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La e-health e il ruolo degli Infermieri in un mondo iperconnesso

di Luigi Pais dei Mori

08 MAR -

Gentile direttore,
ogni minuto che passiamo su questa Terra vengono inviate 231 milioni di e-mail, su Google vengono effettuate 5,9 milioni di ricerche, Instagram scambia 66.000 nuove foto, Twitter pubblica 347.000 “cinguettii”.[1]

Ogni singolo minuto.

“Data never sleeps”.

In questo mondo iperconnesso, il tema salute, “e-health”, “connected health” o, il più italico (ma fin troppo generico) “telemedicina” è al centro di convegni ed articoli vari, tutto con un filo rosso che, in qualche modo, li collega: quale impatto avrà tutto questo sulle vite di cittadini e professionisti? Quali competenze dovranno essere implementate?

Parlando di competenze digitali dei professionisti sanitari, l’Osservatorio “Digital Innovation” del Politecnico di Milano, sta studiando le tematiche delle competenze digitali in sanità, arrivando ad alcune interessanti determinazioni.

Nelle “digital soft skill”[2] non si trovano enormi differenze tra medici di medicina generale, medici specialisti ed infermieri, scontando un po’ di “digital gap anagrafico” in favore degli infermieri sugli strumenti più recenti: il 16% dei medici specialisti ed il 20% degli infermieri possiede competenze “buone o ottime” su tutti gli ambiti analizzati.


Merita una riflessione anche la comunicazione digitale, sia verso le persone assistite, che nell’ambito inter/intraprofessionale.

Negli ultimi due anni[3], solo il 28% dei medici specialisti, il 41% dei medici di medicina generale ed il 32% degli infermieri ha utilizzato piattaforma di comunicazione dedicate e certificate per la trasmissione di dati clinici, privilegiando l’utilizzo di e-mail (91% dei medici specialisti, 97% dei medici di medicina generale e 64% degli infermieri) e, purtroppo, di app di messaggistica istantanea, con buona pace di privacy, cyber security e diritto.

Parlando di e-health, un pensiero va, motivatamente, alla fruibilità dei dati sanitari, alla possibilità di interscambio e alla sicurezza di questa enorme massa di dati sensibili, che serve a curare, ma anche ad indirizzare politiche ed economie globali.

Secondo il Politecnico di Milano[4], il 44% dei cittadini sani non ha mai sentito parlare del Fascicolo Sanitario Elettronico ed il 66% non lo ha mai utilizzato. La conoscenza sale tra le persone ammalate, pur mantenendo qualche criticità: il 43% dei pazienti intervistati non aveva mai utilizzato lo strumento.

Proprio sotto questo aspetto, troviamo un primo ruolo strategico della Professione Infermieristica, nella transizione digitale, anche sanitaria: il ruolo educativo.

Il ruolo educativo, una delle tre anime dell’Infermiere, insieme a quella tecnica e a quella relazionale[5] è sempre stata considerata la parte più complessa dell’Assistenza Infermieristica, proprio per quelle peculiari conoscenze e capacità di orientamento dei comportamenti, verso un ambito di salute e benessere globalmente intesi, che sono, peraltro, cardini di sviluppo di quell’assistenza territoriale, tanto decantata. L’infermiere di oggi ha una necessaria declinazione professionale verso la divulgazione, l’informazione e la formazione al Cittadino - Persona Assistita, che necessita di aiuto e vicinanza (ad-sistere, appunto) per fruire dei nuovi sistemi di accesso al pianeta salute, in risposta ai propri bisogni e a garanzia di quel famoso articolo 32 della Costituzione. Anche questa è, certamente, Infermieristica.

La dimostrazione plastica la troviamo anche nelle “Linee guida per i servizi di Telemedicina – requisiti funzionali e livelli di servizio”[6] atto normativo atteso e cruciale, pubblicato in GU il 02/11/2022.

Il testo definisce i requisiti di eleggibilità delle persone assistite ai servizi di telemedicina: “L’eleggibilità clinica è a giudizio insindacabile del medico, che, in base alle condizioni cliniche e sociali del paziente, valuta se proporre al paziente i servizi di telemedicina (…). Saranno, inoltre, valutate sia l’idoneità che la dotazione tecnologica di cui il paziente dispone (…). Contestualmente andranno verificati gli aspetti connessi con la digital literacy del paziente e/o del caregiver al fine di valutare l’appropriatezza dei dispositivi e il grado di autonomia nell’uso.”

Al di là dell’anacronistica insindacabilità citata, i pur comprensibili criteri legati al possesso di dotazione tecnologica adeguata ed una digital literacy congruente, rischiano di creare l’inedita categoria dei “fragili digitali” che, porta il pensiero principalmente verso l’ampia popolazione anziana, che vive in uno dei 7.904 Comuni italiani, il 70 per cento dei quali ha meno di 5 mila abitanti ed il 63,8% è classificato come “zona rurale”.[7] Si scorge chiaramente un enorme tema legato all’advocacy, ovvero a quella cogenza deontologica che impone un ruolo di garanzia e di difesa del diritto alla salute, che si incarna nelle anime educative e relazionali, ma anche nei ruoli organizzativi e di rappresentanza professionale ai vari livelli di discussione civica e politica.

Molte cose sono cambiate, stanno cambiando e molte altre cambieranno ancora, ma chiude il cerchio una chiara consapevolezza: la necessità, qui di alto rango deontologico, di non confondere il fine con il mezzo.

Ed il fine, per noi Sanitari, è sempre l’Uomo.

Luigi Pais dei Mori
Infermiere legale


[1] https://www.domo.com/data-never-sleeps#data
[2] Per esempio, comunicare efficacemente con colleghi e pazienti, individuare, organizzare e condividere informazioni, innovare i processi in chiave digitale, ecc.
[3] Campione: 2075 medici specialisti, 310 MMG e 3221 infermieri, fonte Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità
[4] Campione 2021: 1000 cittadini e 386 pazienti, fonte Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità e Doxapharma
[5] Profilo Professionale dell’Infermiere (DM 739/1994, art. 1, comma 2)
[6] http://www.regioni.it/download/news/651738/
[7] https://www.istat.it/storage/ASI/2021/capitoli/C01.pdf



08 marzo 2023
© Riproduzione riservata

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