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Le competenze infermieristiche e un dibattito pieno di 'deliri da disorientamento'

di Marcella Gostinelli

13 GEN - Gentile direttore,
A leggere senza reazione, dall’esterno, i tanti commenti di questi giorni sulle competenze infermieristiche, ma anche su argomenti trasversali, sembra di assistere ad un delirio, inteso proprio come disturbo della interpretazione della realtà, causato da un malessere, un disorientamento e un disagio davvero crescenti.

Mi sono anche chiesta se Amedeo Bianco, Presidente nazionale dell’ordine dei medici  e oggi anche  Senatore, non avesse provato, anch’egli, un qualche imbarazzo nel leggere interventi di medici cosi “insicuri”, sofferenti e gravemente a disagio con la realtà che vivono e in essa anche con gli infermieri; mi riferisco nello specifico, e per esempio,  al Dott.Vergallo che già nel novembre 2012 ordinava , in una sua lettera a Quotidiano sanità,  a me dirigente infermiera dietro la scrivania, di parlare come mangio perché avevo utilizzato, secondo lui, un linguaggio troppo forbito per essere una infermiera, dando per scontato che una infermiera, in quanto  tale,  mangiasse “impoverito”e quindi dovesse parlare usando necessariamente  un lessico impoverito e imparato a memoria, senza che la povera infermiera ne avesse compreso il significato.

Non contento, il 2 gennaio u.s. continua a sfogarsi perché irritato da “queste competenze avanzate” che si vogliono dare agli infermieri, con i quali, per carità quotidianamente, egli dice, non è in conflitto, ma che non si azzardino a mettersi dietro le scrivanie o ad usare le parole “diagnosi” e “prescrizione” perché si irrita; esse, secondo lui, appartengono ai medici, cosi come la medicina. Vorrei ricordare al medico Vergallo, evitando ogni commento sull’imperativo ”parli come mangia”, che si commenta davvero da solo, che gli infermieri dirigenti , come me, hanno fatto,  prima di diventare dirigenti, anni di lavoro in prima linea a differenza dei  medici che dirigenti lo sono fin da subito. Aggiungerei che la medicina è fatta anche dagli infermieri e che la parola diagnosi, la cui etimologia Lei conosce certamente, perché dice di aver fatto il liceo-ginnasio, può essere tranquillamente usata dagli infermieri perché gli infermieri la usano quale strumento per la conoscenza e che Lei, negandolo, lo fa invece diventare un ostacolo alla conoscenza e la conoscenza cosi come il sapere non è solo del  medico e peggio ancora dello specialista medico. Può cosi accadere, Dott.Vergallo, che un infermiere contribuisca alla diagnosi medica o che faccia diagnosi di un problema infermieristico; il medico non può pretendere che l’infermiera non sappia nulla di un malato solo perché non emette diagnosi medica. Ci rifletta, vedrà non è difficile. Qualora non si fidasse delle mie parole, che pure ho fatto il liceo-ginnasio come Lei, Le consiglio di leggere Roberto Beneduce, in Disarticolazione del mito della diagnosi, intervista allo stesso a cura di Simone Spensieri, in “Animazione Sociale”, n. 265, agosto/settembre 2012 sempre che Lei , medico, possa leggere questo genere di riviste. Per la parola prescrizione le chiedo: “Perché, secondo Lei ed altri come Lei,  l’infermiere non può dare al malato–cittadino disposizioni, consigli infermieristici scritti, siano essi educativi o riconducibili a presidi infermieristici, quali strumenti o prodotti, che non richiedono prescrizione medica? Attendo, gentilmente, risposta.

