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Fine vita. Un manifesto d’intesa tra cattolici e non credenti ispirato da Giuliano Amato e dal cardinal Gianfranco Ravasi. “Medico ha dovere di interrompere le cure se non proporzionali a benefici e sofferenze della persona” 

di G.R.

Il documento elaborato dal “Cortile dei Gentili” con la partecipazione attiva di membri della Siaarti e della Sicp, è stato presentato ieri al Senato. Nei casi di legittimo rifiuto o di non proporzionalità delle cure, “l’astensione e l’interruzione sono condotte che adempiono a un dovere deontologico e come tali devono essere sottratte a sanzione, sia civile che penale”. IL DOCUMENTO

18 SET - I princìpi e gli strumenti che si devono considerare alla base della relazione di cura tra il medico e il paziente, sono stati al centro dell’incontro che si è svolto ieri nella Sala Zuccari del Senato. All’evento, organizzato dal “Cortile dei Gentili”, la Fondazione che promuove il dialogo tra credenti e non credenti, hanno partecipato il Presidente del Senato Pietro Grasso, il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, il Cardinale Gianfranco Ravasi, il Presidente della Fondazione, Giuliano Amato, il Senatore Luigi Manconi, e alcuni esperti di diritto e di medicina. Tra questi, Paolo Zatti, Laura Palazzani e Alberto Giannini
 
Nel corso dei lavori sono state esposte le linee guida e le proposte del Rapporto elaborato dal “Cortile dei Gentili” con la partecipazione attiva di membri della Siaarti e della Sicp.  Introducendo i lavori, Giuliano Amato ha detto: “È l’accento che conta in queste Linee, un accento che è sulla natura dialogica della relazione di cura, sull’incontro che essa deve provocare fra le ragioni mediche e quelle che scaturiscono non solo dalla malattia, ma dalla personalità del paziente. Nascono di qui l’appropriatezza e la proporzionalità della cura, oltre che la ragionevolezza della sua prosecuzione”.
 
Da parte sua il Cardinale Ravasi ha sottolineato il valore del Rapporto sul fine vita, elaborato nell’arco di due anni da giuristi non credenti e cattolici. “Non abbiamo paura del dibattito su un tema così delicato perché lo scopo del Cortile è stimolare la riflessione. Il documento – ha proseguito Ravasi – viene offerto alla politica e può essere oggetto anche di critiche, ma è il risultato di un dialogo che contribuisce a scavare in profondità nella grandezza della persona e nelle questioni che sollecitano l’antropologia contemporanea”.
 
Sul significato dell’iniziativa è intervenuto anche Paolo Zatti, Professore di Diritto Privato all’Università di Padova, che ha aggiunto: “Persone con convinzioni diverse hanno seguito insieme un sentiero antico e nuovo quello della proporzione come legge fondamentale della relazione di cura, e hanno scoperto di poter arrivare a conclusioni impegnative ma piena- mente condivisibili”.

Passando ad analizzare il documento possiamo osservare come la relazione di cura sia l’asse portante di questo lavoro. Questa relazione deve essere vista e vissuta come un dialogo costante fra paziente e medico. È su questa premessa che il documento definisce e chiarisce i tre principi ai quali le cure devono ispirarsi: appropriatezza, proporzionalità e consensualità.
 
La cura è appropriata non solo quando soddisfa i parametri di oggettiva validità scientifica, ma quando è in sintonia con il sentire del paziente rispetto al suo bene e riscuote cosi la sua fiducia, anche perché se ne sente coinvolto e rispettato. La cura viene dunque definita come proporzionale quando tiene conto insieme dei benefici e della sofferenza della persona curata, con la conseguenza che nasce per il medico il dovere di interromperla e rimodularla, ove risulti non proporzionata sotto l’uno o sotto l’altro profilo.
 
Nel documento si spiega come l’autodeterminazione del paziente vada sempre sostenuta, anche quando si esprime nella scelta di affidarsi puramente e semplicemente al medico. E nel caso in cui le sue condizioni fisiche e psichiche non gli consentono di prendere parte attiva alle decisioni terapeutiche, il medico farà comunque il possibile per osservare i principi di appropriatezza e di proporzionalità e sarà sempre pronto a riconsiderare la propria valutazione per rispettare la volontà del malato.
 
Nella relazione terapeutica viene anche collocato il rifiuto delle cure, che viene definito come un risvolto necessario della loro consensualità e della loro stessa appropriatezza, in relazione al beneficio che ne percepisce il paziente. Nei casi di legittimo rifiuto o di non proporzionalità delle cure – sottolinea il documento – l’astensione e l’interruzione sono condotte che adempiono a un dovere deontologico e come tali devono essere sottratte a sanzione, sia civile che penale.  
 
Giovanni Rodriquez

18 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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