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Una legge per istituire l’omicidio sul lavoro. Pene fino a 18 anni di carcere per i datori di lavoro che non rispettano le regole

di Domenico Della Porta

Presentata stamattina al Senato la proposta di legge del parlamentare di Sinistra Italiana-Sel Barozzino. Obiettivo quello di “una punizione più severa nei confronti di chi sul lavoro cagiona la morte di vittime innocenti, per distrazione, disinteresse, o peggio per un’assoluta non curanza delle normative sul lavoro”. IL TESTO DEL DDL.

09 FEB - Prende spunto dalla recente legge sul reato di omicidio stradale il ddl presentato questa mattina al Senato dal proponente Giovanni Barozzino (SI-SEL) membro della Commissione Lavoro del Senato, che si propone di introdurre nel nostro Codice penale anche il reato di omicidio sul lavoro e il reato di lesioni personali sul lavoro gravi o gravissime.
 
Alla conferenza stampa hanno preso parte tra gli altri il Sen. Felice Casson (PD) della Commissione Giustizia del Senato, l’On. Giorgio Airaudo (SI-SEL) della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, Maura Crudeli, Presidente dell’Associazione Italiana Esposti Amianto, Sebastiano Calleri, Responsabile Salute e Sicurezza CGIL Nazionale, Sara Palazzoli, Responsabile Salute e Sicurezza Cgil Flai. 
 
Secondo Carlo Soricelli coordinatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, presente anch'egli alla conferenza stampa, nel 2016 sono morti 641 lavoratori sui luoghi di lavoro e oltre 1400 se si considerano i morti per lavoro sulle strade e in itinere (stima minima per l’impossibilità di conteggiare i morti sulle strade delle partite iva individuali e dei morti in nero), e di altre innumerevoli posizioni lavorative, ricordando che solo una parte degli oltre 6 milioni di Partite Iva individuali sono assicurate all’INAIL.
 
Come tutti gli anni è l’agricoltura a pagare un prezzo elevatissimo di sangue con il 31% di tutte le morti per infortuni sui luoghi di lavoro. E delle morti in questo settore ben il 65% sono provocate dal trattore.
 
La seconda categoria con più morti sui luoghi di lavoro è l’edilizia con il 19,6%. Le cadute dall’alto sono il maggior fattore di rischio. E’ l’autotrasporto con il 9,3% dei morti la terza categoria con più vittime. In questo comparto sono inseriti i morti di diverse categorie.
 
Seguono L’industria, esclusa l’edilizia, comprese le imprese più piccole, che ha complessivamente l’8,2% delle morti. Poi gli artigiani di tantissime categorie, soprattutto nelle imprese appaltatrici, gli infortuni riguardano anche un numero impressionante di Partite Iva che non sono inserite tra le morti sul lavoro nelle statistiche dell’INAIL.
 
Nella relazione di accompagnamento alla bozza del DDL, viene rammentato che a questo istituto arrivano moltissime denunce per infortuni, anche mortali, che poi non vengono riconosciute come tali proprio per non avere questa assicurazione. E’ un aspetto che deve essere sempre tenuto in considerazione quando si parla del fenomeno infortuni sul lavoro e delle statistiche ad esso correlate.
 
E’ importante dare anche qualche numero relativo ai lavoratori stranieri che sono l’8,2%, un calo dell’1,6% rispetto al 2015. Impressionante sapere che il 27,7% dei morti sul lavoro ha più di 61 anni.
 
E’ la Campania la regione con più morti sui luoghi di lavoro.  Seguono l’Emilia Romagna che nel 2016 raddoppia i morti sui luoghi di lavoro, poi il Veneto. Quinta la Lombardia che ha un decremento importante del 27%.  E’ la provincia di Napoli quella con più morti sui luoghi di lavoro, compresi tre pescatori morti in mare, la seconda in questa triste classifica è la provincia di Vicenza con 20 morti, segue Brescia con 18 morti, a seguire qui sotto ci sono le morti sui luoghi di lavoro di tutte le province italiane.
 
