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Indagine ministero della Salute su Il ruolo delle donne nell’evoluzione del Ssn


08 MAR - Uno studio che analizza come, nel decennio appena trascorso, sia proseguito quel processo di femminilizzazione che investe da anni la sanità italiana. È questa la base di partenza offerta dal ministero della Salute per aprire il dibattito della Prima Conferenza nazionale che esamina, come dice il titolo, Il ruolo delle donne nell’evoluzione del Ssn e che si svolge oggi a Roma, nella giornata dell’8 marzo.
Lo studio si compone di due parti: una indagine quantitativa, che misura le dimensioni e le caratteristiche del fenomeno, e una indagine qualitativa, realizzata attraverso interviste rivolte a tredici donne che ricoprono posizioni di vertice nella sanità, per comprenderne il vissuto e la visione d’insieme che discende proprio dal loro ruolo apicale.
Sempre più donne: ma quante sono?
La sanità, forse per la prossimità al lavoro di cura, è sempre stato un settore in cui la presenza femminile era elevata, anche se in grandissima parte relegata ai ruoli medio-bassi. Pure, nel decennio appena trascorso questa presenza si è ulteriormente rafforzata sia in quantità (le donne in sanità erano il 59,08% nel 2001 e il 63,41% nel 2009), sia in qualità, con molte donne inserite nei livelli medio-alti. Infatti, già prima del 2000 le iscrizioni alla facoltà di medicina registravano una prevalenza di donne e, contemporaneamente, acquistavano un profilo professionale più definito, e universitario, le professioni sanitarie “non mediche”.
Ancora molto difficili da raggiungere i ruoli dirigenziali,anche se percentualmente, vista l’esiguità del dato di partenza, è proprio in questi ruoli che tra 2001 e 2009 si registra il maggiore incremento: le donne DG sono passate, ad esempio, da 10 a 24, che fa dunque registrare un aumento del 170,96%, anche se rispetto al totale dei DG sono soltanto il 9,64%. E negli incarichi dirigenziali di strutture non va meglio: tra i dirigenti di struttura complessa gli uomini sono 7 volte più numerosi delle donne, mentre tra i dirigenti di struttura semplice sono quasi 3 volte più numerosi.
Femminilizzazione: un fenomeno diffuso in tutte le Regioni
I trend di crescita sono sostanzialmente simili in tutte le realtà regionali, mentre ciò che fa la differenza è il dato di partenza. Così, in generale, continua a registrarsi una maggiore presenza di donne al Nord rispetto al Sud.  Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta sono ormai intorno al 70% di donne tra il personale della sanità, mentre in Sicilia, Calabria e Campania gli uomini sono ancora la maggioranza, malgrado proprio la Calabria registri, insieme alla Puglia e alla Basilicata, una crescita particolarmente veloce di presenze femminili negli anni presi in esame, segnando rispettivamente +11,72%, +11,85%, + 13,70%.
Casa e lavoro: una questione irrisolta
La scelta dell’orario part time, nella sanità, è declinata quasi esclusivamente al femminile, e certo non è un dato sorprendente. Nel 2001 le donne ricoprivano il 93,44% del totale dei contratti con questa formula, crescendo fino al 94,57 del 2009. Questo incremento però va letto nella più generale crescita di presenze femminili, visto che infatti aumenta, e molto di più, anche la percentuale di donne che lavorano a tempo pieno, passate dal 57,17% del totale dei lavoratori con questa tipologia di contratto nel 2001, al 63,41% del 2009.
Analizzando i dati con la metodologia dell’analisi delle corrispondenze (v. box), i ricercatori indicano come la tendenza delle donne sia verso il tempo pieno, magari con contratti a tempo determinato ma “allontanandosi da forme quali telelavoro, Lsu, lavoro interinale e contratti di formazione-lavoro.
La ricerca si sofferma anche sulla quantità di assenze fatte registrare dalle donne in confronto agli uomini: sul monte-assenze complessivo, nel 2001 il 66,60% è da attribuire alle donne, mentre nel 2009 è il 67,59%. Un minore incremento, dunque, rispetto agli uomini, visto che alle stesse date, come scrivevamo sopra, le donne erano rispettivamente il 59,08% e il 63,41% del totale degli occupati in sanità. E in effetti, scorporando il dato sulla base della motivazione dell’assenza, si scopre che la percentuale di assenze delle donne si è ridotta per tutte le voci (malattia, sciopero) salvo che per i permessi retribuiti, che comprendono la maternità, ma anche i congedi parentali e le assenze per malattia del figlio: le assenze con queste motivazioni nel 2001 riguardavano donne per l’85,75% del totale, salito al 95,52% nel 2009.
Proprio questi ultimi dati, ricorso al part time e assenze legate a motivi di cura familiare, mostrano come sia tutt’altro che risolto il problema del doppio lavoro per la donna. Un tema importante, affrontato nella seconda parte della ricerca attraverso le “storie di vita”.
Le interviste: vivere da donne la sanità
Non una ricerca statistica, ma un indagine mirata a conoscere il vissuto delle donne che nella sanità lavorano da anni. “L’ipotesi metodologica – spiegano i ricercatori – è stata quella di utilizzare le interviste come ‘storie di vita’, individuando nell’esperienza personale una fonte conoscitiva privilegiata; le interviste, allo stesso tempo, hanno fornito uno spettro di osservazione abbastanza ampio del fenomeno proprio in virtù della posizione organizzativa apicale rivestita dalle persone intervistate” Dunque, soltanto tredici interviste ma realizzate con interlocutrici speciali, tutte “apri-pista” nelle rispettive posizioni dirigenziali, avendo in media 55 anni e appartenendo dunque alla generazione che per prima, in modo non isolato, ha conquistato ruoli di vertice.
Essere “pioniere di genere” ha comportato per tutte la “fatica di dover dimostrare” e anche qualche contraccolpo nella vita privata: 5 di loro attualmente non hanno un compagno; solo 8 hanno avuto figli, certamente senza poter essere una “madre tradizionale”, come sottolineano. Non a caso le interviste convergono nell’indicare come “la conciliabilità tra vita privata e lavoro rappresenta l’aspetto che maggiormente condiziona le donne in merito all’accesso al mondo del lavoro in sanità prima e all’avanzamento di carriera poi”, anche se nelle ragazze che entrano ora in sanità vedono un crescente ambizione professionale e un minor peso dei progetti familiari tradizionali, in ragione di una trasformazione dei ruoli sociali e culturali di genere. Da segnalare anche che se per alcune professioni le buone retribuzioni consentono di poter cantare su aiuti domestici a pagamento, per altre, a cominciare dalle infermiere, questo non è possibile, e l’impegno “in carriera” diventa quasi impossibile.
Ma ad impedire l’accesso ai ruoli dirigenziali ci sono, a detta delle intervistate, anche ragioni interne alla struttura e alla cultura del mondo sanitario: gli orari, ad esempio, o il mancato reintegro sostanziale dopo un periodo di maternità, ma soprattutto la “naturale” continuità della dirigenza tra maschi. Tanto che in una delle interviste si avanza la proposta di una rotazione nei ruoli dirigenti, affidati alternativamente a un uomo o a una donna.
Tra le soluzioni proposte da molte intervistate anche la “semplice” creazione di asili nido aziendali.
Esiste un “modello femminile” di sanità?
Molta cautela nelle interviste sull’esistenza di un modo “da donne” di fare la sanità. Tuttavia alcune attitudini femminili sono riconosciute un po’ da tutte: maggiore capacità organizzativa e di mediazione, più attenzione ai rapporti nei gruppi di lavoro, più disposizione alla comunicazione.
Tutte caratteristiche particolarmente preziose per la sanità del futuro, che sempre più dovrà essere d’èquipe e trovare il coinvolgimento e la partecipazione dei pazienti
 
