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Infermieri. Se anche Google la pensa come Chersevani

di Luca Sinibaldi

17 GEN - Gentile direttore,
rispondo alla collega Marcella Gostinelli che ho sempre apprezzato non solo per la chiarezza e capacità di analisi ma per il fatto che da dirigente, con grande coraggio e precisione, porta avanti la battaglia a favore dell’infermieristica e a sfavore di quei privilegi di casta che  anche all’interno della nostra professione ingrassano gli ingranaggi dell’arcaico sistema del lavoro cui la nostra Italia sembra non sapersi affrancare, perché ben lungi dal saperlo riformare. E agganciandomi proprio all’ultima parola “riformare”, cogliendo ormai da tempo gli stimoli che Ivan Cavicchi semina a mani piene senza badare al terreno sul quale questo seme ricadrà, noto come le parole di Marcella Gostinelli siano sempre attente e rivolte anche all’aspetto relazionale.
 
Quando Cavicchi in molti dei suoi articoli e Chiara D’Angelo,  nel libro “Il riformatore e l’Infermiere” parlano di decapitalizzazione del lavoro non fanno altro che cercare di spostare l’attenzione sull’obiettivo reale che non è il lavoro stesso, il lavoro in se….il lavoro per il lavoro piuttosto, il beneficio per il lavoratore, in un circolo virtuoso in cui il lavoratore e il cittadino si identificano.
 
Decapitalizzare significa togliere al lavoratore la soddisfazione di cogliere il frutto del suo lavoro. Il lavoratore in un tomaificio ha come soddisfazione finale l’idea che la scarpa cui ha partecipato alla produzione, venga indossata comodamente dal maggior numero di persone. L’Infermiere ha come soddisfazione finale (quindi come suo benessere) il benessere della persona cui si pone “accanto” con mezzi e competenze specifiche. L’attuale sistema del lavoro, per come è concepito, toglie al battitore di tomaie e all’infermiere l’obiettivo. Ma il risultato, benché sfavorevole per entrambi, ha tutt’altra pregnanza sociale in un caso e nell’altro.
 
Nel primo caso quel lavoratore rimarrà un “semplice battitore di tomaie” e potrà essere sostituito da una macchina….che continuerà a battere tomaie anche quando la forma si sarà leggermente spostata dando origine ad un  sistematico vizio in migliaia di tomaie. Quel vizio potrebbe essere corretto da un battitore di tomaie che fosse reso un lavoratore, dalla motivazione, cioè dalla consapevolezza del raggiungimento dell’obiettivo. Il secondo lavoratore non potrà mai per definizione diventare un robot, anche se qualcuno ci sta provando seriamente da anni. Perché l’Infermiere è per definizione “l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale è responsabile dell'assistenza generale infermieristica. L'assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa.”

Non so se avete mai provato a scrivere “definizione di Infermiere” nel campo di ricerca di Google. E’ sconvolgente vedere come un certo potere (certo sta per sottolineare il paradosso di ciò che è tutt’altro che una certezza) si insinui profondamente, radichi malevolmente come ife virulente nel tessuto culturale. La discussione sul comma 566 non era nemmeno cominciata eppure…. Infermiere, in·fer·miè·re/sostantivo maschile Persona specializzata nell'assistenza ai malati in conformità alle prescrizioni mediche.
 
Sembra scritta, questa definizione di ricerca booleiana, dalla Chersevani in persona!
Ecco. Questo inciso serve a far capire con quale tipo di mostro diffuso noi infermieri ci troviamo quotidianamente a combattere: con questa sotto cultura del lavoro che stritola ogni contenuto in nome di falsi valori, quali l’ottimizzazione, il risparmio…in sintesi, come dice bene Marcella Gostinelli, la “sostenibilità” declinata al potere e agli interessi economici. Quanti di noi goderono della lettura di quelle righe di Kundera, in uno dei suoi più apprezzati romanzi “L’insostenibile leggerezza dell’essere”…una dote che, paradossalmente, le donne e gli uomini di questo tempo vanno ricercando per contrapporsi al freddo stereotipo conformista dell’efficientismo, dell’asetticità, dell’apatia. Ci troviamo quindi davanti al nuovo bisogno istituzionalizzato: LA SOSTENIBILITA’. E io, da infermiere, non posso che combatterla. La sostenibilità è un concetto assolutamente nemico per un infermiere, imponendo paletti a ciò che è possibile, decretando di fatto un margine automaticamente sempre maggiore all’impossibile! E gli infermieri, che hanno a che fare quotidianamente con mille variabili, quotidianamente combattono contro quel margine per abbatterlo, distenderlo, allungarlo…

Chi è stato in un Pronto Soccorso ed è rimasto deluso dalla confusione, l’inefficienza…avesse avuto l’impressione di vedere distesa una immensa Tela di Penelope, tessuta dagli uni, disfatta dagli altri, avrà notato anche la faccia di quegli infermieri. Disperati! Perché il loro governo (e parlo proprio del Consiglio dei Ministri, del Ministero della Salute con a capo il suo Ministro) gli stanno chiedendo di operare senza tentare di spingersi oltre quel margine che delimita il possibile dall’impossibile: siate sostenibili! Figuratevi quanto sia scandaloso allora accorgersi che anche il governo interno alla nostra professione ci chiede la stessa cosa! Un governo fatto da un Consiglio in seno alla Federazione che si fregia delle parole di Florence Nightingale (citata anche dal collega Piero Caramello)  “ L'assistenza è un'arte; e se deve essere realizzata come un'arte, richiede una devozione totale ed una dura preparazione, come per qualunque opera di pittore o scultore; con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano il tempio dello spirito di Dio.
 
È una delle Belle Arti. Anzi, la più bella delle Arti Belle.” ma poi, il nostro governo,  ci lascia a piedi per salire sul treno della “sostenibilità” avallando da anni e anni le politiche aziendalistiche, l’avanzamento di carriera per i dinosauri, piuttosto che per chi dimostri quel “saper stare accanto”, avalli chi dimostra di non saper accettare la sfida del rinnovamento che parte esattamente dal sapersi confrontare in modo aperto e scientifico con tutti. Per questo ho scritto nel mio precedente commento, oltre riguardo alla abolizione dell’Art. 49 del codice deontologico,  della necessità di indire gli Stati Generali della professione infermieristica.
 
Proprio in questo momento in cui a molti possa sembrare un gesto di debolezza identitaria, proprio in questo momento in cui venti restauratori in seno alle compagini mediche sembrano voler spazzare via il dubbio (e quindi il concetto stesso di scienza) riguardo agli spazi e gli obiettivi comuni da riempire. Perché, queste nostre riflessioni temo rimangano confinate a pochi, tra gli oltre quattrocentomila colleghi sparsi per ed oltre lo stivale. Invece credo sia fondamentale coinvolgere tutti, ma proprio tutti coniugando il vecchio spirito portante, quel lume nella lanterna che ci accompagna, con le nuove sfide tecnocratiche.
 
Luca Sinibaldi
Infermiere di Medicina Generale

17 gennaio 2016
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