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Basta austerità nel settore sanitario

di Nerina Dirindin, Enza Caruso

09 OTT -

Gentile direttore,
la NADEF, Nota di Aggiornamento del DEF, è lo strumento attraverso il quale il Governo aggiorna – a fine settembre – le previsioni e gli obiettivi della politica di bilancio definiti ad aprile con il DEF. L’aggiornamento è necessario per tener conto delle maggiori informazioni disponibili e delle raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea.

Mai come quest’anno l’aggiornamento della NADEF è fondamentale a causa delle incertezze di fondo che stanno caratterizzando la situazione economica negli ultimi mesi: un forte rallentamento della crescita (nel 2024, l’aumento del Pil in termini reali si riduce di un terzo: dall’1,5% all’1%); un peggioramento degli spazi finanziari disponibili (il disavanzo del 2023 passa dal 4,5% al 5,3% del Pil); una sfavorevole dinamica del rapporto debito pubblico/Pil (che resterà superiore al 140% fino a tutto il 2026); il perdurare dell’inflazione (che continua ad erodere il potere d’acquisto delle famiglie); il protrarsi della guerra in Ucraina (che potrebbe dare luogo a nuovi shock sui prezzi), la contrazione del commercio mondiale (che frena la crescita).

In questo quadro, pare difficile che il Governo trovi spazio per la sanità pubblica, tema che comunque non è nel cuore della sua strategia. Basta pensare che la presidente del Consiglio ha dichiarato “non vogliamo rinunciare a occuparci di salute”, come se la rinuncia fosse una opzione possibile! Peccato che non le sia venuto naturale affermare “vogliamo occuparci di salute”. D’altra parte, Meloni è alla ricerca di argomenti che giustifichino i pochi interventi che saranno fatti sulla sanità pubblica, perché “i margini sono limitati”.

E per giustificare tale disattenzione, Meloni afferma “dobbiamo avere un approccio diverso, più profondo, … non basta spendere di più”. Giusto. Ma forse alla Presidente non hanno ancora illustrato le gravi debolezze che il Ssn ha accumulato nell’arco di oltre un decennio, a partire dall’imposizione di tetti di spesa per il personale dipendente che, introdotti dal governo Berlusconi, non sono mai stati rivisti salvo, interventi marginali negli ultimi anni. Di fatto la spesa del personale (ove superi il valore del 2018) resta condizionata al tetto del livello del 2004 ridotto dell’1,4% (al netto degli aumenti contrattuali). Ove invece sia inferiore al 2018 ammette piccoli incrementi di spesa annuali (entro il 10% dell’incremento del Fondo sanitario, superabile di un ulteriore 5% in caso di oggettivi fabbisogni di personale valutati di volta in volta dai tavoli ministeriali). Ulteriori aumenti di spesa per il personale sono ammessi nella misura della riduzione strutturale della spesa per i servizi esternalizzati.

Ecco dove dovrebbe esercitarsi il Governo se volesse davvero avere “un approccio diverso”: riconoscere che un sistema sanitario non può fare a meno di una adeguata dotazione strutturale di personale, riducendo i servizi esternalizzati, e che bisogna contrastare la profonda demotivazione dei professionisti. Bisognerebbe che il Governo trasmettesse a tutti gli operatori la ferma volontà di riconoscere il valore del loro lavoro, per evitare che continuino ad andarsene dalla sanità pubblica, all’estero o in altri settori. Se mancano almeno 70 mila infermieri, bisogna convincere i giovani a intraprendere tale professione, garantendo loro un’occupazione strutturata, prospettive di carriera, stipendi e condizioni di lavoro adeguati. Per questo bisogna dimostrare di saper proporre misure efficaci, e non semplicemente impegnarsi a non ignorare la sanità. Per non parlare della completa dimenticanza della Non Autosufficienza, cui la Nadef non dedica neanche una parola, nonostante la legge delega in corso di attuazione richieda specifici impegni finanziari.

Ma che cosa dice la NADEF sulla salute?

