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Ospedali in rosso e piani di rientro. Frittelli (Federsanità): “Una sfida ancora troppo difficile se le aziende saranno lasciate sole”

di Tiziana Frittelli

Senza un attivo affiancamento di Agenas e Regioni difficilmente si potranno elaborare piani seri e realizzabili. Non dimentichiamo che le aziende, che sono in profondo rosso, anche e soprattutto perchè sprovviste di cultura gestionale, difficilmente riusciranno da sole ad elaborare i Piani. Soprattutto nei tempi ristretti previsti dalla legge

29 FEB - Sono 53 le aziende del Ssn in piano di rientro, un “potenziale eccesso” di oltre 1,8 miliardi di euro di disavanzi presunti e un risparmio minimo da raggiungere in tre anni pari ad oltre 1,4 miliardi di euro, corrispondente all’80% del suddetto deficit complessivo.
La maglia nera del deficit delle aziende, in termini di complessivo eccesso, va alla Regione Sicilia, con otto aziende in piano di rientro, seguita dalla Campania con dieci aziende e dal Lazio con sei.
 
Questi i dati contenuti nello “schema” di decreto inviato la scorsa settimana dal Ministero della Salute alle Regioni per dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 1, comma 524, lettere a) e b), della Legge di Stabilità 2016, relativamente alla previsione dei piani di rientro aziendali.
Ai sensi del comma 526 dell’articolo 1 della citata Legge di stabilità 2016, il suddetto “schema” di Decreto ministeriale costituisce il primo passo del complessivo iter, che successivamente prevede il concerto del Ministero dell’Economia e Finanze, sentita la Conferenza delle Regioni.

La formalizzazione del Decreto consentirà l’individuazione, da parte delle Regioni, degli enti in rosso, prevista, in sede di prima applicazione, entro il 31 marzo 2016; da tale individuazione scatteranno i novanta giorni per la presentazione del piano triennale di rientro da parte delle aziende, da definire in conformità con le linee guida contenute nel decreto ministeriale, nei casi in cui si ravvisi una o entrambe le seguenti condizioni del comma 524:
a)  uno scostamento tra costi rilevati dal modello di rilevazione del conto economico (CE) consuntivo e ricavi determinati come remunerazione dell’attività, ai sensi dell’articolo 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, pari o superiore al 10 per cento dei suddetti ricavi, o, in valore assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro;
b) il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, valutato secondo la metodologia prevista dal citato decreto.
 
Nel primo caso (comma 524, lettera a), il piano dovrà prevedere: analisi della situazione economico-gestionale dell’azienda negli ultimi 3 anni; definizione della strategia di rientro; predisposizione del conto economico tendenziale e programmatico; definizione degli strumenti di monitoraggio, verifica e analisi del piano, con indicatori quantitativi e qualitativi. Il “piano” aziendale dovrà tenere conto di quello regionale, in caso di regioni in piano di rientro.
 
Nel secondo caso (comma 524, lettera b), il piano di rientro aziendale dovrà prevedere la verifica della qualità dei dati registrati nei Sistemi informativi sanitari; l’analisi della situazione attraverso la conduzione di audit clinici e organizzativi, attraverso un confronto con quelli disponibili sul sito del Programma Nazionale Esiti; un programma di interventi.
In ogni azienda in piano di rientro andranno individuati centri di responsabilità (Dipartimenti e/o Unità operative complesse) e centri di costo. La Direzione strategica di ogni azienda “dovrà presentare alla Regione obiettivi chiari, definiti e circoscritti e condividere indicatori che siano comprensibili, confrontabili e fattibili con i centri di responsabilità, al fine di incentivare la produttività e la qualità della singola prestazione”. La verifica e il monitoraggio complessivo dovrà avere una cadenza trimestrale.
 
Lo “schema” di Decreto ministeriale ha una impalcatura complessa e cerca di dare le indicazioni fondamentali per la predisposizione dei piani.
 
