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Aggressioni e burn out. Garantire sostegno psicologico per prenderci cura di chi cura

di Alessandra S. Schiavoni

22 MAR - Gentile Direttore,
nei giorni del 12 e 13 marzo, in occasione della Giornata contro le aggressioni al personale sanitario, AIES si è fatta promotrice di due eventi, il secondo dalla sala stampa della Camera dei Deputati, che hanno visto la partecipazione di molte associazioni, società scientifiche di categoria.

AIES è un’associazione giovane che ha l’obbiettivo di diventare società scientifica accreditata e che nasce con un’anima multidisciplinare. Proprio per questo anche gli eventi che AIES ha promosso, hanno avuto carattere multidisciplinare. Ancora troppo spesso e in molti sistemi 112/118, i professionisti si trovano a dover gestire in autonomia le proprie emozioni relative alle aggressioni, siano esse fisiche o verbali, senza avere la possibilità di esternarle ed elaborarle in uno spazio e in un tempo che sia protetto e accogliente.

La visione di AIES è proprio questa. Per questo all’interno di AIES ci sono gli psicologi: perché si prendano cura di chi cura. Perché vogliamo che gli psicologi diventino strutturali all’interno dei sistemi di emergenza urgenza, per dare risposte a tutto quell’apparato emotivo a cui i colleghi non possono, e non devono, dare risposta da soli. Non solo in “tempo di guerra”, ma soprattutto in “tempo di pace”: prima degli eventi traumatici, prime delle aggressioni. Quando il tempo della vittima diventa un tempo di ricerca della cura.

Il dolore, le immagini che restano indelebili davanti agli occhi, “appiccicate” nella memoria, le frustrazioni quotidiane, espongono i colleghi dell’emergenza a un esaurimento emotivo e psicofisico di cui si parla tanto, ma rispetto al quale si agisce ancora poco.

Dobbiamo iniziare a creare circoli virtuosi nel sistema di emergenza urgenza, dove accanto alla sala rossa del pronto soccorso ci sia una sala blu, uno spazio e un tempo per disinnescare emozioni impattanti. Dobbiamo iniziare a creare un sistema che si prenda cura delle persone che lavorano al suo interno.

Perché è proprio questo di cui parliamo: di persone, non di martiri o missionari. Persone che hanno scelto di prendersi cura dell’altro ma non per questo possono essere dimenticate. Dobbiamo iniziare a pensare ad un sistema che non sia fatto di numeri, di code da smaltire o di rapporti di uno a venti. Dobbiamo creare sistemi che abbiano un tempo più lento, a misura d’uomo e non a misura di numero. Dobbiamo iniziare a parlare di sostegno psicologico strutturato e strutturale nei sistemi di emergenza. Noi psicologi, abbiamo il dovere di occuparci dei nostri colleghi. Gli psicologi non devono essere professione sanitaria solo sulla carta, ma essere messi a disposizione dei nostri colleghi nelle centrali operative, nei pronto soccorso, sul territorio. Essere inseriti nei team e dei team fare parte. Essere presenti stabilmente.

Gli sportelli di sostegno, ormai lo sappiamo, non funzionano. Non funziona il sostegno una tantum, nel dopo. Serve imparare a lavorare insieme, gomito a gomito, nello stesso presidio, creare fiducia e relazione in un tempo che è giorno per giorno. Dobbiamo creare un sistema di emergenza urgenza che nell’emergenza abbia una ritualità, un tempo fatto di respiri lunghi e non di apnee.

Dobbiamo iniziare a pensare seriamente che se le aggressioni non potranno forse mai essere eliminate del tutto, perché l’aggressività è insista nella natura umana, possiamo almeno cercare di limitarle. I posti di polizia, l’inasprimento delle pene o le bodycam sono deterrenti che da soli non possono bastare, almeno se non iniziamo a educare la popolazione, ad istruirla, a mettere i professionisti in condizioni di non essere il nemico.
Dobbiamo iniziare a creare ben-essere per i nostri professionisti in modo che non siano iperattivati e non si iperattivino dando carburante all’escalation della violenza. Dobbiamo mettere i nostri professionisti in condizioni di conoscere se stessi, di essere centrati su se stessi e così sereni da non entrare loro stessi nel circolo vizioso delle aggressioni. Per farlo la strada è quella di creare sistemi virtuosi, tempi a misura d’uomo e ben-essere.

La salute psicofisica dei colleghi di emergenza urgenza non può essere più demandata alla buona volontà del singolo che si rivolge alla psicologia privatamente o al volontariato della psicologia dell’emergenza nei momenti in cui scoppiano vere e proprie emergenze.

La prevenzione, l’ascolto, la formazione, lo spazio e il tempo per il dialogo e il confronto che la presenza di uno psicologo può garantire all’interno dei servizi, deve diventare prioritaria nei prossimi anni.
Non possiamo più aspettare che accadano eventi tragici per attivarci, dobbiamo farlo prima, dobbiamo parlare di prevenzione.

Dobbiamo prenderci cura di chi cura, perché un operatore di cui non ci curiamo è un operatore perduto.

Alessandra S. Schiavoni
Psicologa psicoterapeuta
Consigliere nazionale AIES – Accademia Italiana Emergenza Sanitaria

22 marzo 2024
© Riproduzione riservata

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