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Aids e lavoro. Quando il test viene chiesto prima della firma di un contratto


30 NOV - “Periodicamente giungono alla Lila segnalazioni da parte di persone alle quali viene richiesto il test Hiv in sede di lavoro o di ammissione allo stesso. La Lila ha sempre dato seguito alle segnalazioni, sollevando pubblicamente il problema e interpellando al proposito le istituzioni. Così è avvenuto per esempio quando ha saputo della richiesta del test a aspiranti steward e hostess da parte di Lufthansa Italia, e quando segnala che il test viene richiesto a chiunque partecipi a un qualsiasi bando del ministero della Difesa. In merito a quest'ultimo caso la Lila ha inoltre recentemente sottoposto al medesimo ministero una questione sollevata da diverse persone che già indossano la divisa: che succede al lavoratore in caso di positività al test? Si attende risposta”. Così sul sito della Lega italiana per la lotta all'Aids viene affrontato il tema della discriminazione delle persone sieropositive sul luogo di lavoro.

Una situazione grave in Italia, nonostante le leggi a tutela dei pazienti. La richiesta del test, spiegano dalla Lila, è “espressamente proibita dalla legge 135/90 (Art.6 Divieti per i datori di lavoro) oltre che dalla legislazione internazionale, per esempiodell'agenzia Onu International Labour Organization . In seguito a una sentenza della Corte Costituzionale (n.218 del 1994) due articoli della Legge sono stati cassati, ma il divieto è rimasto. La sentenza della Corte ha sollevato la questione della necessità di tutelare terzi, ma non è mai stata indicato da alcun organo istituzionale per quali mansioni il test dovrebbe essere previsto”.
 
Proprio nel corso di quest'anno, aggiungono, il Ministero della Salute ha anche prodotto un documento che vorrebbe normare l'esecuzione del test nell'ambito del lavoro: “Tutela della salute nei luoghi di lavoro: sorveglianza sanitaria - accertamenti pre-assuntivi e periodici sieropositività Hiv - condizione esclusione divieto effettuazione". “Ma anche in questo caso non viene specificato per quali specifiche mansioni potrebbe essere richiesto”, denunciano dalla Lila, aggiungendo che nel frattempo si argomenta in maniera piuttosto fumosa di legittimazione della richiesta del test "nella sussistenza di una effettiva condizione di rischio che dall'esercizio dell'attività lavorativa vi sia per i terzi un concreto e reale rischio di contagio", demandando la decisione al medico competente qualora il test vada fatto "a tutela della salute del lavoratore", e ribadendo che "non trova nessuna valida motivazione l'esecuzione del test per accertare una condizione di sieronegatività, dal momento che in ogni caso un accertamento di sieropositività non può costituire motivo di discriminazione nell'accesso al lavoro".
 

30 novembre 2013
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