Le previsioni, a legislazione vigente (ovvero al netto di quanto sarà deciso con la legge di bilancio), sono drammatiche: le revisioni al ribasso della crescita del Pil incidono sulla spesa sanitaria che continua a diminuire in termini di Pil fino a raggiungere il 6,1% nel 2026, un valore addirittura inferiore a quello previsto ad aprile nel DEF. I pochi interventi adottati nel 2023 non hanno infatti lasciato traccia. L’incremento del FSN disposto in legge di bilancio 2023 è stato assorbito dai maggiori costi dell’energia e il successivo decreto bollette (d.l. 34/23) ha concentrato le risorse sul contributo statale al ripiano dello sfondamento 2015-2018 dei dispositivi medici a carico delle aziende fornitrici, e ha destinato qualche risorsa per l’incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive in intramoenia e all’anticipo dell’indennità di pronto PS.

Quanto alla riprogrammazione degli obiettivi, la Nadef contiene un solo punto che riguarda la sanità: il Governo proporrà stanziamenti “destinati al personale del sistema sanitario” (su cui pende ancora il rinnovo del contratto). Un impegno importante ma generico e che non sembra capace di quella profondità che la Presidente dice di voler adottare.

Sono inoltre indicati due collegati alla decisione di bilancio: uno in materia di riorganizzazione e potenziamento dell’assistenza territoriale e dell’assistenza ospedaliera, e una delega in materia di riordino delle professioni sanitarie e degli enti vigilati dal Ministero della salute.

Il principio di prudenza, ripetutamente richiamato nella NADEF, colpirà quindi pesantemente la sanità.

Eppure, questo è il momento per ideare interventi capaci di segnare quella inversione di tendenza tanto cara alla presidente Meloni. Questo è il momento per alzare lo sguardo e provare a capire quale prospettiva concreta e strutturale (non di mero tampone) può essere delineata per superare quello che a molti appare il definitivo crepuscolo della sanità pubblica.

Una possibile via, forse illusoria sul piano operativo ma capace di dare un po’ di speranza, è la seguente.

In queste settimane, l’Europa sta tentando di rivedere le vecchie regole di bilancio che, fra l’altro, obbligavano un paese ad adottare politiche di austerità proprio quando l’economia era in crisi. Si prospetta la possibilità di riconoscere agli investimenti che rivestono un ruolo fondamentale per la crescita e la sostenibilità del debito pubblico uno speciale trattamento.

Di fronte alle gravi condizioni del Ssn, un Governo che considerasse davvero la salute una priorità potrebbe provare a lanciare una proposta, forse destinata a essere respinta ma sicuramente significativa sul piano politico: escludere dal calcolo del debito parte delle spese per la formazione e l’inserimento nel sistema sanitario di una adeguata dotazione di capitale umano perché, in un settore ad alta intensità di lavoro, i professionisti costituiscono un fattore di sviluppo altrettanto fondamentale quanto le tecnologie. E per il benessere della popolazione, sono altrettanto prioritari quanto la riduzione del debito. Proporre che, a fianco della spesa in conto capitale (su cui sta intervenendo il PNRR), alcune specifiche voci di spesa corrente per un certo numero di anni possano essere sterilizzate a tutela dei Livelli Essenziali potrebbe essere, fra l’altro, un segno concreto della reale volontà del Governo di dare priorità alla salute. È necessario, infatti, operare concretamente per dare attuazione agli standard dell’assistenza sanitaria territoriale, con assunzioni in deroga conseguenti al monitoraggio della governance e alla realizzazione degli investimenti del PNRR.

Sarebbe un motivo di speranza per gli operatori e la popolazione, a prescindere dalla probabilità della proposta di essere accolta. Non possiamo infatti accettare che, nel nuovo Patto di Stabilità, si pensi solo a trattamenti preferenziali per la transizione verde, il digitale o la difesa. È importante consentire ai paesi in difficoltà di strutturare un sistema sanitario solido e resiliente (come raccomandato anche dall’Europa) e non ridotto all’osso.

Nerina Dirindin
Enza Caruso



09 ottobre 2023
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