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L’uccisione di Barbara Capovani alimenta interrogativi inquietanti sulla sicurezza nei Dipartimenti di salute Mentale

di Michele Sanza

24 APR - Gentile Direttore,
la tragica morte di Barbara Capovani, psichiatra che dirigeva il servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell'ospedale Santa Chiara di Pisa, uccisa a colpi di spranga da quello che si presume essere stato un suo paziente sgomenta e angoscia. L’ultimo evento di un lungo elenco di omicidi di psichiatri, il pensiero va subito a Paola Labriola, uccisa nel 2021 con 57 coltellate in un Centro di Salute Mentale di Bari. Un evento assurdo che ci addolora per la perdita inaccettabile di una collega brava, responsabile dedita al suo lavoro. Ma anche un evento che solleva legittimi interrogativi sulla sicurezza delle strutture dei Dipartimenti di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche.

È vero che negli ultimi anni si è assistito ad un incremento delle violenze contro i sanitari che non riguarda solo la Psichiatria ma colpisce in particolare i pronto soccorsi, i medici in visita domiciliare e altri reparti ospedalieri, esposti ad una conflittualità irragionevole, spesso istigata da luoghi comuni sulla malasanità e sostenuta nella sostanza dalla pretesa di esiti salvifici che vanno ben oltre i limiti biologici. Ma la violenza in Psichiatria ha connotati diversi, questo purtroppo non è il primo omicidio commesso a freddo da pazienti che covano rancori e rabbie alimentate dalla loro stessa patologia, che a un certo punto dirigono spietatamente su chi ha posto loro un limite, nell'interesse e a beneficio dello stesso paziente, o è entrato nel magma delirante di una immaginazione patologica. Solo raramente, anzi quasi mai, questi agiti sono imponderabili, accidentali, e quindi inevitabili perché imprevedibili.

Il raptus è un'invenzione letteraria, una semplificazione pacificatrice, che trova spazio nei titoloni dei giornali e alimenta lo stigma ma non risolve il problema. Piuttosto sono atti che seguono una logica, il crescendo di una vera e propria escalation che prima di materializzarsi lascia una scia di tracce di fronte alle quali il sentimento più comune degli operatori è l’impotenza. Ci si affida alla cabala della statistica come principale protezione: “In fondo le aggressioni, soprattutto quelle gravi, sono rare…. non capiterà proprio a me”. Non sappiamo se anche Barbara nei giorni scorsi ha avuto questo pensiero, ma tanti colleghi vi si riconosceranno.

La Psichiatria, vittima del complesso di colpa del manicomio, ha lungamente negato per motivi ideologici la violenza nella malattia mentale. Oggi sappiamo che un’assistenza in linea con i principi di libertà di autodeterminazione dei pazienti deve essere in grado di tutelare i curanti e garantire la sicurezza nelle strutture a 360 gradi. Non si tratta di trasformare gli operatori in tutori dell’ordine, al contrario, si tratta piuttosto di rifiutare la delega della gestione dei comportamenti aggressivi e di avere la piena collaborazione delle Forze dell’Ordine sui casi a rischio di violenza.

Né è acquetabile l'inadeguatezza delle strutture del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche quando i loro standard sono al di sotto del livello di sicurezza; strutture vetuste con angoli bui, spazi di attesa ristretti e vetri frangibili sono purtroppo ancora troppo frequenti nei luoghi di cura della salute mentale. Ciò che non può essere accettato è la riduzione del personale, soprattutto degli psichiatri, che costringe a impegnare molte risorse sui servizi di emergenza riducendo le attività del territorio, importantissime per la prevenzione. Ciò che non può essere accettato è la delega implicita alle strutture del DSM DP di gestire in solitudine soggetti con un profilo criminale riconosciuti non imputabili dai Tribunali. La legge 81 del 2014, che ha chiuso gli ospedali psichiatrici giudiziari, è stata senza dubbio un'ulteriore conquista di civiltà del nostro sistema di Salute Mentale, ispirato dal principio della volontarietà delle cure. Ma le soluzioni pratiche hanno fatto ricadere sulla rete delle residenze riabilitative territoriali un impegno sugli autori di reato che sfida costantemente le garanzie di sicurezza.

Che il sacrificio della collega Barbara Capovani non sia vano e permetta di richiamare l'attenzione sulle necessità di sicurezza delle strutture delle Salute Mentale. Tre sono i punti fondamentali:

1) La logistica degli ambienti di cura, servono spazi adeguati, muniti di dispositivi di sicurezza, e formazione del personale; la sicurezza nelle nostre strutture è un’esigenza pari alla asepsi nelle sale operatorie delle chirurgie;

2) Il recupero del personale quanto meno ai livelli degli standard pre pandemici (dopo il COVID il personale delle aziende sanitarie è complessivamente aumentato ma è diminuito nei Dipartimenti di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche);


3) La stesura di protocolli di interazione con la Magistratura e le Forze dell'Ordine che permettano di gestire in sicurezza gli autori di reato non imputabili per vizio di mente affidati ai DSM DP.

Ci auguriamo che questi temi vengano recepiti nelle Politiche di Salute Mentale in una visione complessiva di sviluppo dei nostri servizi il cui valore e la cui importanza sono percepiti, anche dalla collettività, come un bisogno primario e una priorità della Sanità Pubblica.

Michele Sanza
Direttore Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Fo-Ce AUSL Romagna
per il Board del coordinamento dei Direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale

24 aprile 2023
© Riproduzione riservata

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