Con la legge 23 marzo 2016, n. 41 è stato introdotto nel nostro ordinamento il cosiddetto reato di “omicidio stradale” per quei reati colposi causati da gravi violazioni delle normative sulla circolazione stradale. Ciò è stato accolto con comprensibile soddisfazione da tutti quanti siano state vittime di questi gravi episodi di cronaca e dalle associazioni dei familiari, stante le gravi conseguenze coinvolgenti tutta la comunità (si pensi solo alle altissime spese sanitarie poste a carico della collettività).
 
Arrivati a questo punto era logico domandarsi perché voler prevedere un aumento di pena solo per il caso di reato di omicidio stradale e non anche per coloro che cagionano la morte di persone violando negligentemente le norme di prevenzione in materia di infortuni sul lavoro di cui al 589 c.p. Trattasi forse di fattispecie di minor rilevanza o di morti che non meritano di ricevere la medesima giustizia? E’ forse più grave uccidere violando le norme stradali piuttosto che violando la normativa di prevenzione antinfortunistica? L’articolo 3 della nostra Costituzione non sancisce forse un principio di uguaglianza sostanziale che dovrebbe vedere collocati sullo stesso gradino legislativo situazioni di fatto analoghe?
 
Tutte vittime che il nostro legislatore ha il dovere di “vendicare” giuridicamente nel modo più adeguato possibile e soprattutto senza creare di fatto ingiustificate disparità di trattamento.
 
Per tale motivo sulla falsariga dell’omicidio stradale introdotto dalla citata legge n. 41/2016 si propone un identico percorso anche in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali.
 
Ecco uno stralcio della Relazione di accompagnamento alla bozza del Disegno di Legge “Barozzino”
Con l'articolo 1, si propone  di introdurre nel codice penale gli articoli 589-quater e 589-quinquies , 590-- quinquies 590-sexies, aventi rispettivamente ad oggetto il reato di omicidio sul lavoro, con le diverse graduazioni a seconda delle norme violate in tema di sicurezza sul lavoro, il reato di omicidio sul lavoro aggravato nell’eventualità di sfruttamento sul lavoro, il reato di lesioni personali sul lavoro gravi o gravissime, il reato di lesioni gravi e gravissime sul lavoro aggravato dal concorso con lo sfruttamento sul lavoro e la disciplina del computo delle circostanze (attenuanti ed aggravanti) in riferimento alle neo introdotte fattispecie criminose, con contestuali modifiche di coordinamento anche nel codice di procedura penale e al D. lgs. N. 81/2008.
 
Prima dell’entrata in vigore dei predetti interventi normativi le risposte sanzionatorie in relazione ad ogni singolo episodio di vittime sul lavoro trovavano fondamento nelle argomentazioni e oscillazioni giurisprudenziali inerenti l’annosa e delicata distinzione tra colpa cosciente e dolo eventuale.
Si ravvisa la colpa cosciente nell’atteggiamento dell’agente che, pur rappresentandosi l’astratta possibilità di realizzazione del fatto, ne respinge il rischio, confidando nella propria capacità di controllare l’azione. Da qui la non-volizione. Nel caso di dolo eventuale invece sussiste l’accettazione del rischio (quindi, volizione) che si realizzi un evento diverso, concretamente possibile, ancorché direttamente non voluto.
 
Il nostro codice penale punisce, come è noto, sia l’omicidio doloso (art. 575) che l’omicidio colposo (art. 589), pertanto l’analisi dell’elemento psicologico diveniva assolutamente rilevante al fine di ricondurre il caso concreto nell’alveo della fattispecie di reato ad essa corrispondente.
 
Il reato sul lavoro rientrava di fatto nella fattispecie colposa e pertanto punito ai sensi dell’art. 589 c.p., secondo comma, con la reclusione da due a sette anni, mentre in presenza di una pluralità di vittime, ovvero di morte di una o più persone e ferimento di altre, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, con la previsione che la pena non può superare gli anni quindici.
 
Dalla formulazione del menzionato art. 589 c.p. è evidente che il legislatore non è mai rimasto inerte di fronte al fenomeno degli incidenti mortali sul lavoro: la Legge 24 luglio 2008 n. 125, intitolata “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, nel modificare il testo dell’articolo ha infatti fortemente inasprito il trattamento sanzionatorio dell’omicidio colposo e delle lesioni personali colpose dando autonomo risalto, come evidenziato, alle ipotesi in cui tali reati siano commessi con violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro.
 
