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Un arcobaleno tinto di arancione

di Francesco Medici

11 LUG -

Gentile direttore,
arrivo in ospedale, posteggio e mi avvicino all’entrata. Vedo in lontananza il bar vicino l’ingresso. Il Covid ci ha fatto chiudere gli spazi interni abituandoci a vivere all’esterno. La socialità riprende il sopravvento e l’ampio spazio aperto davanti al bar si popola di colleghi multicolore. Ogni reparto ha infatti la propria casacca di colore diverso, verde per il chirurgo, giallo per il pediatra, blu per i tecnici di radiologia, verdino per il PS, lilla ostetricia. Da lontano, quando non sono immediatamente visibili i volti, appare una macchia di colori, un arcobaleno, che accoglie chi arriva e saluta chi dopo una notte di lavoro può tornare a casa.

Sono le 8 di mattina e il saluto al bar è per il popolo della notte un momento sacro: il sapore del cappuccino è speciale, impossibile da descrivere per chi non lo ha mai provato dopo un turno di notte, sapore di libertà, di relax dopo l’inevitabile ansia che il turno di notte mette, di consegna a chi arriva, di chiacchiera leggera, ma anche di sfogo.

Più mi avvicino, più comincio a sentire il chiacchiericcio e mi rendo conto che qualche cosa non va: la dominante arancione è preponderante. L’arancione è dell’equipaggio del 118. Non dovrebbe esserci o dovrebbe essere solo accennato. Giro la curva e immediatamente guardo a destra la rampa di accesso al pronto soccorso. È abitata da ambulanze bloccate. Già so cosa ci attende. Le telefonate, preghiere di liberare prima possibile i posti letto, il tentativo di ribaltare su altri colpe che sono del sistema, l’aggressività che nasce prima di tutto dalla stanchezza. L’epilogo di un sistema che non sopravvive. L’Italia e soprattutto il suo SSN non regge questa quarta ondata.

Non si può vivere in emergenza! Seppure ci si abitua a vivere nelle macerie se non si vede ricostruire, se si toglie anche la speranza, alla fine si lasciano i luoghi del disastro, della guerra continua o della calamità naturale che dir si voglia, si abbandona il “genius loci” seppure sono luoghi cari. Medici e infermieri fuggono dalle macerie, fuggono dagli ospedali e non sempre per andare in una medicina territoriale martoriata anch’essa, ma dalla burocrazia, per fare tutt’altro, dalla medicina privata, dove quantomeno si gestisce il tempo, ai lavori più vari (ristorante, agricoltura… piene ne sono oggi le cronache).

Chi non capisce queste cose, chi le vede da lontano, vede solo una macchia di colore, magari anche bella. Bisogna avvicinarsi, avere il coraggio di sentire le storie. Si perché di coraggio si tratta. È un popolo impaurito che “vuole sangue”, che è diventato suo malgrado aggressivo, che vuole una fuga, che non si accontenta di promesse, che non accetta più dopo 2 anni e mezzo di torture di sentirsi dire di avere pazienza.

Come organizzazioni sindacali siamo capaci di trasmettere questi messaggi alla politica? Forse solo in parte.

Senso di responsabilità in tempo di pandemia mi si dirà. Mi è stato risposto. Ma oggi quel senso di responsabilità ha fatto il suo corso. È il momento di reagire con forza: sit-in, raccolta di firme o ogni altra metodologia che dica al governo, per esempio, di punire chi non si è vaccinato, di controllare le false certificazioni di non vaccinabilità sbandierate dai soliti furbi, di tutelare non solo i no vax ma anche chi oggi trova i pochi posti letto disponibili occupati dai troppi pazienti Covid e che quindi non potrà essere ricoverato per altre malattie altrettanto importanti e in molti casi con maggiore letalità.

Alziamo la voce con proposte forti ad esempio per strapagare i colleghi più giovani, o i più forti e o i più motivati a fare ore in più (visto che i concorsi vanno deserti), per assumere medici non specializzati garantendo loro, in ospedale, di acquisire il titolo valido anche per dopo. Senza però cambiare la legge Balduzzi o il decreto 70 che immagina 3,7 posti letto per mille abitanti, posti largamente insufficienti anche in epoca non pandemica non si va lontano. Senza i fondi del PNRR attualmente destinati sostanzialmente al territorio non di può dare ossigeno a una sanità pubblica asfittica.

Ma se tutte queste richieste sono puntualmente disattese allora perché resistere? Avvicinatevi, leggete il whatsApp dei vari gruppi. Date risposte a queste domande, almeno ponetevele.

Non sento più la TV: basta virologi ed epidemiologi. Intervistate invece medici di pronto soccorso, anestesisti, medici internisti o chirurghi messi a curare patologie per cui nessuno ci ha preparato. Fate vivere le loro storie, date loro un volto, che non sia solo di stanchezza, ma anche di rabbia. Fatevi raccontare di chi muore perché non trova i soli posti che servono per curare il Covid: i posti di sub intensiva, e che nessun piano di esperti ha programmato in numero minimamente sufficiente. Cosa aspettarsi d'altronde da esperti virologi, che combattano il virus in TV e negli uffici del ministero ma che certamente non sanno curare le persone?

Che la politica batta un colpo, il sindacato ha invitato a farlo, perché la diserzione è già iniziata, agite prima che l’arcobaleno si trasformi in una macchia di solo arancione.

Francesco Medici

Consigliere Nazionale Anaao Assomed



11 luglio 2022
© Riproduzione riservata

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