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Sla. Dagli Stati Uniti un passo avanti nella cura


TDP-43 è una proteina dal ruolo cruciale nello sviluppo della malattia: è necessaria alla vita cellulare, ma se i suoi livelli sono troppo alti porta alla morte dei motoneuroni e ai sintomi della Sla. Oggi un team statunitense potrebbe aver trovato nel gene Dbr1 un’opzione terapeutica. Che però non è ancora stata testata su modello animale.

30 OTT - Una nuova ricerca dei Gladstone Institute e dell’Università di Stanford potrebbe aver fatto un passo in avanti nella ricerca per il trattamento della Sclerosi laterale amiotrofica, malattia degenerativa dei motoneuroni per cui ancora non esiste cura. Gli istituti statunitensi hanno infatti pubblicato su Nature Genetics un lavoro che spiega come, modificando il gene Dbr1, si può ottenere un effetto protettivo per l’organismo dagli effetti della proteina tossica TDP-43, che gioca un ruolo importante anche nello sviluppo dei sintomi della Sla. I risultati sarebbero stati ottenuti per ora su cellule di un lievito e su quelle del cervello di alcuni topi da laboratorio.
 
“Mutazioni nel gene che produce TDP-43 possono causare accumuli di questa all’interno delle cellule. In particolare quando i livelli di questa proteina sono troppo alti all’interno dei motoneuroni questa comincia a risultare tossica: si pensa che il problema sia che questa si lega all’Rna e così facendo interferisca con le sue funzioni, portando i neuroni a non essere più in perfetta salute. Così le cellule si degradano e muoiono, contribuendo alla rapida progressione della Sla”, ha spiegato Robert V. Farese, co-autore dello studio e docente all’Università della California di San Francisco. Tuttavia, spiegano gli scienziati, colpire la proteina tout court non è un’opzione praticabile, visto che a livelli normali questa è vitale per la sopravvivenza delle cellule.
 
L’obiettivo del team di ricercatori era dunque quello di cercare altri bersagli utili per limitare i danni prodotti dalla proteina tossica. Uno di questi è stato individuato proprio nel gene Dbr1, che produce un enzima che normalmente rompe le molecole di Rna. Diminuendo il livello di questo nell’organismo, l’Rna non lavorato poteva dunque essere usato come ‘esca’, per legarsi a TDP-43, e così  lasciare che il resto degli Rna continuassero a lavorare normalmente. Per testare questo risultato, come già accennato, gli scienziati hanno usato un lievito – che hanno scoperto essere un ottimo modello per lo studio della Sla – e colture di neuroni ottenute a partire dal cervello di alcuni topi. “Usando questa sorta di ‘diversivo’ per la proteina, abbiamo osservato che le cellule rimanevano in perfetta salute”, ha spiegato Matthew Higgins, tra i primi autori dello studio.
 
Inoltre, questi risultati potrebbero essere utili non solo per la Sla, visto che livelli di tossicità causati dalla proteina TDP-43 sono stati osservati anche in alcuni tipi di demenza. Ora il punto – spiegano gli scienziati – è quello di capire quanto il gene Dbr1 possa essere manipolato per curare i pazienti senza danni. “Non sappiamo ancora se ‘spegnere’ il gene in organismi viventi possa avere ripercussioni sulla salute complessiva”, ha spiegato Aaron D. Gitler, un altro degli autori dello studio. “Dunque ora dobbiamo cominciare a sperimentare anche su modello animale vero e proprio, ad esempio identificando e testando piccole molecole capaci di inibire Dbr1. E siamo ottimisti che questo possa portare – più a lungo termine – a opzioni terapeutiche efficaci per la Sla, che ancora non vede cura”.

30 ottobre 2012
© Riproduzione riservata

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