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Assicurazioni sanitarie, vediamoci chiaro

di Marco Geddes De Filicaia

11 DIC -

Gentile Direttore,
alcuni giorni fa si è svolto un interessante incontro a cui hanno partecipato Dario Focarelli, Direttore Generale della Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA); Giovanna Gigliotti, AD di UniSalute (UnipolSai) e la Senatrice del Pd ed ex Ministra della salute Beatrice Lorenzin. Occasione utile per conoscere l’orientamento delle assicurazioni sanitarie nel nostro paese; si tratta infatti di “politiche di impresa” rilevanti per la tutela di un diritto fondamentale, sancito dalla Costituzione.

All’incontro ha partecipato l’economista della Stanford University Liran Einar, autore di “We've Got You Covered: Rebooting American Health Care”.

In questo libro l’analisi è rivolta sui cittadini statunitensi coperti da assicurazione (il 90%). Un sistema che sotto assicura, che vincola al posto di lavoro e che porta molti di loro a indebitarsi. Un sistema dispendioso, afflitto da una burocrazia assicurativa che costringe a percorsi “tortuosi e crudeli”, notoriamente più costoso e con risultati di salute nettamente inferiori a confronto di altri paesi asiatici ed europei.

Riferendosi alle tesi del libro sia Focarelli che Gigliotti hanno rassicurato che le assicurazioni sanitarie italiane non si ispirano al modello americano. I modelli di riferimento sarebbero invece quello tedesco o quello francese.

Negli anni novanta il riferimento era il modello tedesco, caratterizzato da una uscita (opting aut) dei più abbienti dal sistema nazionale, ma con il ricorso da parte di tale fascia di popolazione, a un sistema assicurativo privato.

Questo punto di vista era sostenuto dall’allora presidente di ANIA Alfonso Desiata. Questa proposta di opting out dal SSN era fatta propria dalla stessa Confindustria, con il documento Proposte per una nuova sanità (24/7/1997).

Le varie componenti del mondo assicurativo italiano hanno avuto nel tempo orientamenti e approcci diversi. L’ANIA ha più volte sostenuto l’estensione del regime fiscale proprio dei fondi integrativi all’intera gamma assicurativa “per andare ad abbracciare l'intero campo della spesa sanitaria privata pagata di tasca propria dai cittadini” (Audizione del Presidente ANIA alla Commissione parlamentare, 12/6/ 2019). Altri assicuratori invocano una obbligatorietà di assicurazione complementare.

L’orientamento espresso nell’incontro si ispirerebbe invece alla Francia: nessun abbandono, da parte di alcuna fascia di popolazione, del SSN, ma solo un riorientamento della copertura, limitata alle situazioni “basic”, sostenibile con una spesa pubblica ridotta. Il resto è da affidare alle assicurazioni. Quale sia il livello base da garantire da parte del SSN è ovviamente, anche per i relatori, complesso e da definire: certamente le urgenze, gli interventi più complessi, ma certo non gli attuali Lea.

Di particolare interesse l’intervento della AD di Uni Salute, che documenta lo sviluppo dei fondi sanitari integrativi, introdotti nel 1992 (Ministro De Lorenzo); il successivo riordino della disciplina nel 1993 (Ministro Garavaglia); la Riforma Bindi del 1999 che distingue i fondi integrativi (doc) e fondi “non doc”. Una tipizzazione di particolare rilievo dal punto di vista fiscale con beneficio della deducibilità dei contributi versati ai soli fondi integrativi (doc).

I successivi interventi sono rappresentati dal Decreto Turco del 2008 e dal Decreto Sacconi (2009). Si abbandona così la distinzione fra Fondi integrativi e non e si individuano invece le prestazioni «vincolate», che devono rappresentare almeno il 20% di tutte le risorse impegnate da Fondi e casse, quale criterio di accesso ai benefici fiscali.

Gigliotti evidenzia che la spesa sanitaria privata è progressivamente aumentata raggiungendo i 41,5 mld. Anche la copertura assicurativa è cresciuta, ma limitatamente al 2° pilastro (Fondi ecc.) e dovrebbe aver raggiunto attualmente una copertura di 15 milioni di persone. Il secondo pilastro è, secondo la relatrice, il terreno da coltivare tramite il welfare aziendale.

Chiude la serie di interventi la senatrice Beatrice Lorenzin. L’esperienza politica e governativa, oltre alla capacità di un sorridente eloquio, offre agli ascoltatori un intervento che, dobbiamo ammetterlo, “vola alto”: centralità del paziente, prevenzione, rilevanza dell’ambiente ma anche intermediazione della spesa out of pocket. È indispensabile, afferma Lorenzin, adeguare le risorse umane, su cui si basa il Servizio sanitario (medici e infermieri) sia sotto il profilo numerico che stipendiale. Per fare ciò è necessaria una continuità di impegno politico!

Non vi è traccia, non tanto di qualche pudore, ma di una riflessione critica che spieghi, da parte di chi è stata Ministro della sanità per 1858 giorni (la più lunga continuità al vertice di tale Dicastero, maggiore della somma dei Dicasteri Bindi e Turco) come sia stato possibile aver attuato una riduzione progressiva del finanziamento del SSN, pari, in relazione alla crescita dell’inflazione, a 36 mld in un decennio. Non si capisce come mai si sia mantenuto il vincolo all’assunzione di personale e una totale assenza di programmazione della formazione di medici e infermieri!

L’importanza di questo incontro è di aver offerto una visione sulle strategie aziendali del sistema assicurativo in ambito sanitario. Sono rimaste tuttavia sottintesi, o sottaciuti, alcuni importanti aspetti. In particolare due:

- La progressiva estensione di un sistema assicurativo tramite il welfare aziendale si accompagna al permanere di agevolazioni fiscali? Pertanto questa ulteriore riduzione del gettito fiscale (tax expeditures), che si aggiunge ad altre caratteristiche distorsive del nostro sistema fiscale non è in netta contraddizione con la necessità, proclamata anche dai relatori, di trovare maggiori risorse per il sistema sanitario pubblico?

- I sistemi assicurativi su base professionale o occupazionale, in particolare nelle condizioni del nostro paese (diversità territoriali, lavoro flessibile, occupazione saltuaria ecc.) accentueranno le diseguaglianze, come dimostra il fatto che il welfare aziendale si concentra in alcune aree del paese (Nord- Ovest 38,1%; Meridione 14,5%) e in particolare trasferisce al quintile di reddito più alto il 58,5% delle risorse, mentre al quintile di reddito più basso destina solo il 2,5%?

Marco Geddes da Filicaia



11 dicembre 2023
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