Altra questione importantissima affrontata seppur marginalmente dal Dott. Vergallo, ma che a me sta molto a cuore  è quella del prendersi cura e della cura e che lui affronta come se fossero faccende separate appartenenti l’una al medico l’altra all’infermiere, come nel seicento, ma non solo,  quando l’evidenza, la certezza, la verità ossessionavano la medicina e la cura era dogmatica e ricorsiva con pretese di verità assoluta e quindi unica (Cavicchi, 2004/2008). Egli non tiene conto che oggi il malato pone un nuovo presupposto ontologico che è quello di rivedere il modo di conoscere il malato tutto, per quello che il malato è realmente, chiede in sostanza di rivedere il rapporto tra il malato, che è più del risultato di una procedura, e la scienza medica che invece conosce il malato soprattutto attraverso la procedura di cura. L’infermiere non è nel processo di cura  a fare filosofia esistenzialista, ma è li con il malato ed il medico per cercare di rafforzare la capacità di fare diagnosi e quindi di scegliere da parte del  medico e del malato. Con questo intendo quindi dire che il prendersi cura riguarda anche Lei medico, cosi come riguarda il malato prima ancora che l’infermiere.
 
E la cura riguarda anche l’infermiera così come il malato. Cercherò di aiutarla a ricomporre un’idea di cura adeguata al momento  storico socio-culturale professionale e lo faccio  semplicemente perché noi infermieri ci siamo già prodigati a farlo e lo abbiamo capito, sebbene non tutti . Qui si entra nel difficile però  e poi lei mi dice che io imparo a mente ! Oggi la società civile ha un’idea di cura che supera il concetto di terapia,di procedura, di tecnica ,di metodo. Il malato stesso cosi come egli s’intende annulla la differenza tra cura e prendersi cura perché è come se dicessimo che la cura, cura fisicamente i corpi e il prendersi cura, cura metafisicamente gli esseri. Il malato, nel suo prendere forma come malato sa bene che non è un ammasso di cellule da una parte e un insieme di bisogni metafisici dall’altra e che il tutto è qualcosa di più della somma delle sue parti e quindi, il malato,  non si aspetta che il medico lo curi e l’infermiere si prenda cura .Lui si aspetta di essere curato tutto, punto. E noi, con lui, lo curiamo nel suo tutto. Pertanto, aiuterei il Dott. Vergallo in questi passaggi culturali, filosofici, tra ontologia ed epistemologia, difficili., sebbene quotidiani,  e poi lo esorterei a scrivere e sottoscrivere, se vuole, nel merito.

Fossi  invece un collega anestesista , aiuterei il Dott. Minniti a ritrovare la via smarrita. Credo anche che soffra un po’ di invidia professionale, se posso permettermi di pensarlo,  e qui se fosse, consiglierei, per il Dottor Minniti, un corso sulla consapevolezza del se. Parla così tanto e male della Presidente e Senatrice  Silvestro che non si capisce perché lo faccia, se non per invidia, non saprei però dire se vorrebbe il Suo onore o la Sua fama.

La Presidente e Senatrice  Silvestro, lo dico senza nessun imbarazzo o timore di essere accusata di cortigianeria, perché è storia, avrebbe molto da insegnarLe Dott.Minniti, nel suo cilindro c’è tutto e Lei potrebbe serenamente attingere da quel vissuto invece di snobbarlo. L’aiuterebbe a capire molto di ciò che oggi Le sfugge .

Vede Minniti, forse Lei non può capire perché ha scelto, esercita, rappresenta  una professione che nasce fin da subito come  professione,  Silvestro ha invece rappresentato una professione e dei professionisti -  con convinzione, orgoglio, dignità , onore e oggi anche fama - quando ancora professione infermieristica e professionisti non c’ erano. Quelli sono stati anni e  momenti davvero difficili per gli infermieri, quando il retaggio culturale pesava di più di ciò che potevi offrire e quando ancora forse non sapevi neanche quanto la professione infermieristica  che, all’epoca, non era ancora professione, sarebbe rimasta prevalentemente missione, invece che mestiere-professione. Noi infermieri  Le andavamo dietro, spesso senza capire ancora, e per questo siamo profondamente grati alla Presidente e Senatrice Silvestro e a tanti altri colleghi con Lei, pur non condividendone sempre il pensiero, e meno male, e lo dovrebbe essere anche Lei perché se la professione infermieristica si è evoluta, Lei, in quanto medico, ne ha sicuramente beneficiato.

