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Comma 566: nuove “competenze” o nuove “competizioni”?

di Maicol Carvello

28 DIC - Gentile Direttore,
“Gli operatori delle professioni sanitarie dell'area delle scienze infermieristiche e della professione sanitaria ostetrica svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva”. Pensiamo per un attimo cosa accadrebbe se queste indicazioni legislative (L. 251/2000) diventassero effettivamente realtà tra i corridoi delle unità operative: l’infermiere […] svolge con autonomia professionale attività dirette alla cura della salute individuale e collettiva.
 
Certo, diverrebbero più comprensibili le resistenze corporative. Probabilmente per diversi contesti sarebbe quasi una rivoluzione. Rimane soltanto una questione, che diviene forse il principale spunto di riflessione: che queste non sono le parole che costituiscono l’ormai famigerato Comma 566, ma rappresentano il testo della Legge 251 del lontano 2000.
 
E’ ormai ampiamente condiviso il fatto che i costanti  cambiamenti socio-culturali impongano una sempre più urgente evoluzione che coinvolga tutti i protagonisti dell’assistenza verso nuovi modelli di integrazione professionale; tuttavia, in questa direzione, ciò di cui potrebbe necessitare la professione infermieristica non è la battaglia per l’autonomia professionale (già sancita da oltre quindici anni e che dovrebbe trovare soltanto una effettiva e concreta applicazione nella pratica quotidiana), ma orientare gli sforzi verso l’acquisizione della titolarità delle azioni intellettuali e pratiche (già riconosciuta, sempre dal testo 251/2000, alle professioni sanitarie riabilitative).
 
Una reale titolarità dell’atto infermieristico, che si concretizza nel pieno potere progettuale e decisionale rispetto alle dinamiche assistenziali e nell’agire riconosciuto e riconoscibile dagli altri professionisti e dagli utenti, dovrebbe essere la vera, prossima e sostanziale conquista.
 
Un passo fondamentale, forse determinante, che non può certo essere affidato alle poche righe di un comma. Poche righe che, inoltre, non soltanto si presentano in tutta la loro “nebulosità” istituzionale (la quale apre il campoa molteplici e svariate interpretazioni), ma che essendo inserite in un documento di natura squisitamente finanziaria, la Legge di Stabilità, rischierebbero di attribuire alla manovra un sapore decisamente più economico che professionale. Pur apprezzando lo sforzo delle diverse associazioni di categoria, chiaramente motivato da ragioni di opportunità politica, occorre riconoscere che lo sviluppo di cui la professione infermieristica ha bisogno, necessita di fondamenti più solidi di quelli che un comma può garantire.
 
Una piccola riflessione, infine, sulle spesso citate “nuove competenze”. Cum-petere, dirigersi insieme verso: questa è l’origine etimologica comune delle espressioni “competenza” e “competizione”.
 
Una stessa radice che, tuttavia, si sviluppa sotto gli occhi di tutti in rami e declinazioni  profondamente diversi e, ancor di più, se si considerano i recenti e numerosi sviluppi che animano i rappresentanti delle diverse categorie professionali coinvolti nella discussione del Comma566 (medici, infermieri, tecnici, ecc). Che il contenuto del documento sia effettivamente rilevante o meno per lo sviluppo professionale rimane ancora da stabilire, ma certamente è da considerarsi degno di interesse il dibattito creatosi intorno ad esso.
 
L’enciclopedia Treccani definisce la competizione come  una “interazione tra individui di una specie o di specie diverse, provocata dalla comune esigenza di accedere a una risorsa disponibile in quantità limitata, la cui mancanza determina una diminuzione della sopravvivenza, dell’accrescimento e della riproduzione degli individui”: verrebbe da chiedersi se una definizione così biologica possa trovare applicazione anche nelle dinamiche interprofessionali.
 
Quando professionisti sanitari di diversa estrazione (individui di specie diverse), temendo una ridiscussione del proprio campo di azione (diminuzione di sopravvivenza ed accrescimento), ostentano la propria forza (interazione) per difendere autonomia, potere e controllo (risorse in quantità limitate), non potrebbe forse tale quadro rientrare a pieno titolo all’interno dei confini della competizione?
 
D’altra parte, ben diversa rimane la competenza. Al netto delle definizioni più accademiche, che la inquadrano quale “idoneità a rivestire un determinato ruolo o svolgere un compito”, sotto un profilo più globale ed etimologico potremmo considerare competenti dei professionisti in grado di dirigersi insieme verso un obiettivo comune, ovvero far convergere saperi, sforzi, conoscenze e professionalità verso un fine, il Fine del nostro operare che è (e dovrebbe rimanere) la salute complessiva dell’individuo, del suo contesto e della comunità.
 
Non possiamo ancora stabilire con certezza se la polemica di questi giorni si dimostrerà essere un buco con la discussione intorno, quello che sappiamo è che per fare in modo che il 566 da documento sulle nuove competenze non si trasformi nel testo delle nuove (o vecchie) competizioni, occorre non perdere di vista né i reali obiettivi delle singole professioni (vedi titolarità), né il fine ultimo che accomuna tutti gli operatori sanitari, la salute dei nostri pazienti.
 
“Non cerco di ballare meglio di chiunque altro. Cerco solo di ballare meglio di me stesso”, (M. Baryšnikov).
 
Dott. Maicol Carvello
Infermiere presso AUSL della Romagna

28 dicembre 2015
© Riproduzione riservata

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