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Le nuove reti in sanità. Ecco cosa ne pensano Tonino Aceti (Cittadinanzattiva-Tdm) e Fernanda Gellona (Assobiomedica)


28 NOV - Sul tema della cronicità e della sostenibilità del Servizio sanitario nazionale affrontati dal sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, sono intervenuti anche il coordinatore nazionale del Tribunale diritti del malato - Cittadinanzattiva, Tonino Aceti, ed il direttore generale di Assobiomedica, Fernanda Gellona.
 
Condivide la necessità di una così importante "revisione" dell'organizzazione o potrebbero gli sforzi essere più miratamente condotti a potenziare la risposta ospedaliera?
Aceti: La ri-organizzazione deve mirare a rispondere ai bisogni della popolazione (con particolare riguardo alla cronicita, non autosufficienza, disabilita') e a potenziare la risposta assistenziale, non a generare ulteriori disagi ai cittadini. Ricordiamo che oggi il primo problema che ci segnalano le persone che si rivolgono alla nostra Organizzazione è la difficoltà di accesso alle prestazioni e ai servizi che il SSN deve garantire. Ogni intervento organizzativo-strutturale deve andare incontro a questa esigenza, guardando anche alle necessità delle persone che vivono in territori che non insistono su aree urbane, ma anche in piccoli comuni/aree rurali dove il riassetto della rete ospedaliera (DM 70/2015) senza la contemporanea attivazione/potenziamento/integrazione di servizi territoriali sanitari e sociali, sta creando importanti disagi per le comunità locali. I servizi sostanzialmente devono avvicinarsi ai cittadini e non viceversa come sta purtroppo accadendo: "avvicinarsi" non è solo un concetto fisico, ma anche di nuove modalità di erogazione dei servizi, sfruttando le opportunità che l'innovazione offre, e di impostazione degli interventi socio-sanitari.
In conclusione, abbiamo bisogno che si mantenga in modo uniforme sul territorio nazionale quella promessa fatta ai cittadini negli ultimi anni in ogni occasione di riorganizzazione della rete ospedaliera del nostro Paese, e troppe volte disattesa: la contemporanea attivazione/potenziamento/integrazione dei servizi territoriali sanitari e sociali. 
 
Gellona: Una revisione dell’organizzazione dell’offerta di salute è fondamentale per rendere più efficienti i servizi sanitari e snellire al tempo stesso i pronto soccorso. Soprattutto se si tratta di cronicità sarebbe più appropriato che queste prestazioni venissero allocate fuori dalla rete di emergenza-urgenza, creando un beneficio sia per il paziente sia per la gestione sanitaria. I primi avrebbero il vantaggio di evitare inutili attese e venire magari assistiti meglio da specialisti di quella patologia cronica. Mentre le strutture ospedaliere snellirebbero il flusso dei pazienti concentrandosi sull’emergenze-urgenza. Sulla base di questi principi Assobiomedica e Federsanità ANCI lanceranno un’iniziativa congiunta martedì prossimo proprio al Forum Risk Management di Firenze.
 
 
Il modello delle Reti Cliniche Integrate Strutturate è concettualmente l'evoluzione - appunto strutturata - della medicina d'Iniziativa (c.d. Cronic Care Model):a Suo giudizio una medicina che non "aspetta sulla soglia", ma pro-attivamente richiama i soggetti cronici può migliorare l'equità e, di conseguenza, la qualità delle cure?
Aceti: La medicina d'iniziativa ha un grande valore: non lascia indietro nessuno. Questo dovrebbe valere per tutto (in ogni ambito assistenziale), quindi un modello che va in questa direzione, come quello disegnato dalle reti cliniche integrate strutturate, va incontro alla necessità di prossimità e proattività dei servizi/professionisti socio-sanitario. Non c'è dubbio che i cittadini avrebbero beneficio da un approccio pro-attivo, sia in caso di patologie croniche ma non solo per quelle. Mi riferisco a tutta quella attività di prevenzione che deve essere messa in atto, come ad esempio screening, valutazione e controllo dei fattori dei rischio, ecc. 
 
Gellona: Certamente, la valorizzazione della rete assistenziale territoriale potrebbe essere una scelta proattiva nella gestione delle patologie croniche, che richiedono percorsi assistenziali ad hoc e possono essere gestiti a livello ambulatoriale. Una riorganizzazione di questo genere coniugherebbe la qualità con la sostenibilità del sistema, valorizzando al tempo stesso le innovazioni tecnologiche sempre più orientate a fornire beni e servizi di telemonitoraggio o teleassistenza.
 