Il Suo atteggiamento Minniti, e con Lei Vergallo e con Voi Amedeo Bianco, che non sente il dovere etico di  pronunciarsi nel merito, almeno, sul linguaggio utilizzato da medici come Voi, e con Voi tutti gli altri  Vostri colleghi come Voi, significa che non conoscete la storia e la sofferenza di una professione che Vi lavora a fianco e senza la quale neanche la Vostra oggi potrebbe fare ciò che fa. E se non si conosce e si rispetta quel  processo culturale e storico e chi lo ha condotto e che ha portato l’infermieristica ad essere una professione, non si può comprendere quello attuale e ciò che in esso manca. Per questo oggi siete cosi in difficoltà con Noi come classe medica e per questo non Vi crediamo quando dite che non avete nulla contro gli infermieri e la loro evoluzione professionale. Ma non lo fate per cattiveria, lo fate perché siete in crisi e vi attaccate ai vetri, per non cadere

Gli infermieri, invece conoscono bene il processo sociale e culturale che ha portato il cambiamento sullo status professionale del medico e ne hanno rispetto, io almeno, e ne sono preoccupati perché il professionalismo (per il Dott. Vergallo: il professionalismo è un insieme di istituzioni orientate al sostegno economico e all'organizzazione sociale per l'autocontrollo del lavoro. A differenza degli altri lavoratori il professionista riesce a controllare direttamente il proprio lavoro. E.Freidson, Dedalo, 2002) è decaduto, riemerso con la dominanza medica che è, a sua volta, decaduta e con essa, purtroppo per la medicina e quindi per noi tutti, il controllo delle politiche sanitarie, il controllo sui pazienti ed il controllo sulle altre professioni sanitarie.

Vi chiederete perché sono dispiaciuta, come infermiera, che il medico abbia perso il controllo anche  sulle professioni sanitarie altre? Perché, secondo me, se non c’è controllo non c’è interesse, senza interesse non c’è sguardo, senza sguardo non c’è interconnessione, senza interconnessione non c’è  il tutto ,la medicina, la complessità , la cura, l’essere malato, ma c’è la divisione, la dicotomia, il potere, la disuguaglianza, l’iniquità, la malattia, c’è la rinuncia a qualche cosa di importante. Guardando un bosco, a seconda dei punti di vista dell’osservatore si  possono cogliere gli infiniti piani di realtà che nel bosco vi sono, fino ad arrivare a vedere, se voglio, anche i folletti, o una foresta, oppure posso solo vedere qualche albero e qualche foglia.

Usciamo dal delirio, allora, e guardiamo la realtà per quella che è, senza reazione e tutto sarà chiaro e semplice. Fuori dal delirio si osserva che la capacità della medicina di difendere i propri presidi non solo non è più elevata, ma è assente, perché i suoi protagonisti hanno perso la volontà di essere capaci, a causa del disorientamento.

La medicina può contare solo su risorse di conoscenze e di prestigio che divengono però  prontamente subordinate alla ideologia dell’economicismo. Questo è pericolosissimo perché se l’elite medica non può mantenere i suoi impegni e non ha capacità di controllo su niente e l’etica professionale dipende dalle risorse disponibili, decise da altri, non medici, ma economisti, allora si è perso la via per tornare a casa.
Noi vi comprendiamo però, non sappiamo cosa provate perché la via di casa non l’abbiamo mai persa, ma sappiamo cosa significa non poter controllare le politiche sanitarie pur essendo tantissimi, sappiamo cosa significhi la de-professionalizzazione, non come perdita di qualcosa, ma come mancata conquista, perché nella clinica, di fatto, noi infermieri, siamo tutti uguali e quindi non possiamo avere il controllo sui malati neanche là dove saremmo autonomi, perché siamo responsabili si, ma  dell’assistenza infermieristica generale. Non ci riconoscono tutti i master clinici che abbiamo fatto,  con nuove tecniche ci renderanno le competenze più avanzate, ma continueranno a valutare il fabbisogno infermieristico attraverso il minutaggio e la titolarità di queste competenze continuerà ad essere del medico. Continuerà a mancarci un area di competenza avanzata di leadership, per gestire il cambiamento in sanità, per intervenire sulle dinamiche politiche, non come associazioni, collegi, istituzioni, ma come professionisti singoli, autori, agenti  nel proprio lavoro. Quei pochissimi infermieri, ancora troppo pochi, che provano ad agire quella competenza di interfaccia ,”vengono fatti fuori” dalle organizzazioni e dai loro dirigenti perché ritenuti  troppo audaci, troppo avanti dal  e nel sistema. Questo Silvestro lo sa o dovrebbe saperlo. Ovvio che sia così, ovvio che vi siano infermieri evoluti sofferenti se ancora oggi nelle competenze avanzate non vengono incluse anche capacità di relazioni di interfaccia con i governatori, gli enti locali, la comunità.