Vediamo su cosa si basa la parte relativa allo scostamento tra costi e ricavi:
• l’analisi organizzativa richiesta alle aziende fa riferimento sostanzialmente alla contabilità analitica per centro di costo. Non c’è dubbio che essa fornisca una interessante chiave di lettura, ma limitata al primo margine operativo (costi e ricavi diretti), poiché i restanti costi aziendali, che sono sostanzialmente quelli che concernono i costi degli appalti di servizi generali (pulizia, sterilizzazione, rifiuti, lavanolo, servizi cup, archiviazioni, vigilanza, ecc), sono ribaltati attraverso driver riconducibili alle singole unità solo in via indiretta. Lo “schema” di decreto, consapevole del dato parziale fornito dalla contabilità analitica, chiede di monitorare ed esaminare nel tempo l’evoluzione della spesa per i farmaci ad alto costo e dei dispositivi in rapporto all’incidenza del costo sul valore del Drg. Per arrivare a questo, occorrerebbe l’impianto di una strutturata contabilità di processo, quasi mai presente nelle aziende, meno che mai in quelle in piano di rientro, come pure “un controllo di gestione in grado di rilevare e correlare dati di attività e fattori produttivi”. Nelle aziende in grave squilibrio non è quasi mai presente una cultura del controllo di gestione;
 
• viene richiesta la definizione degli obiettivi, interventi, azioni, attraverso il potenziamento dell’utilizzo efficiente delle risorse disponibili, il corretto dimensionamento delle unità operative, l’ottimizzazione della tipologia e quantità delle prestazioni erogate, il perseguimento dell’appropriatezza ed efficienza nell’erogazione dell’assistenza, anche il relazione al DM 70/2015, il perseguimento dell’efficienza produttiva in termini di quantità e/o prezzo dei fattori produttivi impiegati, la razionalizzazione del personale.

In altre parole, la completa reingegnerizzazione dell’organizzazione. Chiunque viva la realtà di una azienda in situazione di squilibrio sa bene che non occorre solo comprare meglio i beni sanitari, ma è necessario rivedere l’intera organizzazione. In altre parole occorre rivedere, in primis, l’organizzazione sanitaria, i modelli assistenziali e di lavoro, orientare tutte le strutture di supporto a questi obiettivi, il che tradotto vuol dire: HTA per farmaci e dispositivi, rivisitazione del parco attrezzature e, conseguentemente, delle manutenzioni, efficientamento delle strutture interne ma anche possibilità di fungere da centrali di committenza sul territorio per assicurare la continuità delle cure (si pensi alle necessità dell’assistenza domiciliare, delle lungodegenze, della riabilitazione intensiva per le dimissioni precoci); sul versante beni sanitari e non sanitari, gare e capitolati, laddove non gestiti da centrali di committenza (è da tenere presente che la recente centralizzazione degli acquisti prevista dalla stessa Legge di stabilità 2016 riguarda solo una parte delle categorie merceologiche), rivisitazione dell’organizzazione che costituisce il substrato delle attività appaltate (a titolo di esempio, per risparmiare sullo smaltimeno rifiuti non basta ottenere una buona aggiudicazione, ma serve una struttura capillare di controllo che verifichi tutto il ciclo dei rifiuti).
 
Lo “schema” di decreto, sotto il profilo della costruzione del Piano, è esaustivo, complesso, incrocia una serie di problematiche e di criticità. Ma le aziende, che sono in profondo rosso, anche e soprattutto perché sprovviste di cultura gestionale, riusciranno da sole ad elaborare i Piani? Avranno le professionalità necessarie ad individuare le criticità e predisporre “un budget economico destinato ai singoli obiettivi, con il dettaglio delle risorse umane e strumentali concordate”? L’unico ausilio previsto dallo schema è l’indicazione, da parte della Regione, di una struttura di costi benchmark in termini di incidenza costi/ricavi. Ma da qui all’individuare e governare il da farsi la strada è lunghissima.
 
Bisogna dare positivamente atto che lo “schema” di decreto prevede scaglioni di abbattimento del deficit in percentuale al disavanzo di partenza. Tuttavia, appare irrealizzabile la base minima dal primo anno, che, in realtà, si tradurrà in soli 5 mesi, visto che le aziende avranno 90 giorni per la presentazione del piano a decorrere dal 31 marzo, data di individuazione delle aziende in piano di rientro da parte delle regioni, che poi avranno altri 30 giorni per l’approvazione del piano.
In così breve tempo non sarà possibile nemmeno affidare obiettivi di budget che possano essere realizzati nel corso del 2016. La verifica, monitoraggio e analisi degli scostamenti avrà una cadenza trimestrale. Nessuna seria azione correttiva del disavanzo potrà avere efficacia prima di 18 mesi. Ma nel frattempo il Direttore generale - che senza una squadra ad hoc dovrà elaborare un piano aziendale complicato anche per la migliore delle società di consulenza specializzate nel settore - sarà incorso nella “automatica” decadenza già nel primo anno di verifica, in applicazione del comma 534.
 
