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Fnomceo e sindacati: la formazione specialistica dei medici deve uscire dalle Università


La seconda Conferenza nazionale della professione medica si chiude con un documento che chiede alle Università molti passi indietro: sulla formazione specialistica (che per essere più professionalizzante deve passare per i servizi sanitari regionali); sugli esami di abilitazione; sulla determinazione dei fabbisogni formativi.

03 DIC - “Costruire” un medico richiede oggi in Italia un tempo lunghissimo: 6 anni di laurea in medicina, cui occorre aggiungere in media un anno per l’abilitazione, cioè per l’esame di Stato, più 5 anni di specializzazione, oppure 3 anni per le scuole regionali di Medicina Generale. Insomma 10-12 anni, visto che la legge 502 non consente ai medici di entrare nel Ssn senza avere una specializzazione.
I nostri “giovani” medici dunque entrano a pieno titolo nel mondo del lavoro solo dopo i trent’anni, almeno ufficialmente. In realtà, già oggi, molti laureati senza specializzazione sono inseriti con contratti atipici nelle strutture, territoriali e ospedaliere, di molte Regioni.

Una contraddizione che diventerà ancora più stridente nei prossimi 10/15 anni, quando arriveranno all’età della pensione i medici baby-boomers che oggi hanno tra i 51 e i 59 anni. Saranno moltissimi, 115mila secondo i calcoli fatti dalla  Fnomceo, e non riusciranno ad essere rimpiazzati dai giovani specializzandi, che sono soltanto circa 5mila ogni anno. Potrebbe accadere, allora, che le carenze di organico vengano sempre più rimpiazzate in modo “irregolare”, potendo anche contare su risorse economiche “liberate” dai pensionamenti.

La seconda Conferenza nazionale della professione medica, che si è conclusa oggi a Roma, ha affrontato questo nodo, arrivando alla formulazione di diverse proposte, molte delle quali chiedono un ridimensionamento del ruolo delle Università. In particolare, nel documento conclusivo letto a più voci e approvato al termine dei lavori, sono tre i punti sui quali la Conferenza ha mosso critiche all’attuale situazione: la determinazione dei fabbisogni formativi; la formazione specialistica (che per essere più professionalizzante deve passare per i servizi sanitari regionali) e di specialità; gli esami di abilitazione.

Definizione del fabbisogno formativo
La richiesta è di superare “gli attuali criteri di determinazione dei limiti dell’offerta  basati su un generico calcolo delle capacità  formativa delle Facoltà Mediche, prevalentemente parametrate sul numero dei posti letto a direzione universitari”, riuscendo invece a “individuare ed applicare nella programmazione degli accessi una serie di  indicatori di fabbisogni sulla base di standard sugli effettivi  bisogni assistenziali  futuri e delle correlate competenze specialistiche, di domanda e capacità occupazionale del sistema sanitario nel suo complesso”.

Formazione specialistica e di specialità
L’attuale sistema di formazione specialistica presenta diverse criticità, che il documento conclusivo della Conferenza riassume testualmente in:
•    una sostanziale indifferenza dell’offerta formativa di specialisti alla rivoluzione demografica ed epidemiologica  in atto;
•    un insufficiente  sviluppo delle attività professionalizzanti, del tutto evidente nel passaggio alla gestione autonoma delle competenze;
•    un ingresso  nel mondo del lavoro molto più in ritardo rispetto ai colleghi europei  con l’impossibilità  di costruire prima dei 70 anni  il massimo pensionistico, salvo il riscatti degli anni e/ totalizzazioni degli anni formativi, particolarmente onerosi;
•    un sostanziale confinamento dei 25.000 medici in formazione specialistica all’interno delle unità operative a direzione universitaria  che già oggi manifestano difficoltà a garantire volumi e tipologie di casistiche disponibili  per l’expertice di ciascun specializzando così come previste dall’ordinamento;
•    la scarsa applicazione della riforma  curriculare  che prevede l’articolazione dei Crediti Formativi  in un tronco comune biennale per aree omogenee e la  prevalenza delle attività professionalizzanti nel triennio successivo.
La via d’uscita proposta è quella di spostare parte della formazione sui servizi sanitari, estendendo  e innovando “le attività professionalizzanti nelle reti formative dei Ssr (ospedali, presidi e strutture di insegnamento)”.

Per la formazione specifica in Medicina Generale, già oggi realizzata a livello regionale, la richiesta è che “le Regioni assumano la piena responsabilità  di sostenere un modello che integri l’apprendimento nell’assistenza, strutturando l’offerta formativa e la rete delle attività professionalizzanti, parificando i trattamenti economici iniziali oggi diversificati e regolamentando l’attività assistenziale dei medici in formazione specifica nel rispetto del percorso formativo,  attraverso opportune forme di contratti a termine  in materia di retribuzione, tutele prevido-assistenziali e assicurative”.


Esami di Stato abilitanti
Attualmente le Commissioni esaminatrici sono prevalentemente, se non esclusivamente, costituite da docenti universitari. La proposta della Conferenza della professione medica è quella di una modifica negli strumenti valutativi e nella composizione. “L’adozione di nuovi strumenti di valutazione aggiuntivi e determinanti (progress test; presentazione e discussione di casi clinici seguiti durante il tirocinio) – si legge nel documento – va accompagnata, in coerenza con quanto già acquisito in altri ambiti professionali, da una modifica della  Commissione di esame, dovendo  in prospettiva  compiutamente configurare e sostanziare una terzietà valutativa rispetto alle istituzioni formative”.
 
E.A.
 

03 dicembre 2010
© Riproduzione riservata

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