La nostra è una interfaccia sempre mediata da qualcuno che sta sopra.

Personalmente vi dico anche di non perdere troppo tempo ed energie a discutere sull’atto medico, vi ritrovereste una serie di voci in lista, ma saresti  ancora schiavi, subordinati a qualcuno e qualcosa che non vi riconosce come autori, ma come dipendenti  e ancora senza una etica professionale e quindi senza libertà.

Doveste  tornare ad essere autori (Cavicchi, 2013) dovreste tornare a fare “I dottori” ( Cosmacini, 2013) e in questo senso aiutereste anche noi infermieri e allora dico: viva l’etica professionale, viva il controllo delle politiche sanitarie da parte delle professioni sanitarie, viva il dominio della medicina dove le limitazioni dei medici e degli infermieri provengano da altri medici e da altri infermieri. Che si tranquillizzi Troise (Anaao) e con lui tutta l’intersindacale, se continuerete cosi, a torto o a ragione, non andrete lontani neanche Voi, qualche tecnica in più assegnata all’infermiere, nell’ambito della sua autonomia, renderà più abili gli infermieri, ma non vi toglierà un bel niente e soprattutto, ahimè per Voi e per Noi, non accettarle non vi restituirà l’autonomia, la libertà di agire in scienza e coscienza e non vi renderà il controllo sulle politiche sanitarie e neanche sulle professioni sanitarie.

Facciamo, invece,  “la guerra dialogica  “insieme, al sistema, ripensando, insieme, la medicina (I.Cavicchi, Ripensare la medicina, restauri, reinterpretazioni, aggiornamenti, B.Boringhieri, 2004).

Io inizierei dicendo cosi: Cari Voi, personaggi importanti del nostro mondo, qui c’è da discutere su chi siamo e su dove vogliamo andare.
Dove vogliono andare i Suoi medici, chiederei ad Amedeo Bianco; dove vogliono andare Loro vuole andare anche Lei? Silvestro l’ha detto: non vorrei, ma se volete la guerra, guerra sia.

E i medici che vogliono per loro stessi? E i sindacati che fanno? Da che parte stanno, davvero pensano che basti eliminare le invasioni di campo o presunte tali  per rivedere la loro identità e quella di chi rappresentano?  E davvero volete definire con l’atto medico i limiti  delle invasioni di campo?
E gli infermieri? Tutti vogliono la guerra fra “senza tetto”? E chi non farà la formazione complementare,  ma vorrà lo stesso avanzare le sue competenze in termini di interfaccia  come potrà avanzare le proprie competenze? E quelli che hanno agito competenze avanzate in termini di interfaccia troppo presto rispetto al dovuto, oggi  fuori dal sistema, in un processo di evoluzione delle competenze come si recuperano nel sistema avanzato?

E nel contempo, o durante la guerra cosa gli diciamo al malato sempre più esigente?
Che brutto momento, per tutti Noi,  direi Loro. Ci sono chili d’incongruità e nessun impegno serio, risolutore, lucido ,ve ne siete accorti?  ……Direi Loro.
 
 
Marcella Gostinelli
Dirigente sanitario

13 gennaio 2014
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