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Servizi di salute mentale in Veneto, il problema non sono le risorse, ma come vengono spese 

di Andrea Angelozzi

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Gentile Direttore,
mentre i servizi di salute mentale si destreggiano nella carenza di risorse, gli psichiatri discutono di Legge 180/78, e gli psicologi sottolineano il bisogno psicologico, amministrazioni e politica continuano indifferenti per la propria strada.

Un esempio è quanto accade nell’ambito della grave sofferenza dei servizi di salute mentale nel Veneto, dove alcune recenti delibere sollevano non pochi interrogativi. Partiamo da una Ulss del Veneto che, a fine giugno 2023 recepisce la DGR 371/2022 e la deliberazione 89 del 16/09/2022, che indicavano la possibilità di assunzioni temporanee di personale per i DSM, utilizzando quanto stanziato con l'Intesa Stato Regioni del 28 aprile 2022 per il “rafforzamento dei Dipartimenti di Salute Mentale regionali”, di cui ci aveva puntualmente informato Quotidiano Sanità.

Un primo problema è che questi contratti scadono al 31/12/2023, in attesa di standard nazionali, che peraltro il ministero ha già indicato (vedi Quotidiano Sanità). Di fatto se il personale potrà essere assunto per due/tre mesi, per essere poi lasciato a casa, sarà un successo. I possibili motivi che spiegano questo ritardo, non cancellano la sensazione che ora questo provvedimento sia ancora meno efficace e che si sia persa la possibilità di offrire un minimo di respiro a operatori e pazienti.

Se ci addentriamo nella delibera 89/2022 emerge che il reclutamento di personale riguarderà solo psicologi psicoterapeuti, TerP e/o educatori socio sanitari ed assistenti sociali, mentre scompare quello del personale infermieristico per gli SPDC, finalizzato a limitare la contenzione, che invece era indicato nella DGR 371/2022. Come in questa deliberazione peraltro, la grave carenza di medici non è nemmeno menzionata.

Parte dello stanziamento nazionale poi, per un importo di € 100.000 andrà poi a finanziare l’”internamento” (termine testuale) dei pazienti autori di reato nell’apposito nucleo costruito a questo scopo nella struttura privata degli “Istituti Polesani”; € 50.000 sono destinati alla Fondazione Scuola di Sanità Pubblica per finanziare la Conferenza Regionale sulla Salute Mentale, sulla cui scarsa incisività programmatoria abbiamo già avuto modo di occuparci su Quotidiano Sanità.


E € 100.000 sono destinati sempre alla Fondazione Scuola di Sanità Pubblica, per la realizzazione entro il 30 giugno 2023 di “azioni capillari di condivisione dei risultati del monitoraggio sui dati della contenzione fisica”. Dati che peraltro erano già stati chiesti come cittadini con accesso agli atti nel 2022, senza però ottenere nulla come peraltro anche con la richiesta di dati su Salute Mentale, Neuropsichiatria Infanti o SerD, come a suo tempo segnalato su Quotidiano Sanità. L’interesse per il loro rilascio è solo frenato dal fatto che di questa costosa capillare condivisione, come cittadino, non ho ancora avuto riscontro.

Non mi soffermo sulla utilità di queste indicazioni e la necessità di questi costosi impegni di spesa, ma mi permetto due riflessioni.

La prima nasce dal ricordo delle estenuanti riunioni ULSS su obiettivi e budget, dove bisognava centellinare la spesa per interventi, farmaci, ricoveri, formazione e informazione. La attuale restrizione delle risorse mi fa pensare che i limiti di spesa siano, nelle riunioni attuali, ancora più ridotti. Ma come mettono insieme gli operatori questa richiesta di austerità ed oculatezza, con quanto ampiamente riservato invece a conferenze regionali e diffusioni capillari di un dato? Non si corre il rischio di confermare una insanabile distanza fra amministratori/politici ed operatori e di vanificare il senso dei tavoli di co-progettazione con operatori ed associazioni, quando sono poi comunque sempre altri a decidere in separata sede come vanno spese le poche risorse disponibili?

La seconda riflessione riguarda il costante supporto della Regione per tutto ciò che è riabilitazione ed autori di reato, valorizzando comunque il privato. La lodevole attenzione alla riabilitazione, anche per autori di reato, nel contesto Veneto trova però che gli interventi riabilitativi complessivi – in modo opposto al quadro nazionale - sono in proporzione il doppio di quelli terapeutici, e gli interventi, ad esempio, per gli esordi sono solo un desiderio. Qualche problema si pone, e soprattutto si fatica cogliere i segni di una qualche inversione di tendenza. Circa l’”internamento”, la scelta del termine (che farebbe felice Foucault) è un po’ infelice per indicare temporanei inserimenti riabilitativi di persone, finalizzati alla risocializzazione. Un refuso di tastiera può capitare a tutti, ma è una occasione per domandarsi se per caso ci suggerisca qualcosa sulla estensione della residenzialità perseguita da tempo nel Veneto, che annovera anche strutture (RSSP) destinate ad inserimenti sine die per pazienti psichiatrici ancora giovani, ma ritenuti senza diritto alla speranza.

Al di là dell’aspetto locale, la vicenda suggerisce un problema più generale che riguarda la salute mentale.

Alla fine è riduttivo dire che il problema è la carenza di risorse: è vero che senza risorse non si fa nulla, ma è anche vero che si deve porre un problema dell’utilizzo delle eventuali risorse disponibili. Non è cioè solo un problema di budget, ma di modello.

E qui mi viene il sospetto che lo stesso a questo punto valga a livello del SSN: il problema è solo quello di avere maggiori risorse o anche di quale è la visione con cui i finanziamenti - compresi quelli improbabili aggiuntivi - verrebbero poi spesi?

Andrea Angelozzi
Psichiatra



10 luglio 2023
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