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Modificare le prassi per assistere gli anziani fragili

di Alessandro Serenelli

06 NOV -

Gentile Direttore,
tutti sappiamo che sul sistema sanitario e pensionistico sta per abbattersi un vero e proprio tsunami demografico dovuto al divenire anziani da parte dei componenti della generazione dei baby-boomers. Il bisogno di salute che maggiormente dovremo essere in grado di cogliere e a cui dovremo rispondere al più presto è quello degli anziani fragili.

Accanto alla promozione della medicina del territorio, siamo chiamati ad utilizzare i luoghi che già abbiamo cambiando prospettiva e modificando le nostre prassi.

Gli anziani fragili continuano e continueranno sempre a giungere negli ospedali per acuti. Possiamo fare la prevenzione migliore, possiamo modificare lo stile di vita della popolazione, possiamo migliorare lo stato di salute generale, ma l’invecchiamento è un dato da cui non possiamo prescindere. Ad un certo punto della nostra vita ognuno è destinato a fare i conti con la propria fragilità, a divenire malato cronico; anzi questo accade proprio a chi ha la fortuna di godere di buona salute, gli altri finiscono il loro percorso prima.

L’ospedale per acuti resta un luogo privilegiato per valutare il bisogno di salute degli anziani fragili, per due evidenti motivi: il fatto che il paziente ricoverato è sotto la nostra osservazione H24 e perché in ospedale sono presenti tutte le competenze, le specialità e le professionalità che possono valutare questo bisogno di salute in tutti i suoi aspetti. Ovviamente tutto ciò, per essere davvero utile, deve essere reso disponibile ai servizi territoriali, non dopo le dimissioni del paziente, ma già prima.

Ma la realtà negli ospedali è che spesso gli anziani fragili che entrano per un evento acuto durante la degenza peggiorano il loro stato di salute, spesso rapidamente e drammaticamente. Spesso si sente dire nei corridoi degli ospedali: “riportatelo a casa il più presto possibile, più resta ricoverato qui e più è alto il rischio che si prenda qualche infezione o che si aggravi”. La fragilità infatti espone fortemente a complicanze e anche solo il fatto di modificare i propri orari, di essere fuori dal proprio ambiente, di essere costretti a letto può portare l’anziano fragile ad un rapido decadimento. I nostri ospedali non sono stati pensati ed organizzati per questo tipo di pazienti.

Dobbiamo essere rapidi nel fare diagnosi ed efficaci nelle terapie, certamente, ma dobbiamo anche facilitare il rientro a casa di questi anziani.

L’anziano fragile in ospedale non deve essere costretto a restare nel suo letto, anzi deve essere stimolato ad uscirne. Deve poter stare seduto, deve poter interagire con l’ambiente. Più è deteriorato e più questo è importante per consentirgli di poter realmente tornare a casa. L’isolamento durante il covid ci ha mostrato in maniera inequivocabile quanto questo sia importante.

Inoltre, durante la degenza, accanto a tutti gli aspetti clinici, occorre valutare in tutti gli anziani fragili anche gli aspetti funzionali; infatti, il mondo degli anziani fragili è composito. A parità di età, di co-morbilità e di condizioni socio-economiche abbiamo anziani che “funzionano” decisamente meglio di altri. Gli elementi che concorrono sono complessi e molteplici: aspetti legati al carattere, alle esperienze vissute, al contesto ambientale, alla storia lavorativa, ecc. solo per nominarne alcuni. Ciò che realmente ci interessa capire però è come ogni singolo anziano fragile “funziona” e se abbiamo la possibilità di migliorare e preservare questo “funzionamento” e quali azioni concrete intraprendere per farlo.

Le scale per l’autonomia che vengono normalmente utilizzate non sono sufficienti per far questo; ci forniscono infatti un numero, un dato che da un lato ci semplifica la vita per la scelta del setting più appropriato per il trasferimento e dall’altro ci deresponsabilizza, ma nulla ci dice del reale modo di “funzionare” di quello specifico paziente e delle strategie e degli ausili che potremmo utilizzare per migliorare la sua condizione e fare una prevenzione secondaria davvero efficace.

Quanti anziani fragili al momento delle dimissioni escono con l’indicazione degli ausili che gli serviranno per poter tornare a casa muovendosi in sicurezza? Quanti familiari e caregivers sono stati istruiti su come mobilizzare il proprio anziano e come stimolarlo e mantenerlo attivo? Quanti pazienti disfagici fanno una valutazione logopedica e dietologica prima di essere dimessi e vengono istruiti sulla consistenza dei cibi che devono assumere per evitare stati di denutrizione o polmoniti ab-ingestis?

Si tratta di fare cose semplici, con le risorse che già esistono, ma occorre modificare le nostre prassi, evitando di schiacciare il nostro sistema sull’assistenza perdendo di vista l’aspetto riabilitativo, perché in prospettiva questa scelta è perdente. E’ cieco e perdente non utilizzare e stimolare le altre risorse che pure esistono a dare il proprio contributo.

Alessandro Serenelli

Fisioterapista



06 novembre 2023
© Riproduzione riservata

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