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Cure primarie, quali modelli organizzativi per dare risposte efficaci ai cittadini

di Marina Vanzetta

16 NOV -

Gentile Direttore,
nel nostro Paese le malattie croniche interessano circa 24 milioni di persone in tutte le fasi della vita anche se ad esserne affette sono per l’85% le persone ultra 75enni. Questi, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità che sottendono un inevitabile conseguente aumento dei bisogni assistenziali a cui dare risposta e della complessità della stessa. Risposta che richiede, per essere efficace modelli organizzativi capaci di assicurare una presa in carico tempestiva e costante nel tempo.

Ma quali modelli per andare nella giusta direzione?

Su questo interrogativo, in una recente intervista rilasciata a “L’Infermiere Online”, Luisa Saiani, già Professore ordinario dell’Università degli studi di Verona, ha sottolineato la rilevanza della ricerca sui modelli organizzativi nelle cure primarie proprio per la complessità della risposta assistenziale e della sua articolazione sul territorio. A spingere la ricerca in questo senso sono state e sono linee di indirizzo nazionali e internazionali che hanno portato a condurre anche nel nostro Paese esperienze di ricerca sui modelli organizzativi ma anche, con una prospettiva più ampia, sul ruolo degli infermieri e sulle caratteristiche delle persone assistite nell’ambito delle cure primarie.

Lavoro però, come sottolinea Saiani, non privo di complessità metodologiche con le quali i ricercatori devono confrontarsi nella conduzione delle ricerche come evidenziato in uno studio pubblicato su Assistenza Infermieristica e Ricerca (AIR). Complessità legate al contesto, all’intersecazione di problemi sociali e sanitari, alle differenti professionalità. Di fatto, il territorio, a differenza dell’ospedale che è una struttura nota, definita e organizzata anche nei team assistenziali, è un’organizzazione fluida dai confini non delimitati e caratterizzata dalla presenza di molte strutture diversamente articolate.

Allora qual è la soluzione? Le difficoltà possono disincentivare la ricerca in questo ambito e sbiadire la convinzione di poter contare su dati misurabili, replicabili e confrontabili per introdurre innovazione capace di presa in carico e di risposte efficaci a bisogni complessi anche sul territorio? Condurre ricerche nelle cure primarie, conclude Saiani, è assolutamente sfidante. Una delle possibili direzioni future è la definizione di un set di indicatori disponibili e accessibili almeno a livello regionale. Questo consentirebbe di definire esiti sicuramente reperibili anche in altri contesti per consentirne la replicabilità. Ancora, per assicurare l’utilizzo dei dati servirebbero maggiori strategie di accordo con gli altri professionisti coinvolgendoli nei progetti di ricerca e non ultima, una maggiore integrazione con il sociale e con le risorse informative comunali nella ricerca territoriale.

Marina Vanzetta

L’Infermiere Online



16 novembre 2023
© Riproduzione riservata

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