Sul versante costi sono stati giustamente neutralizzati gli oneri straordinari. Tuttavia occorrerebbe una clausola che lasci alle regioni la possibilità di valutare eventuali poste ulteriori da neutralizzare che rispecchino situazioni particolari (es circa gli oneri finanziari o le svalutazioni crediti). Lo schema ha cercato coerenza anche relativamente alla voce ricavi, dove si è cercato di neutralizzare gli esiti delle politiche regionali, in una ottica di equità, sia relativamente alla remunerazione per prestazioni che a quella per funzioni. Tuttavia, rispetto ad un parametro unico per tutte le aziende in rosso, appaiono discriminate le Aziende ospedaliere universitarie, in quanto sembrerebbe non essere riconosciuto loro l’ulteriore finanziamento per la didattica e la ricerca, previsto dal D.lgs 517/99.
 
Conclusioni. Si può sicuramente affermare che lo schema di decreto ha un ampio respiro ed è stato elaborato tenendo conto di tutte le complessità e criticità di vario profilo che connotano l’attuale sistema sanitario. Lo stesso decreto, tuttavia, dà per scontata la presenza di strutturati supporti professionali per la redazione dei piani e per il loro monitoraggio, di cui, nella concretezza delle rispettive realtà organizzative, le aziende sono spesso sprovviste. Appare apoddittico, inoltre, che nella declinazione triennale degli scaglioni di abbattimento del deficit, sia data “piena” rilevanza al primo anno di competenza, il 2016, senza tenere conto delle asimmetrie temporali sopra riportate: i tempi di approvazione conclusiva del decreto, quelli per la presentazione dei piani aziendali e, infine, i tempi di approvazione di detti piani da parte delle regioni disclocano infatti a ridosso della metà del 2016 l’avvio delle manovre, rendendo oggettivamente inesigibili gli impegni programmatici profilati per l’anno in corso. Del resto, più in generale, come già in precedenza osservato, il profilo della “tempistica” sottesa al complessivo disegno normativo previsto dalla Legge di Stabilità 2016 ha rappresentato fin dalla discussione del disegno di legge  un evidente elemento di forte criticità: lo stringente vincolo legislativo riguardante la durata triennale del piano di rientro (con una serrata declinazione annuale dello stesso) è stato ritenuto da gran parte degli addetti ai lavori assolutamente ed oggettivamente insufficiente ed incongruo ai fini di avviare una realistica e percorribile azione di risanamento.
 
L’ulteriore elemento di oggettiva criticità è rappresentato, come detto, dalla circostanza che le aziende in rosso, senza un attivo affiancamento da parte di Agenas e delle Regioni (quelle in piano di rientro potrebbero utilizzare i loro advisor?), difficilmente potranno elaborare piani seri e realizzabili. E per un risparmio non inferiore a 1,4 miliardi in tre anni vale la pena che le Regioni investano, quanto meno per mettere a disposizione delle aziende in squilibrio economico qualche risorsa pregiata. Tale oggettiva esigenza, vale a dire il ragionevole sforzo, anche di profilo finanziario, di implementare fattivamente un qualificato e specifico expertise per un credibile percorso di ripiano e risanamento, è stata, del resto, tenuta ben presente dal legislatore che, in tal senso - con espresso riguardo “alle specifiche funzioni di monitoraggio, di verifica e di affiancamento” nell’attuazione dei “piani di rientro regionali” - ha previsto, al comma 537 della Legge di Stabilità 2016, una specifica linea di finanziamento a favore del Ministero della Salute.
 
Tiziana Frittelli

Vice Presidente Federsanità e Direttore Generale del Policlinico di Tor Vergata

29 febbraio 2016
© Riproduzione riservata

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