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Infermieri: quali prospettive future? 

di Mattia Lupini

25 SET - Gentile Direttore,
l’obsoleto Ssn italiano è alle prese con la più importante crisi del comparto infermieristico degli ultimi trent’anni. “Senza infermieri l’Italia non avrà più un Ssn degno di questo nome; ci aspetta una lunga stagione assistenziale e non saremo più in grado di garantire salute a tutti. È una prospettiva concreta, reale, che comporta perdite economiche, sociali, oltre che un restringimento dei diritti civili”. Il messaggio della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) lancia l’allarme su quella che oramai è divenuta una realtà a tutti gli effetti: l’Italia non è un paese per infermieri.

I dati relativi alle iscrizioni al test di ammissione in infermieristica 2023 parlano di una riduzione del -10,5% delle domande rispetto all’anno precedente, passando dalle 25.539 del 2022 alle 22.870 dell’anno corrente, con un rapporto delle domande su posto (D/P) di 1.2; un numero vicino alla metà degli iscritti di circa 10 anni fa, che nel 2012 raggiunse i 44.120 iscritti a fronte dei 16.137 posti disponibili. A Genova, per la prima volta, si è verificato il caso in cui il numero degli iscritti (448) non ha raggiunto la soglia dei posti disponibili (460).

Benché il corso di laurea in Infermieristica rimanga uno degli indirizzi universitari con più opportunità di lavoro (l’83,5% dei neolaureati trova un’occupazione a 1 anno dalla laurea) e con stipendi d’ingresso fra i più alti (la retribuzione mensile media è di 1619 euro sempre a 1 anno dalla laurea per il settore Medico-Sanitario e Farmaceutico – fonte Almalaurea), l’inversione di rotta alla quale stiamo assistendo obbliga ad una riflessione più profonda.

La perdita di appeal cade ai piedi del concetto stesso d’immagine sociale, specchio del modo in cui la professione è stata narrata nell’enfasi della pandemia da Covid-19; secondo molti degli ‘eroi’ decantati in quei mesi, come testimoniato dalle proteste degli stessi scesi in piazza contro il calo delle attenzioni delle istituzioni, si è preferito fermarsi all’idea in sé piuttosto che all’analisi della condizione di un mestiere portato all’estremo.

Per questo non c’è da stupirsi dell’inversione di rotta da parte di molti infermieri assunti a tempo indeterminato, disillusi verso il SSN tanto da optare per soluzioni esterne come cooperative e strutture private. Una piccola parte di un gruppo assai più vasto di professionisti in piena crisi, come dimostrano i dati dallo studio RN4CAST secondo i quali il 36% degli infermieri del campione in esame è disposta a lasciare il proprio posto di lavoro entro 12 mesi.

È una rinuncia che testimonia la grave insofferenza di un gruppo di lavoratori verso uno status di sicurezza ritenuto intangibile dai più datati, ma che al giorno d’oggi appare stigmatizzato dagli stessi infermieri. Il ricordo dei concorsi pubblici affrontati, falliti e poi vinti muta di forma, passando da trofeo conquistato a mattone di un’esperienza lavorativa e di vita che necessita di altro.

La FNOPI sottolinea come la ‘questione infermieristica’ vada affrontata al più presto nella sua totalità. Nella stessa questione rientra l’analisi di Nicola Yeates del 2009, circa le “catene globali della cura” mediante le quali i paesi sviluppati, soprattutto anglofoni, attraggono operatori sanitari da paesi meno sviluppi. Tale considerazione non riguarda solamente paesi come Filippine e India, tra i primi fornitori di personale infermieristico, ma anche l’Italia, che ha visto un crescente flusso emigratorio soprattutto verso l’Inghilterra, Svizzera, Germania e Francia
I dati 2022 parlano di una retribuzione degli infermieri italiani pari a 28.000 euro a fronte di una media UE di 35.300 euro (OCSE 2022).

La profonda insofferenza e sfiducia nella sfera salariale si lega a quella di carriera. Come descritto all’interno del sito FNOPI, «i Master posseduti dal personale infermieristico non sono riconosciuti ai fini di adeguati collocamenti lavorativi o di avanzamenti di carriera». La volontà del professionista nel migliorare le proprie competenze è legata al riconoscimento delle stesse, per questo la spinta migratoria verso i paesi sovra citati viene alimentata dall’impianto sanitario pubblico che valorizza chi persegue tali obiettivi professionali.

Lo racconta Aurora, infermiera emigrata nel Regno Unito: “La diversificazione della carriera infermieristica prevede quattro distinte opzioni: manageriale, clinica, educativa e di ricerca. Ogni opzione prevede il conseguimento di titoli universitari e il raggiungimento di particolari livelli di esperienza con adeguate competenze e retribuzioni. Un ulteriore vantaggio è quello di poter conseguire una carriera clinica e una educativa in contemporanea, data la salda collaborazione tra aziende ospedaliere e istituzioni universitarie”. (Quotidiano Sanità)

In Italia il finanziamento dei docenti infermieristici è attualmente sotto il governo delle aziende sanitarie come da d.lgs 502/1992, e non sotto il governo del Ministero dell’Università come dovrebbe essere; le conseguenze economiche e lavorative sono facilmente immaginabili.

Per quanti annunciati e prevedibili, i segnali di crisi si sono manifestati in fatti ed evidenze tanto da portare il SSN ad affrontare la realtà dei fatti, ritrovandosi fra le mani un sistema anacronistico e svantaggioso in confronto a molti Stati europei. La prospettiva non è delle migliori: le stime del Documento di Economia e Finanza (DEF) confermano il ruolo dell’Italia come ultima ruota del carro all’interno dell’agenda politica, con il rapporto spesa sanitaria/PIL sceso dal 6,9% del 2022 al 6,2% nel 2026, peggiorando il dato pre-pandemia del 2019 (6,4%).

La volontà di aggiustare il tiro passa inevitabilmente dalla necessità nel garantire il Diritto alla Salute, condizione tempo dipendente prima del limes irreversibile del punto di non ritorno segnato da poche ed esaustive parole: “non è un Paese di infermieri”.

Mattia Lupini

25 settembre 2023
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