 
Le AFT (aggregazioni funzionali territoriali) con la L. 189/2012 dovranno divenire il baluardo ("overtime") di prossimità per i cittadini, assicurando la presa in cura e la prevenzione, primaria e secondaria. Con questa progettualità, esse si potenziano arricchendosi dell'integrazione con altre professionalità (infermiere di comunità, assistente sociale, etc - etc) tanto da assicurare una risposta sicura e "autorevole" anche per i pazienti bisognosi di alta intensità di cura: ritiene che ciò accadrà con facilità o che vi saranno resistenze, in particolare da parte dei medici?
Aceti: Ogni cambiamento organizzativo dell'assistenza è complesso. Per superare le eventuali resistenze devono essere garantiti:
- Confronto/partecipazione/coinvolgimento preventivi con le comunità locali, con gli operatori sanitari e sociali coinvolti, nonché con tutti gli stakeholder interessati;
- comunicare e sensibilizzare cittadini e operatori sanitari/sociali sui contenuti del cambiamento che si vuole realizzare, spiegandolo molto bene;
- capacità di governo delle istituzioni per il cambiamento;
- volontà e capacità delle Istituzioni di contrastare interessi che nulla hanno a che vedere con i bisogni dei cittadini.
Ho avuto modo di visionare solo sulla carta il progetto Reti cliniche integrate e strutturate, non facile da "calare" nella realtà quotidiana e sulla base delle contingenze territoriali che presenta il nostro Paese.
Le AFT non sono una novità, le ha previste il Decreto Balduzzi. Per i cittadini ha poca importanza come si chiami una struttura, non è un problema di sigle. Quello che conta per i cittadini è avere un riferimento che dia risposte concrete ai loro bisogni di salute, risposte in tempi certi e celeri, senza essere rimpallati da un posto a un altro.
Le Reti cliniche integrate, come ho letto, dovrebbero essere composte da un team di professionisti multiprofessionale. Bene che si punti su percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (PDTA) e percorsi individuali.
I nodi però rimangono se poi continuano a persistere liste d'attesa non governate e governabili e non trasparenti, se la persona per avere una visita specialistica ambulatoriale debba attendere mesi e mesi e ricorrere al privato per "evitare le file" o perchè i ticket sono troppo alti ed il privato diventa un servizio più di prossimità o più concorrenziale nelle offerte dei servizi.
Rispetto alle eventuali reazioni dei medici, è difficile a priori esprimermi su questo. Pensando ai MMG, significherebbe attuare un cambiamento a cui ci si deve interrogare se siano pronti ad attuarlo e quanto agli specialisti ospedalieri ed altre figure professionali c'è da chiedersi quali saranno le modalità di "lavoro" e di consultazione. Sul progetto tutto questo non è approfondito.  
 
Gellona: La riorganizzazione dei servizi di assistenza è una sfida che il nostro Paese deve cogliere per rilanciare il servizio sanitario nazionale e renderlo competitivo a livello internazionale. Abbiamo le competenze e le risorse per farlo, è necessaria però la volontà politica a livello centrale per investire in tal senso con la consapevolezza che questo processo porterà nel medio-lungo termine non solo risparmi, ma anche servizi più appropriati e innovativi.
 
In una comunità che risiede in un'area omogenea, i temi socio-sanitari investono - non poco - i comuni e le loro Competenze: quale loro nuovo ruolo potrebbe essere messo in campo? E' , da Lei, condivisa una loro funzione di co-pianificazione/programmazione con la ASL? Ed - anche - una funzione di monitoraggio - controllo degli indicatori di processo - esito per dare ad ogni Sindaco gli strumenti di valutazione di come la comunità di cui è garante è tutelata?
Aceti: Partendo dai bisogni che oggi hanno le persone, è difficile scindere frequentemente cosa sia strettamente sanitario da ciò che è invece componente sociale. Se poi si volesse guardare al concetto di salute espresso al livello internazionale "health in all policies", allora è evidente che la programmazione e l'erogazione dei servizi debba essere strettamente interrelata con i comuni. Questo consentirebbe di allineare il pensiero dei Comuni con quello delle ASL, spesso invece in contrasto tra loro come nel caso della riorganizzazione della rete ospedaliera (DM 70/2015). Inoltre garantirebbe per tempo di non lasciare buchi, di occuparsi ad esempio della mobilità per raggiungere le strutture sanitarie, abbattere le barriere architettoniche e sensoriali per favorire la maggiore autonomia, organizzare gli spazi verdi e i servizi di trasporto, etc. E' evidente anche che comuni e asl non possono "cantarsela e suonarsela" da soli: le comunità locali sanno esprimere i propri bisogni, sono in grado di partecipare attivamente al disegno dei servizi "su misura" che servono per superare i problemi che vivono e proporre soluzioni innovative.
Una co-creazione, disegno congiunto, valutazione condivisa e eventuale ri-organizzazione delle cose che funzionano meno sono fondamentali per avvicinare le risposte istituzionali di salute e sociali alle necessità della collettività, in particolare quella che vive particolari condizioni di fragilità.
Il disegno deve riconoscere alla persona che ha una o più malattie croniche/disabilità e alle famiglie un ruolo di co-attore, che come tale partecipa attivamente alle scelte di cura più adatte alle sue esigenze di vita. Per questo, ad esempio, deve poter contare su un punto di riferimento raggiungibile e chiaramente identificato che possa rispondere a dubbi, piccole "emergenze" quotidiane prevedibili per quelle condizioni. Sarebbe utile una sorta di patto di cura, che preveda momenti di verifica degli esiti del percorso, oltre che eventuali modifiche al percorso quando risulti inefficace, o le condizioni personali e cliniche lo richiedano. 
 
Gellona: Se si vuole pianificare una nuova rete assistenziale socio-sanitaria è chiaro che vanno coinvolte tutte le figure chiave presenti nella comunità e sul territorio. Non possiamo ignorare che queste risorse dovranno dialogare insieme con l’obiettivo comune di mettere al centro i bisogni specifici dei pazienti. Questo processo potrà essere agevolato con il supporto dell’industria che attraverso una reingegnerizzazione dei processi di erogazione dei servizi può dare un contributo importante alla progettazione e realizzazione dell’assistenza.
 

28 novembre 2016
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