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Quale futuro per formazione e lavoro medico?

di Costantino Troise

In questi ultimi tempi sono venute alla luce vecchie e nuove problematiche. E anche vecchie e nuove proposte. Dalla possibilità di accedere al Ssn con le sole laurea e abilitazione, come avveniva fino al 1987, alla riduzione della durata delle specializzazioni. Tutte ipotesi da non scartare a priori ma che vanno affrontate con la consapevolezza che tra i nodi restano quello del rapporto Università-Ssn e quello del precariato "a vita"

06 DIC - I problemi della formazione medica in Italia sono sostanzialmente 4: 1) L’imbuto formato da numero di laureati, in crescita costante (almeno 16 mila accessi, questo anno, TAR-mediati, con un tasso di laurea stimato tra l’82-85%) e numero di contratti di formazione specialistica, in riduzione per carenze economiche, in cui migliaia di medici costituiscono un esercito di riserva nel limbo della disoccupazione o sottooccupazione o “precariato stabile”; 2) La lunghezza del periodo formativo con tardiva età di ingresso dei giovani specialisti nel mondo del lavoro; 3) La qualità del prodotto universitario, ancora grezzo alla fine di cicli formativi di 5-6 anni; 4) Il monopolio della Università, unico caso in Europa, anche nel rilascio dei titoli.

Documenti ufficiosi di un tavolo Ministero della Salute-Regioni, ex art.22 del Patto della Salute, prevedono la possibilità di accedere al lavoro nel SSN con la sola laurea ed abilitazione, come, prima del 1987, sono entrati molti dei Medici e dirigenti sanitari attualmente in servizio. Una soluzione certo parziale, ma non da scartare a priori, consentendo di avvicinare l’incontro tra mondo formativo e mondo assistenziale, offrendo una possibilità di lavoro, e di mantenimento delle competenze professionali, a quanti non vincono il concorso per la specializzazione o un ricorso, e di formazione professionalizzante con standard, tutor e certificazione. Meglio dell’attuale precariato fuori controllo nei numeri, nelle tipologie e nella durata.

Una idea che però non può essere accettata a qualunque costo, in soluzioni tecniche confuse ed ambigue.
Non è accettabile se accompagnata da un inquadramento contrattuale di Medici, comunque abilitati a ruoli e funzioni mediche, nel comparto, o da una attribuzione ex lege di livelli retributivi predefiniti e, guarda caso, uguali a quelli dei caposala. Come se si trattasse di figure professionali intercambiabili. Tanto meno può essere condivisa una concomitante desertificazione delle piante organiche degli specialisti, a prescindere da fabbisogni, standard, modelli organizzativi, che, paradossalmente, taglia il numero di posti di lavoro proprio mentre si propone di fare crescere la platea dei possessori dei requisiti per occuparli. In una logica da supermercato del prendi 2 e paghi 1. L’operazione non deve ridurre gli spazi di reclutamento nelle piante organiche, mettendo i nuovi assunti in competizione con l’esercito di precari di corso più o meno lungo, che vedrebbero allontanarsi ogni prospettiva di stabilizzazione, o con i sottoccupati per la copertura del turnover.
Mi sembra però che il tavolo di discussione sia già stato sgombrato da queste questioni dalla azione tempestiva, fin dal mese di giugno, dell’Anaao e delle altre OOSS. Anche se, curiosamente, i commentatori della ultima ora fanno finta di non saperlo costruendo una inutile corona di no che mirano solo a nascondere l’intento di salvaguardare il monopolio universitario, con un pò di belletto pur di non cambiare niente.

In verità, Regioni e Governo non hanno chiarito se pensano a modalità di accesso con laurea ed abilitazione al mondo del lavoro, su posti liberati dal turnover, con contratti a tempo indeterminato ed inquadramento al primo scalino della carriera dirigenziale, un po’ come i vincitori di concorso per giudici che hanno prima un periodo di uditore giudiziario. Oppure, visto che si parla di accesso in soprannumero alle scuole di specializzazione, superando i limiti numerici attualmente previsti, a due canali di formazione, paralleli ma destinati ad incontrarsi, l’uno gestito dalla Università, l’altro dal SSN in un percorso formativo non di serie B ma tutelato sia nella responsabilità che nelle competenze. Nell’uno e nell’altro caso non si vede il perché della riduzione contestuale della dotazione organica, che rischia di essere una costante periodica fino ad un sostanziale svuotamento ed un fattore di decapitalizzazione del lavoro specialistico.
L’ipotesi di una parte di formazione gestita dal SSN aprirebbe finalmente la strada ad un suo ruolo di co-protagonista in un processo centrale quale la formazione medica, prendendo atto che né la Università né il SSN sono in grado da soli di uscire dalle sabbie mobili attuali.

