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Lenvatinib contro il cancro alla tiroide. Una soluzione per chi non risponde più alla terapia standard


28 MAR - Il Lenvima (Lenvatinib) è un farmaco orfano raccomandato dall’Ema per il trattamento del cancro alla tiroide progressivo, localmente avanzato, metastatico oppure nel caso del carcinoma differenziato della tiroide (DTC), la forma tumorale tiroidea più diffusa.
 
Il cancro alla tiroide è una malattia rara che viene solitamente trattata con la chirurgia, con lo iodio radioattivo e la terapia con la tiroxina per sopprimere l’ormone tireostimolante Tsh. La maggior parte delle persone affette da questa malattia rispondono bene alle terapie standard, tuttavia, in un gruppo ristretto di pazienti, il tumore progredisce ugualmente fino a uno stadio avanzato. Proprio in questi casi, una nuova possibilità terapeutica è rappresentata dal Lenvatinib, un inibitore dell’enzima della tirosin-chinasi. Questo enzima, presente sulla superficie della cellula tumorale, è un ‘promotore’ del tumore, in quanto è coinvolto nella crescita e nella diffusione delle cellule malate.
Un altro inibitore della tirosin-chinasi, ad esempio, è il Nexavar (sorafenib), che è stato approvato dall’Unione Europea per il trattamento del carcinoma DTC nei pazienti che non rispondono più al trattamento con lo iodio radioattivo.
 
La raccomandazione odierna si fonda su un trial di fase III condotto su 392 pazienti con DTC progressivo non rispondente alla terapia con iodio radioattivo. Questi pazienti sono stati trattati con Lenvatinib oppure col placebo. I risultati hanno mostrato che il gruppo di persone trattate con il farmaco oggetto di studio aveva una sopravvivenza libera da progressione di malattia di circa 14,7 mesi superiore rispetto al gruppo cui è stato somministrato il placebo.
Nello studio, però, un’ampia porzione delle persone trattate con Lenvatinib ha dovuto ridurre o interrompere la terapia a causa di effetti collaterali (principalmente alta pressione sanguigna ed eccesso di proteine nelle urine). Tuttavia, il Comitato Chmp dell’Ema dichiara che il farmaco “ha un profilo di sicurezza che è conforme con quello di terapie analoghe e che gli effetti collaterali sono prevedibili e gestibili”. In ogni caso, lo stesso Comitato ha richiesto un ulteriore studio per approfondire qual è la dose di partenza più appropriata per ottimizzare i benefici e ridurre i rischi per i pazienti che inizieranno la terapia con questo farmaco.

28 marzo 2015
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