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Sull’intramoenia una caccia alle streghe senza senso

di Costantino Troise, Carlo Palermo

02 AGO -

Gentile Direttore,
nel periodo della “ebollizione globale” tornano ad aggirarsi per la sanità italiana spettri che credevamo scomparsi. Marzio Bartoloni su Il Sole 24 ore del 28 luglio, prendendo spunto dalla situazione delle liste di attesa in Campania, scrive che “le prestazioni in regime intramoenia hanno come effetto (alias sono la causa del ndr) l’allungamento delle liste di attesa”. Gli fa eco l’ex Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, convinta che “la sospensione dell’intramoenia possa funzionare per il recupero fisiologico (??) delle liste di attesa”. La convinzione che le prestazioni in intramoenia tolgano spazio alla sanità pubblica alimenta richieste, provenienti da più pulpiti, di limitare, o vietare del tutto, tale attività. Un po’ come l’abolizione del numero chiuso a Medicina, vero suicidio formativo ed economico, contrabbandata per soluzione alla attuale carenza di specialisti.

Prima che riparta una nuova caccia alle streghe, individuate nell’Attività libero professionale intramoenia (ALPI) dei medici dipendenti, additata al pubblico ludibrio come causa dell’esistenza delle liste di attesa, nonchè di “corruzione istituzionale”, secondo qualche buontempone travestito da scienziato, è bene rinfrescare la memoria di politici e commentatori con i dati ufficiali.

Innanzitutto, ricordiamo che le liste di attesa ci sono anche nella specialistica ambulatoriale, dove pure non esiste ALPI, e che esse rappresentano una caratteristica strutturale di tutti i sistemi sanitari pubblici, universalistici e solidali, ove il tempo di accesso ai servizi ha il ruolo di trovare un equilibrio tra domanda e offerta. Su quest’ultima incide, ovviamente, la disponibilità di risorse strutturali, quali il livello di finanziamento del sistema sanitario, il numero dei medici e quello dei posti letto. Il regista statunitense Michael Moore nel presentare a Roma alcuni anni fa il suo documentario sulla sanità degli Stati Uniti, dichiarò, con tono tra il provocatorio e il beffardo, “Noi, negli USA, abbiamo eliminato il problema delle file eliminando dal diritto alle cure 50 milioni di poveri che non possono pagarsi il dottore. Un consiglio? Eliminate i poveri dalle liste d’attesa e non aspetterete!”. Se non vogliamo applicare questa semplice ricetta, è bene evitare di diffondere fake news.

Viviamo da tempo in un sistema che ha la spesa sanitaria pubblica piu bassa tra i paesi del G7, il più basso numero di posti letto ospedalieri per 1000 abitanti (3,1), parametro che al Sud nemmeno viene raggiunto, carenza di 20000 medici, tanto da ricorrere a gettonisti, e non solo per il PS, e da lasciare senza sostituzione le gravidanze, alla faccia del CCNL, del valore sociale della maternità e dell’inverno demografico. Veramente qualcuno può credere, e far credere, che se i medici, AL DI FUORI DEL LORO ORARIO DI SERVIZIO, andassero a pesca invece di svolgere attività professionale, le liste di attesa scomparirebbero o si ridurrebbero” a livello fisiologico”?? Tanto più se consideriamo che solo il 38,6 % dei medici esercita l’ALPI, al cui interno le prestazioni ambulatoriali rappresentano il 7% del totale erogato ogni anno dal servizio pubblico e quelle in regime di ricovero addirittura 0,2% (esattamente 13908 dimessi in libera professione contro 4.863.817 nel 2021). Numeri molto al di sotto dei limiti indicati dalle leggi e dai contratti. Davvero sono essi a produrre tempi di attesa che ormai si misurano in semestri?

L’ALPI è inserita in una matrice organizzativa complessa, fatta di leggi, contratti e regolamenti. Il medico effettua la libera professione nell’azienda di appartenenza, o in strutture individuate dalla stessa, per tempi contingentati e documentati, con tariffe concordate e calmierate, con imposizione fiscale certa, in osservanza di uno stretto rapporto tra i volumi prestazionali libero professionali e quelli istituzionali. Il gap riscontrato, per alcune prestazioni e in alcune aziende sanitarie (specie in Campania) denuncia l’assenza dei dovuti controlli e la responsabilità di chi dovrebbe vigilare, ma non autorizza a fare di tutt’erba un fascio. Sarebbe come chiedere la chiusura di tutti gli esercizi commerciali perchè un certo numero di essi sono stati sorpresi a non rilasciare lo scontrino fiscale.

Paradosso dei paradossi, l’ALPI finanzia con 50 mln ogni anno (di cui, però, si ignora il destino) proprio la riduzione delle liste di attesa, insieme con la copertura di spese aziendali, mai rendicontate, con circa 300 mln, garantendo anche una entrata fiscale certa pari a 250 mln. Meglio farne a meno, per regalare il tutto a un privato che si sta attrezzando allo scopo? O è proprio questo il vero obiettivo della polemica? Senza contare che alla riduzione delle liste di attesa i medici hanno destinato con il CCNL 3 milioni di ore lavoro/ anno sottraendole al loro aggiornamento professionale. Mentre le Aziende si guardano bene dal fare sapere ai cittadini che, per legge, è a carico del servizio pubblico il costo della prestazione in ALPI quando la attesa supera un limite predeterminato, e cosa ne è dei 300 milioni che incassano ogni anno.

Il fenomeno del tempo di attesa eccessivo, cresciuto a dismisura dopo il COVID anche per il persistente tetto alla spesa del personale sanitario, per la gobba demografica e la grande fuga dal SSN dei medici dipendenti, induce una quota importante di cittadini (circa il 7%) a rinunciare alle cure rappresentando, insieme con la crescente diseguaglianza sociale e territoriale, un importante indicatore di crisi della sanità pubblica. Che oggi sopravvive grazie al senso di responsabilità dei Medici, nonostante il peggioramento estremo delle loro condizioni di lavoro, a fronte del calo drastico delle risorse, e l’avanzare nell’organizzazione dei servizi sanitari di una sorta di "neo taylorismo", dove il tempo di relazione, l'ascolto del paziente e dei suoi bisogni è considerato un tempo morto e il tempo di cura un costo da comprimere, anche mediante tempari e overbooking.

Se veramente si vuole la riduzione dei tempi di attesa per garantire il diritto alla salute dei cittadini, occorre aumentare la capacità di offerta finanziando il SSN con l’8% del PIL, come avviene nei paesi UE con i quali ci confrontiamo, portando il numero dei posti letto alla media europea, assumendo personale sanitario con retribuzioni adeguate e condizioni contrattuali migliori.

In fondo al tunnel di una politica “tafazziana”, in cui si spara contro il servizio pubblico, c’è solo il buio di un SSN povero per i poveri, per il quale molti stanno lavorando. I ricchi potranno sempre rivolgersi a una sanità privata ricca di risorse e professionalità. Quelle fuggite dal sistema pubblico.

Costantino Troise

Responsabile Centro Studi e Formazione Anaao Assomed

Carlo Palermo
Presidente Nazionale Anaao Assomed



02 agosto 2023
© Riproduzione riservata

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