Certo, la introduzione nel sistema di una nuova figura professionale, sia pure in una prospettiva di formazione, quale il Medico laureato non specialista “con mansioni proprie della professione in coerenza con il grado di conoscenze e competenze acquisite”, richiede, per non farne una area di precariato, la contestuale indicazione delle modalità di ingresso (contratto a tempo determinato?) e della durata della permanenza in questo limbo (il periodo della formazione?), nonché una declaratoria dei livelli di autonomia e responsabilità professionale per mansioni che potrebbero sovrapporsi a quelle della dirigenza medica e sanitaria. Insomma, una vera job description che chiarisca anche le differenze rispetto al percorso professionalizzante degli specializzandi e le motivazioni per un livello retributivo diverso da quello degli specialisti. Agli oneri conseguenti si può fare fronte sia con la riduzione della durata degli studi che con le risorse economiche che le regioni già spendono per la formazione o con fondi europei, visto che i nostri vicini di casa assumono specialisti formati a nostre spese. Anche se un problema importante, come la qualità professionale dei futuri medici, potrebbe essere meritevole di un investimento economico, come è stato fatto per la scuola. Impossibili reali innovazioni ad invarianza di risorse, che certo non possono essere sottratte, ancora una volta, al personale in servizio. Altro che primariati ridondanti!

Attualmente va in pensione circa il 3% della dotazione organica medica ogni anno. Tra il 2016 e il 2017 le uscite saranno del 6-7%. Nel 2020 avremo più di 20000 laureati che si contendono l’accesso a circa 6000 contratti di formazione specialistica. Appare inevitabile l’aumento del numero dei contratti di formazione, in due canali o in quello tradizionale, che però non ha dato brillante prova di sé, fino ad assorbire tutti o quasi i laureati, insieme con una drastica riduzione degli accessi a Medicina, per alcuni anni a 4000-5000/anno, per recuperare la pletora attuale determinata dai ricorsi al TAR.
Per anticipare la età di ingresso nel mondo del lavoro, avvicinandola allo standard europeo, e migliorare la formazione professionalizzante, si potrebbe dividere il percorso formativo in due tronconi, il secondo dei quali, caratterizzato più sul versante lavoro che su quello formazione, affidato al SSN, contrattualizzato, o permettere l’accesso al concorso a tempo indeterminato fin dalla metà del percorso formativo, da completare successivamente ai fini della progressione di carriera.

Insomma, affrontare il rapporto mondo formativo-mondo assistenziale dal vertice della piramide formativa e non dalla base, viste anche le resistenze, di fronte alle quali anche il grande rottamatore si arrenderà, del mondo universitario, che recluta allo scopo, in una versione inedita della sindrome di Stoccolma, anche le vittime del proprio fallimento. E persistendo il dubbio che le Regioni usino la possibilità di accesso con la sola laurea come tattica e non come ipotesi strategica per diventare co-protagoniste del sistema formativo, alibi per una rideterminazione al ribasso delle dotazioni organiche. Quello del tasso di occupazione dei medici e dirigenti sanitari è l’altra posta in gioco, misconosciuta, nella guerra delle professioni sanitarie.

Un modello di accesso al lavoro potrebbe essere costituito anche dalla riedizione del tirocinio, introdotto, per motivi simili, negli anni 80, retribuito e valido ai fini della anzianità di servizio, momento di passaggio per l’accesso alla formazione specialistica. Con gli stessi limiti, però, di cui si diceva prima.
L’insieme di tali considerazioni riguarda anche i professionisti sanitari non medici, considerati i differenti regimi attualmente esistenti tra formazione specialistica medica e sanitaria non medica, ed i corsi di medicina generale, una materia che meglio sarebbe trasformare in disciplina specialistica.

Dubito che il sistema formativo possa uscire dalla attuale emergenza, che ha ricadute tragiche sul lavoro medico, sulla credibilità e sulla stessa sostenibilità del SSN, con strumenti convenzionali. Tornare 30 anni indietro, pur rispettando alcune specificità e condizioni, potrebbe essere uno scossone anche per un corpo professionale, quale il nostro, stanco ed in attesa della fine pena. Ed una occasione per trasferire know how.
Quello che è certo è che abbiamo bisogno di soluzioni capaci di tenere insieme gli interessi dei giovani e del SSN, non a caso dentro "tutte" le rivendicazioni e le parole d’ordine delle OOSS degli ultimi anni. Non certo di pasticci improvvisati in una logica gattopardesca e pagati al massimo ribasso. Il problema è il mantenimento o meno di un sistema che oggi dà più lavoro a giudici ed avvocati di quanto ne dia ai medici, palesemente inadeguato rispetto alle necessità, anche se molti sono quelli interessati a mantenerlo in vita.

Occorre partire da una seria analisi dei fabbisogni per garantire a tutti i laureati la possibilità di completare l’iter formativo, diminuendo la durata e riducendo il numero dei corsi di specializzazione e migliorando il prodotto finito attraverso un maggior coinvolgimento del SSN, per anticipare l’incontro con il mondo del lavoro. In gioco è il futuro di un SSN che rischia di impoverirsi di competenze professionali, marginalizzato alla assistenza dei poveri in un progetto di sanità duale che è sempre dietro l’angolo, anche nella versione soft dell’ universalismo selettivo. Se non si cambia non c’è salvezza per nessuno: né per gli Ospedali, né per le Scuole universitarie di medicina.
 
Costantino Troise
Segretario Nazionale Anaao Assomed 

06 dicembre 2014
© Riproduzione riservata

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