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Le autonomie regionali in sanità aumenteranno le disuguaglianze

di Antonio Panti

21 SET - Gentile Direttore,
ieri Cavicchi ha lanciato un grido di allarme a proposito della proposta di legge leghista che assegna alla Regione Veneto un'autonomia in materia di sanità, non si sa quanto debordante dai limiti costituzionali. Una preoccupazione condivisa da chi, come me, si occupa, nell'ambito della FNOMCeO, degli "Stati Generali della Medicina" che minacciano, in tal modo, di diventare "Stati Regionali della Medicina".
 
Infatti, se questa proposta andasse avanti, cambierebbero molte cose anche per i medici; cerchiamo di capire perché, ricordando che questo disegno si inserisce in un movimento autonomista in tema di sanità pubblica (gli accordi stipulati tra lo Stato e quattro Regioni) e che trova spazio in questa sorta di "sovranismo in salsa nostrana" che oggi trionfa.

Il mondo medico dibatte sul nuovo paradigma della scienza medica, sul mutevole rapporto tra medicina e società e discute di linee guida e di governance, forse trascurando il fatto, assai ben dimostrato, che il lavoro del medico, come di ogni altro lavoratore, dipende molto dal contesto sociale, amministrativo e organizzativo in cui si svolge. E' diverso lavorare fee for services o a capitation, in compartecipazione o in intra moenia. Spezzandosi la contrattualità nazionale avremo differenti modi di esercizio della medicina, uno per Regione. Che ne sarà del contratto nazionale, banalmente inteso come difesa sindacale? E' molto più semplice imporre condizioni stringenti a 1000 medici piuttosto che a 100.000, altrimenti perché questa avversione tutta moderna contro i sindacati (che altresì hanno fatto di tutto per meritarla)?

Ma il vero punto riguarda i valori in campo, l'universalità del diritto alla tutela della salute e l'uguaglianza dell'accesso alle prestazioni. Il codice deontologico impone ai medici di collaborare al contrasto alle disuguaglianze. Il che non può diventare un sorta di autocompiacimento morale (prescrivo a tutti lo stesso farmaco e se per qualcuno costa troppo mi dispiace tanto!), quanto un impegno di politica professionale. E' un problema per i medici il prezzo dei farmaci? I rischi ambientali si interrompono ai confini regionali?

Giustamente Ivan lamenta che questo disegno di legge sia stato proposto senza alcuna consultazione con gli organismi rappresentativi della sanità e non ripeto qui, perché sono d'accordo, le sue argomentazioni critiche. Tra l'altro, se è anche un questione di soldi e il finanziamento del fondo sanitario complessivo resta uguale, come fare per le compensazioni dato che in tal modo si manterrà il gap esistente tra regioni?

Ivan si chiede cosa dice il PD. Non spariamo sul pianista! la vera questione è che cosa può e deve dire la sinistra tutta intera oggi. Allora faccio due considerazioni.

Questa proposta aumenta le disuguaglianze. L'articolo 32 della Costituzione, a differenza di tutti gli altri articoli, è diretto agli "individui" e non ai "cittadini", tanto meno ai veneti o ai toscani. Stiamo uscendo dal quadro costituzionale?

E i medici? Prevarranno gli interessi locali o vorremo riaffermare una visione deontologica della medicina? Siamo di fronte alla stessa questione del secondo pilastro che sta sfondando nelle politiche di destra e di sinistra tra una sorta di indifferente fatalismo dei medici. Altro è lavorare per le assicurazioni altro per il SSN, anche sul piano burocratico e professionale, al di là delle idee.

Quando ero giovane mi sono battuto per coinvolgere i medici nella riforma sanitaria e non me ne pento. Al di là di ogni giustificata critica, la 833 rappresenta una grande conquista di civiltà. Ma succede come per i vaccini: la vittoria sulle malattie infettive ci fa dimenticare la prevenzione. Può succedere anche nella sanità che, nell'ansia di autarchia che è fatale in chi pensa di star meglio, si dimentica il modo di tutelarci tutti.

Antonio Panti 

21 settembre 2018
© Riproduzione riservata

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