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Il commento. In gioco i rapporti tra Stato e Regioni


15 GIU - “Le Regioni ribadiscono la disponibilità a concorrere al risanamento dei conti pubblici come finora sempre accaduto evidenziando che tale responsabilità deve essere collocata in un equilibrio dello sforzo fra i singoli comparti della Pubblica Amministrazione. Oggi così non è: per questo la manovra è irricevibile e le Regioni chiedono di cambiarla”.
Un incipit durissimo con il quale le Regioni hanno voluto aprire il loro documento sulla manovra economica del Governo ribadendo la loro netta contrarietà.
Non è la prima volta che tra i due massimi livelli di governo del Paese (Governo centrale e Regioni, per l’appunto) si apre una vertenza dura sulla materia economica. Ma certamente i toni e i passaggi del documento votato oggi all’unanimità si caratterizza tra i più duri.
Il niet delle regioni al decreto di Tremonti non si limita infatti a criticare i tagli, che comunque vengono ritenuti inaccettabili e insostenibili anche nel settore sanitario (secondo le Regioni il complesso della manovra grava su di loro per il 55% a fronte di un peso complessivo della spesa regionale sul totale della P.A. del 20%), ma si circostanzia e rafforza tirando in ballo lo stesso rispetto della Costituzione su punti nevralgici del rapporto tra Stato e Regioni.
In sostanza, secondo queste ultime, il Governo ha agito senza alcuna condivisione e senza alcun coinvolgimento del livello regionale, preposto invece alla gestione diretta di molte delle funzioni oggetto delle misure di contenimento della spesa.
Si sarebbe creata così una situazione di palese incostituzionalità con “tagli disposti unilateralmente dallo Stato” che “vanno a intaccare pesantemente il principio della necessaria corrispondenza tra le funzioni conferite e le risorse necessarie per il loro esercizio”.
E anche per questo, evidentemente, si spiega l’unanimità, dal Pdl al Pd, passando per la Lega, nel giudizio negativo di tutti i presidenti regionali. Perché pure il federalismo fiscale sembra essere messo in discussione “in quanto le risorse che servono a finanziare le competenze regionali risultano sostanzialmente azzerate, vanificando il faticoso lavoro di avvio della riforma”.
Cosa accadrà a questo punto? I Formigoni, i Cota e i Zaia, saranno in grado di convincere Berlusconi a dare il via libera a modifiche serie nel bilanciamento dei tagli come chiesto a viva voce da tutte le Regioni? E, inoltre, saranno in grado di far riorientare la stessa logica cui sembra ispirata la manovra, e cioè quella di una finanziaria di schietto stampo centralista dove alla fine è il Governo centrale che stabilisce dove, come e in che misura intervenire sul piano dei conti pubblici?
E’ presto per dirlo, ma è certo che quel voto unanime contro il decreto di Tremonti costituisce un assist formidabile nelle mani di chi, nel Governo e in Parlamento, aveva fin da subito rivendicato la necessità di modificare profondamente la manovra.
 
Cesare Fassari

15 giugno 2010
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