Nonostante ciò non è mai risultato sufficientemente soddisfatto il bisogno di una punizione più severa nei confronti di chi sul lavoro cagiona la morte di vittime innocenti, per distrazione, disinteresse, o peggio per un’assoluta non curanza delle normative sul lavoro dimostrando di dare la precedenza ad altri interessi e valori rispetto alla tutela massima della vita umana in ogni manifestazione sociale.
Il nuovo reato di omicidio sul lavoro di cui all’art. 589-quater c.p. attribuisce rilevanza penale ad una serie di condotte distinguendole in base al grado della colpa.
 
In particolare:
• punisce con la reclusione da due a sette anni l’omicidio commesso in violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali (comma 1). E’ sostanzialmente in caso base che prima era punito dall’art. 589 c.p. secondo comma, con in più l’esplicita previsione anche dell’evento morte causato da malattia professionale con ciò ponendo fine a talune problematiche relative al riconoscimento di quest’ultime che aveva portato anche in giurisprudenza alla creazione di figure intermedie quale l’infortunio/malattia..
• prevede un aggravamento di pena nei casi il datore di lavoro non abbia adempiuto ai due obblighi base della tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro previsti dal d. D.Lgs. n. N 81/2008, ovvero la valutazione dei rischi e la nomina del responsabile sicurezza e prevenzione ex art. 28 del medesimo decreto o non abbia adempiuto all’obbligo di comunicare all’INAIL la natura delle lavorazioni svolte con i conseguenti rischi (comma 2). E' evidente che ove previsti la mancanza della valutazione dei rischi e quindi la conoscenza delle possibili situazione pericolose per i lavoratori nonché l’assenza della figura che di tali rischi e situazioni deve essere vigile osservatore, sono indici di un ingiustificabile disinteresse per la sicurezza e in definitiva della vita dei lavoratori, tale da poter configurare anche diverse valutazioni dal punto di vista soggettivo del reato quali colpa cosciente o dolo eventuale. E’ da aggiungere che tale reato è specifico del datore di lavoro trattandosi di obblighi, la valutazione del rischio e la nomina del RSPP di esclusiva competenza di quest’ultimo e per legge non delegabili a terzi.
• prevede la medesima pena della reclusione da otto a dodici anni qualora la morte sia stata causata dalla violazione della normativa prevista dal D.Lgs.n. 81/2008 in tema di agenti fisici, sostanze pericolose, esposizione ad agenti biologici (comma 3). Tale aggravamento è facilmente comprensibile solo se si pensi alla questione amianto e ai gravissimi rischi a cui si espongono non solo i lavoratori ma anche la popolazione generale in caso di violazione di queste norme. Si pensi al rischio di diffusione di un agente biologico contagioso o al problema dell’esposizione a materiale radioattivo (tra cui il famigerato gas radon).
• punisce con la reclusione da cinque a dieci anni (comma 4) colui che cagiona la morte di una persona mettendogli a disposizione strumenti di lavoro non conformi alla normativa comunitaria e nazionale, si pensi per esemplificare a un caso purtroppo tra i più frequenti in agricoltura ovvero i decessi a seguito di schiacciamento per ribaltamento di trattori privi del prescritto arco di protezione
• prevede un aumento di pena pari al caso precedente (comma 5, punti 1 e 2) se il reo ha commesso il fatto violando l’art. 46 del D.Lgs. n. 81/2008 (ovvero la normativa in tema di rischio incendio) o la normativa sull’uso dei dispositivi di protezione individuale, sull’utilizzo degli strumenti da taglio in ambito ospedaliero e la protezione da atmosfere esplosive. Per tutti valga il gravissimo caso della Thyssen Krupp
• è prevista inoltre un aggravante specifica qualora sia riconosciuta anche la responsabilità della persona giuridica ex D.Lgs. n. 231/2001 e per il datore di lavoro che operava senza assicurazione per gli infortuni sul lavoro (comma 6);
• prevede un aumento di pena, in particolare la pena che dovrebbe essere inflitta per la violazione più grave aumentata fino al triplo da contenersi nel limite massimo di diciotto anni, qualora il reo cagioni la morte di più persone o la morte di una o più persone e le lesioni di una o più persone (comma 7).
