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Infermieri. Beux (Tsrm): “Serve una visione 'di sistema' condivisa”


Per il presidente della Federazione dei Collegi dei Tecnici di Radiologia Medica "sinora abbiamo prevalentemente assistito a posizioni di retroguardia, a volte corporative ed autoreferenziali”. Ora “tra Ministero, Regioni e professioni serve una visione 'di sistema' condivisa, a favore del paziente".

23 APR - Quando abbiamo ricevuto la documentazione inviataci dal Ministero, relativa alle competenze e alle responsabilità professionali dell’Infermiere e dell’Infermiere pediatrico, la prima reazione è stata di soddisfazione per un’iniziativa che aspettavamo da anni. Condividiamo questo nostro stato d’animo perché ci pare che il dibattito accesosi nei giorni successivi all’invio della bozza di accordo tra il Governo e le Regioni si sia principalmente caratterizzato per le sue valenze critiche, a tratti negative. Dal nostro punto di vista, quella ministeriale è un’iniziativa preziosa, lungimirante e coraggiosa (per certi aspetti, audace).

Lo è per almeno due motivi:
  1) ha consentito l’istituzionalizzazione di un argomento che, da anni, era comunque oggetto di dibattito, nei luoghi di lavoro, all’interno e tra gli organismi di categoria (ordini, collegi e associazioni), su riviste specializzate, in convegni mono o multi-professionali, a volte organizzati proprio sul tema del riconoscimento e della valorizzazione delle professioni sanitarie;
  2) ha offerto a tutti i soggetti interessati la possibilità di ragionare su un documento comune, consentendo ad ognuno di essi di far pervenire il frutto delle proprie valutazioni e le eventuali proposte migliorative.

La lettura degli interventi precedenti ci ha consentito di acquisire elementi utili a superare la parzialità della nostra prospettiva professionale, inducendoci alle seguenti considerazioni generali.

1. Ragion d’essere: l’iniziativa ministeriale è un intervento a sostegno del miglioramento quali-quantitativo delle (nuove) risposte che il sistema sanitario è chiamato a garantire ai (nuovi) bisogni di salute, espressi e non, della popolazione che ad esso fa riferimento. Per comprenderne la portata è necessario fare un passo indietro ed esplicitare alcuni passaggi (metodo)logici che, per quanto ovvi e ‘scontati’ possano apparire, sulla base di quanto abbiamo letto nei giorni scorsi, riteniamo di non poter dare per scontati:
  a) la società è cambiata e sta cambiando;
  b) ciò ha generato e genera (anche) nuovi bisogni socio-sanitari; quindi
  c) è indispensabile che la sanità dia nuove risposte o continui a dare quelle di prima, ma in modo diverso.

Il tema centrale è, quindi, la riorganizzazione del sistema sanitario. E’ da questa prospettiva e con questa finalità che, ad esempio, si devono affrontare la territorializzazione e la domiciliarizzazione delle attività socio-sanitarie. Entrambe si sono rese indispensabili a seguito degli importanti cambiamenti demografici, sociali, epidemiologici e clinici che hanno interessato la popolazione. Entrambe sono modalità organizzative di erogazione ritenute in grado di 'rispondere' meglio ai nuovi bisogni socio-sanitari. Se questi nuovi modelli organizzativi interesseranno principalmente le professioni sanitarie, sarà esclusivamente perché, a loro volta, per competenza, esse saranno più funzionali alla loro realizzazione.

L’iniziativa intrapresa dal Ministero contribuisce a realizzare e sostenere questo nuovo scenario. Su un tema così sensibile, ognuno di noi dovrebbe ragionare, decidere ed agire avendo in mente esclusivamente gli interessi delle persone assistite , invertendo l’approccio ‘tradizionale' per il quale, di fatto, sono esse a doversi ‘conformare’ sulle disponibilità degli operatori sanitari (siamo consapevoli che è molto più facile a dirsi che a farsi; ecco perché, a prescindere dai tempi e dai modi, apprezziamo l'iniziativa ministeriale).

Sinora, più che la ricerca di questa matura e responsabile alleanza tra professioni(sti), la lettura degli interventi apparsi su questa testata, lascia intravedere una conflittualità principalmente tesa alla difesa delle reciproche posizioni. I concetti e i termini che più frequentemente sono ricorsi nelle dichiarazioni di chi ci ha preceduto sono la prova della drammatica veridicità delle affermazioni appena fatte: ‘definizione dell’atto medico’, ‘medico-centrismo vs infermiero-centrismo’, ‘nuovo statuto giuridico del medico’, addirittura qualcuno demonizza l’iniziativa ministeriale quale causa di ‘distruzione della classe medica’!

