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Infermieri/3: "Il manager dei letti"


01 DIC - Mirco Gregorini è un “prototipo” dei nuovi infermieri. Classe ’64, si è formato nelle vecchie scuole regionali, accumulando poi esperienze sul campo e percorsi di studio non universitari (abilitazione alle Funzioni Direttive) e universitari (Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, Master in “Metodologia e Analisi della Responsabilità Professionale nell’area infermieristica”). Inoltre, è professore a contratto dal 2007 nel Corso di Laurea in Infermieristica dell’Università Politecnica delle Marche, ha pubblicato studi e ha collaborato alla redazione di riviste specializzate. Oggi Gregorini è anche il prototipo di un nuovo profilo professionale: il bed manager.
In Italia è probabilmente ancora il solo bed manager in attività con contratto da Dirigente Sanitario, ma la sua esperienza presso l’Ospedale Universitario Meyer di Firenze sta suscitando molto interesse e probabilmente presto ci saranno nuovi “manager dei letti”.

Dottor Gregorini, cosa fa un bed manager?
In sostanza, crea le condizioni per usare al meglio tutti i posti letto disponibili nella struttura attraverso la programmazione di tutta l’attività di ricovero (chirurgica e medica), l’attività chirurgica, l’attività ambulatoriale e pianificando in modo dinamico la logistica dei paziente in base alle fasi della degenza (il Meyer è organizzato per intensità di cura).

È una funzione tipicamente infermieristica?
In realtà no. È una funzione della direzione aziendale che potrebbe essere ricoperta anche da un medico, o magari da un ingegnere gestionale. Ma la mia convinzione è che sia fondamentale attribuire tale funzione ad un sanitario e, tra questi, ad un infermiere perché sicuramente unisce le opportune e necessarie competenze cliniche e logistiche che servono per supervisionare sia la gestione dei posti letto sia il governo del percorso del paziente in ospedale. Io sono stato chiamato a farlo perché mi ero già occupato di questa materia, avevo studiato le esperienze già esistenti in altre parti del mondo (Stati Uniti, Canada, Inghilterra) e mi era capitato di fare cenni rispetto a questo modello durante alcuni incontri pubblici.
Così il Meyer ha deciso di provare a realizzare il mio progetto, anche perché in questo ospedale, che ha solo 200 posti letto a fronte di un’alta richiesta (programmata e in urgenza/emergenza), la disponibilità dei posti è particolarmente importante da governare.

In pratica, lei come lavora?
Attraverso il governo della programmazione dell’attività di ricovero cerchiamo di creare anche una appropriata e sufficiente disponibilità di posti letto per tutta la domanda proveniente dal DEA. A tal fine abbiamo anche attivato un briefing quotidiano con tutti i responsabili, medici e infermieristici, delle diverse unità assistenziali, per pianificare e attuare le strategie necessarie per garantire la disponibilità di posti letto per i ricoveri chirurgici e medici programmati e in urgenza per la giornata e la giornata successiva. Ciò avviene anche attraverso l’eventuale spostamento di pazienti da un’area ad un’altra dell’ospedale, in base al principio della intensità di cura/complessità assistenziale. Da alcuni mesi abbiamo iniziato anche a fare dei briefing telefonici con le altre sei pediatrie presenti nella nostra Area Vasta Fiorentina, in maniera da poterci avvalere, quando è necessario e possibile, anche dei posti letto dell’intera Rete Ospedaliera dell’Area Vasta, in particolare per tutte le patologie mediche di bassa complessità clinica.

Immagino che abbia trovato qualche resistenza, magari da parte dei “primari” abituati a gestire da soli i letti del “proprio” reparto.
L’Ospedale è stato costruito ispirandosi ai principi dell’intensità di cura e quindi, al di là delle fisiologiche resistenze, che in verità provenivano sia dai medici che dagli infermieri, tutti capivano che il traguardo a cui tendere era quello che stavamo costruendo insieme.
Dobbiamo ancora migliorare la comunicazione con i genitori dei bambini, perché se non si spiega loro fin dall’inizio il fatto che le fasi del loro miglioramento clinico potrebbero coincidere con un trasferimento da un’area assistenziale ad un’altra, interpretano questa cosa come un disagio dovuto alla nostra cattiva organizzazione.

Ma i medici non si ribellano a dover “prendere ordini” da un infermiere?
Nessuno prende ordini da nessuno: le strategie, anche se suggerite da chi come me si occupa di management, vengono sempre condivise con tutti.
Ognuno poi, senza invasioni di campo, agisce le proprie competenze che possono essere di volta in volta cliniche, assistenziali, organizzative.
 
Eva Antoniotti

01 dicembre 2010
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