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Se l’appropriatezza per decreto e i budget sempre più risicati mettono a rischio il processo diagnostico

di Ornella Mancin

27 GIU - Gentile direttore,
ringrazio il prof. Cavicchi per aver tenuto conto anche del mio modesto intervento nell’ambito dell’interessante e mi auguro proficuo dibattito che si sta tenendo nelle pagine di questo giornale sul tema, quanto mai essenziale per i medici, dell’autonomia professionale.

Ascoltare le voci che arrivano dalla trincea  è cosa assai lodevole e credo che soprattutto chi ci  rappresenta dovrebbe farlo con costanza  e generosità, pena il rischio di governare senza conoscere ,  di proporre soluzioni poco attuabili , di perdere di vista il senso della professione stessa.
Mi permetto quindi di inviare un’ulteriore riflessione sul tema.

Sono rimasta particolarmente colpita dalla discussione “sull’inutilità in medicina”.

Sembra che noi medici “prescrittori” spesso (circa in un 30% dei casi) prescriviamo esami inutili, di fatto alimentando  il “consumismo sanitario”.

I medici sono ormai abituati a essere considerati la causa di tutti i mali, pertanto l’analisi non stupisce.

Che ci sia una tendenza ad una eccessiva richiesta è indiscutibile, di fatto però i medici non ne sono la causa e non potranno esserne la cura, per lo meno non da soli.

E’ cambiato il concetto di salute e di malattia. Il progresso scientifico e tecnologico ha generato nell’uomo d’oggi  l’aspirazione illusoria alla perfetta forma fisica, alla guarigione a tutti i costi e al superamento dell’invecchiamento e in parte della morte. L’accesso alle conoscenze (vere o presunte) tramite la rete ha ulteriormente incrementato la richiesta di prestazioni per il bisogno di essere rassicurati.

Ma può il medico essere ritenuto responsabile di questo processo? Sicuramente no. Può il medico da solo respingere tutte queste richieste?
Fare il medico è un’arte, un’arte che coniuga conoscenze scientifiche, capacità relazionali e decisionali, oltre che un’attitudine a gestire il forte impatto emozionale che si crea nella relazione di cura.

Il medico è una professione difficile. Per chi opera “in trincea” si tratta di prendere decisioni complesse in tempi sempre più contingentati.

Si deve tenere conto di tanti fattori: appropriatezza dell’esame, bisogno del paziente, l’ansia che genera la mancata esecuzione di una prestazione, paura della malattia.

Quanti di noi se sentono che un amico è morto di infarto non corrono da un cardiologo per farsi visitare e rassicurare? E’ sempre un intervento appropriato?

Ma oltre a questo la medicina non è una scienza esatta e lo sappiamo bene.

Quante volte ci capitano tra le mani risultati inaspettati e inattesi? Quante volte il paziente ci ha azzeccato più di noi?

Fare diagnosi è un’arte difficile e complessa: si raccolgono più notizie possibili (anamnesi), si ricercano  segni ( esame obiettivo) si fanno delle ipotesi per le quali è necessario richiedere degli esami anche solo per escludere delle possibilità. Quando in tutto questo percorso gli esami diventano inutili? Quando sono negativi?

Mi piace il concetto di ridondanza introdotto dal prof. Cavicchi: “ In clinica ridondanza significa che spesso il medico per fare una diagnosi procede per tentativi ed errori, è costretto a correggere delle scelte , ad aggiornare le sue analisi di fronte  a dati inattesi”.

Ed è questo che in effetti succede.

Se in tutto questo percorso capita che a posteriori si scopre che qualche esame poteva essere evitato, sarà comunque il “giusto” prezzo da pagare perché riprendendo il concetto del prof Cavicchi “non è mai inappropriato ciò che concorre a fare una diagnosi corretta”.

E’ chiaro che la cosa si  applica a partire dal presupposto  ineludibile che i medici siano consapevoli e attenti del proprio operato, stiamo cioè parlando di una ridondanza “consapevole” ;  non si tratta di favorire un  uso disinvolto e ingiustificato delle risorse pubbliche.

Di sicuro però la materia non può essere risolta a tavolino a suon di decreti, perché si rischia di buttare l’acqua sporca con il bambino, ed è quanto si sta rischiando di fare.

Il decreto appropriatezza e il controllo orami sempre più serrato della spesa sanitaria che costringe il medico a lavorare con la spada di Damocle di un budget ogni anno più risicato, sta mettendo a rischio il processo diagnostico.

Di questo credo che ci si debba preoccupare, per permettere ai medici di lavorare con serenità e sentendosi di fatto tutelati.

 
Ornella Mancin
Medico di famiglia
Cavarzere (VE)

27 giugno 2016
© Riproduzione riservata

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