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Parola per parola…

di Anna Paola Lacatena

29 FEB - Gentile Direttore,
“Ogni droga è mer**a e chi si droga è un cog****e”, il vicepresidente del Consiglio, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e leader della Lega, Matteo Salvini, si è così espresso il 21 febbraio u.s. a margine di un evento elettorale, alla presenza della premier Giorgia Meloni.
Da operatrice del settore chiedo rispetto… parola per parola.

Se il ricorso all’argomento non è orientato dalla ricerca del facile consenso e dall’idea, squalificante e offensiva, di avere come interlocutori persone ritenute dal pensiero poco articolato, è bene partire dalla costatazione che non esiste la droga ma le droghe.

Tutte le droghe fanno male. Tutte le droghe, però, danno un qualche piacere.
Ciò che chiamiamo droga – “qualsiasi sostanza che introdotta in un organismo vivente, può modificarne le capacità percettive, emotive, cognitive o motorie” (OMS, 28° Rapporto, 1993) - nell’immaginario collettivo è generalmente una sostanza illegale, anche se taluni agenti psicoattivi leciti (alcol e la nicotina), possiedono un potenziale d’abuso e dipendenza, rischi sanitari e costi sociali assai più elevati di molte sostanze comunemente messe al bando.

La dipendenza, malattia cronica e recidivante, deve essere intesa come “condizione psichica, talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo e una sostanza, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni che comprendono un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione” (OMS). In questa definizione rientrano anche le dipendenze senza sostanza.

Liberalizzare la droga significa riconoscere la piena libertà del suo commercio.

Legalizzare le droghe vuol dire concedere la possibilità di utilizzare e commerciare alcune droghe appositamente individuate, a determinate condizioni di legge.

Depenalizzazione significa che lo Stato commina per un dato comportamento - comunque illecito - solo con sanzioni amministrative (ad es. ritiro della patente o del passaporto).

Le persone non assumono droghe per ragioni inspiegabili o per mere questioni di immoralità: con l’uso di sostanze cercano di procurarsi piacere, da intendersi spesso come assenza di dolore, come strategie di coping, come sollievo dallo stare male.

Mistificare questa visione, non cercare di tradurre il fascino che le stesse esercitano significa precludersi la possibilità di comprendere, continuando di conseguenza a promuovere politiche inefficaci.
Perché esiste il piacere e la malattia, in un mix multifattoriale non facilmente decifrabile per peso e importanza, da cui tutti partono e dove nessun consumatore vorrebbe mai arrivare … non io, non a me.

Non è facile governare alcune sostanze, non è impossibile smettere di usarle.
Ogni dipendenza è stata consumo, e poi consumo problematico prima di diventare tale, ma non è detto che il consumo porti necessariamente alla dipendenza.

Dare del “c***ne” a chi utilizza droga (consumatore o dipendente che sia), facendo leva sul senso di colpa, lede il senso di autostima e di autodeterminazione della persona stessa.

Dare del “cog***ne” a chi utilizza droga significa allontanare la persona dalla possibilità di chiedere aiuto, dall’idea stessa di fare ricorso ai Servizi specialistici, ossia ai Ser.D. (Sevizi per le Dipendenze).

Dare del “cog***ne” a chi utilizza droga significa offendere e svilire il lavoro di tanti operatori del settore (pubblico e privato sociale accreditato) che quotidianamente vivono la problematica in prima linea, rischiando e investendo energie e servendosi di un know how dettato dall’esperienza e dalle evidenze scientifiche.

L’essere umano non è un essere perfettamente razionale, orientato esclusivamente a ciò che comunemente viene definito Bene, ma come afferma più realisticamente Lacan, “un essere di godimento”, che insegue il piacere - peraltro, in caso contrario, il genere umano si sarebbe già estinto.

Non esiste un dipendente patologico che non voglia cambiare il suo stato. Non esiste un dipendente che non ricordi e agogni il piacere iniziale, sia pur consapevole dell’ormai irraggiungibilità dello stesso.
E allora perché continua a farsi?
Perché altrimenti starebbe male!

Dare del “cog***ne” a chi utilizza droga, significa farsi beffa della sofferenza di tante persone dipendenti e dei loro familiari.

Punire non è la soluzione - se mai ve ne dovesse essere una sola - si dovrebbe lavorare molto di più sulla prevenzione (soprattutto tra i più giovani), sul potenziamento della rete dei Servizi (pubblici e del Privato sociale accreditato), evitando continui ridimensionamenti e tagli di spesa a personale e fondi dedicati, anche alla luce del radicarsi di sempre più pericolose sostanze, su tutte gli oppioidi sintetici (vedi fentanyl).

Dare del “cog***ne” a chi utilizza droga significa non aver compreso la complessità di un problema dall’eziopatogenesi multifattoriale, barattando per un pugno di voti e l’applauso di una platea altrettanto inconsapevole, l’attenzione che le vite di tante persone legittimamente rivendicano.
Se dall’ultimo spot per la sicurezza stradale commissionato dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, sembrerebbe non essere così necessario allacciare le cinture in auto, l’insufficienza di sensibilità e conoscenza ce lo impone.

A fronte di esuberi di insensatezze utili solo a conservare poltrona e copione, rinunciando alla pur facile rima, è bene ricordare che maiora premunt.

Anna Paola Lacatena
Sociologa e coordinatrice del Gruppo “Questioni di genere e legalità” della Società Italiana delle Tossicodipendenze (SITD)

29 febbraio 2024
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