Con l'articolo 2 si prevede un aumento di pena  per lesioni sul lavoro gravi e gravissime (590-quinquies) con diversa gradazione delle pene in questo caso variabili da uno a sette anni di reclusione.
Sono inoltre introdotte ex novo due fattispecie specifiche di reato nell’eventualità l’omicidio sul lavoro e/o le lesioni gravi e gravissime sul lavoro (589 quinquies e 590 sexies) siano state compiute in concorso con la nuova figura di reato prevista dall’art. 603 bis c.p. di sfruttamento sul lavoro. E’ evidente che l’infortunio sul lavoro grave e mortale in un ambito di lavoro clandestino e quasi di schiavitù come previsto dalla citata norma non è altro che il frutto velenoso di fenomeni di imbarbarimento della nostra società che purtroppo si stanno facendo sempre più frequenti, soprattutto nelle aree più degradate del nostro paese e riguardanti i lavoratori più deboli (stranieri e donne).
Si sono introdotte poi delle specifiche aggravanti in entrambe le fattispecie colpose di cui all’art. 589 quater e 590 quinquies nell’eventualità il reo sia punibile anche ai sensi della normativa di cui al D.Lgs. n. 231/2001 in tema di responsabilità della persona giuridica e nel caso, purtroppo frequente che il datore sia privo di assicurazione sugli infortuni sul lavoro. Spesso infatti accade che pur in presenza di una condanna, la vittima del reato non abbia alcun risarcimento del danno perché il responsabile risulta essere, almeno formalmente, incapiente o privo di redditi, con ciò aggravando la situazione di chi spesso oltre al danno fisico per l’infortunio non ha di che mantenere la propria famiglia, trovandosi nell’impossibilità di poter lavorare. Quest’ultimo aspetto per altro è una tutela anche per l’erario, che a sua volta può rifarsi sull’assicurazione per quelle somme di assistenza sociale, sanitaria e previdenziale che abbia dovuto anticipare al lavoratore infortunato.
Infine con l’art. 590 septies si introducono definizioni per lavoratore e datore di lavoro in ossequio al principio di tassatività proprio del diritto penale. In questo caso si è deciso di adottare le medesime definizioni del D.Lgs. n. 81/208, proprio perché si ritiene siano le più ampie e comprensive possibile.
Pertanto “lavoratore” è colui che indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari.
Parallelamente nella definizione di datore di lavoro sono ricompresi oltre al titolare formale del rapporto di lavoro anche colui che ha l’effettivo potere decisionale e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni si applicherà invece l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per cui per  datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione.
In entrambi casi vale però il principio sussidiario generale che nell’eventualità non sia chiaramente individuabile un datore di lavoro, quest’ultimo coinciderà con l’organo di vertice dell’organizzazione ove opera il lavoratore.
E’ importante sottolineare per altro che a parte la fattispecie prevista dall’art. 589 quater e 590 quinquies al comma 2 e al comma 6 circa l’aggravante per la mancanza dell’assicurazione, ove possiamo parlare di reato proprio del datore di lavoro, tutte le altre fattispecie sono applicabili a “chiunque” abbia cagionato l’infortunio con ciò richiamandosi alla copiosa giurisprudenza anche di legittimità in tema di responsabilità solidale dei committenti, appaltatori, etc..
Con tale disegno si punta quindi a concretizzare le recenti parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che in occasione della giornata nazionale delle vittime sul lavoro ha dichiarato che "la sicurezza sul lavoro è una priorità e costituisce il banco di prova dell'efficienza di un Paese. Sul tema non è accettabile alcun calo di attenzione da parte delle istituzioni e delle forze sociali” e che "qualsiasi incidente sul lavoro è infatti intollerabile, e anche una sola vittima infligge al corpo sociale una ferita non rimarginabile".
 
Domenico Della Porta

09 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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