LE MAGNIFICHE 13
Chi sono le tredici donne dirigenti del Ssn intervistate per la ricerca
Anna Maria Calcagni
Presidente Omceo di Fermo
Annalisa Silvestro
Presidente Federazione nazionale Ipasvi, direttrice del Servizio Assistenziale, Tecnico Sanitario e Riabilitativo dell’Ausl di Bologna
Antonella Polimeni
Direttore Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Ortognatodonzia, Università La Sapienza, Policlinico Umberto I di Roma
Cristina Marmorale
Prof. Ordinario Chirurgia Generale Policlinico Universitario Ancona, Presidente Società Italiana di Chirurgia Generale
Gabriella Bettelli
Direttore Dipartimento Chirurgia e Rianimazione Istituto nazionale di Ricovero e Cura per anziani – Irccs (Ancona)
Maria Grazia Cifone
Preside Facoltà di Medicina e Chirurgia Università de L’Aquila
Maria Grazia Modena
Direttore Dipartimento Cardiologia Policlinico Universitario di Modena
Paola Muti
Direttore Scientifico Ifo, Istituti Fisioterapici Ospedalieri – Irccs (Roma)
Patrizia Maioli
Presidente Società Italiana di Citologia, Ausl Ravenna
Rita Formisano
Direttore Unità Post-Coma Fondazione Santa Lucia di Roma
Roberta Chersevani
Presidente Omceo di Gorizia
Roberta Pacifici
Presidente Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica, referente Pari Opportunità per l’Iss (Roma)
Stefania Bucher
Responsabile Chirurgia Plastica e Ricostruttiva Ifo – Isg, Istituti Fisioterapici Ospedalieri e Istituto San Gallicano – Irccs (Roma)


La metodologia dell’indagine quantitativa
L’ampiezza dei dati a disposizione, “principalmente sulla base dei rilievi forniti dal Conto Annuale della Ragioneria dello Stato sul personale del Ssn”, e le molti variabili in gioco facevano correre il rischio di ottenere un quadro analitico, ma difficile da interpretare, nel quale non fossero messe in luce le “caratteristiche salienti del fenomeno analizzato”.
Per questo le ricercatrici e i ricercatori della Fondazione laboratorio per le politiche sociali – Labas, cui si deve la realizzazione della ricerca, hanno deciso di utilizzare la tecnica statistica multifattoriale nota come “analisi delle corrispondenze”, che in qualche modo “raggruppa” le variabili, mettendo in evidenza i “fattori latenti”. Il metodo è stato applicato utilizzando il pacchetto statistico SPSS© versione 18 per apple.
 

08 marzo 2011
© Riproduzione riservata
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