine.
 
Quali benefici si aspetta e, soprattutto, qual è il concreto vantaggio per i pazienti?
Sicuramente la promozione di una cultura della sicurezza. E la sicurezza dei pazienti si colloca nella prospettiva di un complessivo miglioramento della qualità dei servizi e dell’assistenza, attraverso l’adozione di pratiche di governo clinico che consentano di porre al centro della programmazione e gestione dei servizi sanitari i bisogni dei cittadini, valorizzando nel contempo il ruolo e la responsabilità di tutte le figure professionali che operano in sanità. Un ospedale sicuro significa per il paziente ottenere trattamenti appropriati, tempestivi e, soprattutto, controllati; fare scelte consapevoli, essere coinvolto nelle varie fasi dell’assistenza partecipando al processo decisionale, essere messo nelle condizioni di rafforzare il rapporto di fiducia e la relazione con medici e operatori. Un ospedale sicuro è, insomma, garanzia di affidabilità e trasparenza.
 
A livello economico ci sarà un risparmio? Se sì, di che numeri parliamo?
Il risk management nasce con una forte valenza-motivazione di tipo economico, integrata con motivazioni di tipo etico e deontologico. Tant’è che gli obiettivi di un programma di clinical risk management sono quelli di ridurre il verificarsi degli eventi avversi prevenibili, minimizzare il danno causato dall’evento avverso, diminuire le probabilità che siano intraprese azioni legali da parte dei pazienti e, quindi, contenere le conseguenze economiche delle azioni legali. Il risparmio, difficile da quantificare se non a lungo termine, è comunque certo perché si agisce in termini preventivi. Protocolli corretti, innovazioni procedurali e appropriatezza degli interventi, inoltre, riducono l’atteggiamento difensivo degli operatori della sanità, dovuto al moltiplicarsi delle azioni legali nei loro confronti da parte di utenti che a torto o a ragione si ritengono danneggiati. Sono, dunque, tre le variabili alle quali sarà legato il risparmio: la riduzione della medicina difensiva, l’abbattimento del costo dei risarcimenti e la riduzione dei prezzi delle coperture assicurative. 

27 novembre 2014
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