Tutte affermazioni testimoni di un confronto (scontro?) tra gruppi professionali, sui gruppi professionali, in funzione dei gruppi professionali. E’ dalla negazione di questo approccio che, tutti insieme, dobbiamo ripartire. La domanda da porsi è: “Quali gruppi professionali (e in che modo) sono più funzionali ai modelli organizzativi in grado di rispondere più e meglio ai bisogni socio-sanitari espressi dalla popolazione?”. I medici o le altre professioni sanitarie? Forse entrambi, cambiando un po'. Rispetto allo scenario 'storico', qualcuno ‘acquisterà’ da una parte, qualcun altro ‘perderà’ dall'altra, ma poco ci dovrà importare perché questa ‘partita’ va giocata e vinta insieme, a favore della salute e della sanità e non degli interessi dei gruppi professionali.

2. Valenza economica: ridurre la proposta ministeriale ad una risposta semplicistica (debole?) ad alcune sofferenze, attuali e future, del sistema sanitario ci pare ingeneroso. Se poi, consentendo l’adozione di modelli organizzativi più efficienti e soprattutto efficaci, il maggior coinvolgimento delle professioni sanitarie avrà anche una ricaduta positiva sulla spesa, quindi sulla sostenibilità del sistema sanitario pubblico del nostro Paese, ben venga! Se è vero che non sempre chi spende di più è colui che offre i servizi migliori, possiamo assumere la possibilità (fattibilità) di un sistema sanitario che costa meno e risponde meglio, anche grazie alla valorizzazione delle professioni sanitarie.

3. Atto medico: non è chiaro se esista o meno una sua definizione. Qualcuno la reclama per porla alla base di qualsiasi possibile confronto tra professioni sanitarie; qualcun altro, parlando di ‘sconfinamenti’, ‘invasioni di campo’ ed ‘erosioni’, ne lascia intendere l’esistenza. Sarebbe bene che i primi la smitizzassero e che i secondi verificassero la sostanzialità delle loro convinzioni, potrebbero scoprire che sono senza riscontri, autoreferenziale. In questa dialettica prevalentemente medica incuriosisce la censura nei confronti delle ‘fughe in avanti’. Di chi, rispetto a cosa e, soprattutto, in quale direzione? Se le professioni sanitarie, messe nella condizione di poterlo fare, ‘corressero’ (e facessero ‘correre’ il sistema sanitario) verso obiettivi quali appropriatezza, sicurezza, efficacia ed efficienza delle attività sanitarie, qualità relazionale ed economicità, sarebbero da censurare soltanto perché non aspettano chi non può farlo, chi ha deciso di non farlo o, peggio, chi ha deciso di farlo in altra direzione?

4. Formazione complementare: sulle modalità di implementazione di questo punto si genera l’unica nostra vera preoccupazione: se da una parte ci incuriosiscono le potenzialità di una formazione da svolgersi all’interno del sistema sanitario nazionale (non sostitutiva di quella universitaria!), capace di aggiornare e/o rafforzare in modo tempestivo e ‘snello’ le competenze degli operatori, dall'altra temiamo che se le cose non saranno fatte ‘per bene’ (magari perché chi sarà chiamato a farlo non sarà adeguatamente 'strutturato' e/o non saprà resistere alle esigenze economiche) questa possa rapidamente diventare una pericolosa deriva verso un’operatività acritica, esclusivamente votata alla soddisfazione delle pressanti richieste quantitative (fare senza sapere bene cosa e perché).

5. Metodo e merito: pur riconoscendo l’importanza del primo, in attesa del mondo perfetto, siamo più interessati al secondo. Con la cautela che è necessaria quando si parla di qualcosa che riguarda lo specifico professionale di altri, relativamente all’allegato tecnico (Infermiere area critica e emergenza urgenza), ci permettiamo di indicare alcuni punti in cui il merito potrebbe essere rappresentativo di vizi di metodo:

  - 1.1.1.2 Gestire la documentazione del processo di assistenza. Il fatto che questa competenza non sia presente in nessuna delle altre aree significa che in esse tale competenza non è richiesta ovvero che è a carico di altra professione? Forse questo tipo di competenza dovrebbe essere inserita ‘a monte’ poiché sempre richiesta all’Infermiere, a prescindere dal contesto nel quale è chiamato ad esercitare la professione.

  - 1.2.2.5 Favorire l’applicazione delle raccomandazioni di buone pratiche nella gestione complessiva della persona assistita. Anche in questo caso, ci pare che la competenza sia bene garantirla ovunque l’Infermiere sia chiamato ad operare.

Questi esempi (se ne potrebbero fare altri) portano a domandarsi se l’elencazione puntuale e dettagliata delle competenze sia davvero il miglior contributo alla riorganizzazione di cui si è detto sopra, rappresentando un 'passo in avanti' o se, contrariamente alle buone e condivisibili intenzioni iniziali, nei fatti non si riveli un 'passo indietro'.

6. TSRM: infine, un ultimo breve passaggio su di noi, giusto per dichiarare che siamo pronti a metterci in discussione, senza pregiudizi e con spirito di servizio. Aspettiamo, quindi, che il Ministero, così come affermato in più occasioni, dia seguito al processo di valorizzazione delle professioni sanitarie, occupandosi anche del personale tecnico di radiologia.

Alessandro Beux
Presidente della Federazione Nazionale Collegi Professionali Tecnici Sanitari di Radiologia Medica

 

23 aprile 2012
© Riproduzione riservata

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