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Fibrosi cistica. Da una "scoperta" casuale nuove possibilità di cura


Lavoravano per capire come funzionasse nello specifico un farmaco già approvato per la patologia, ma nel frattempo hanno sviluppato un metodo per analizzare sostanze capaci di interagire con diverse tipologie di questa malattia. È successo a Toronto, lo studio pubblicato su Journal of Biological Chemistry.

02 NOV - La fibrosi cistica è una malattia ereditaria che colpisce circa 70 mila persone nel mondo: a causa di un gene alterato, una proteina che normalmente regola il trasporto degli ioni nella membrana cellulare, non c’è o viene distrutta, e per questo il muco che ricopre alcuni organi diventa troppo spesso, in particolare causando difficoltà a respirare e causando infezioni. Esistono alcuni farmaci, ma non se ne conosce il funzionamento preciso. Oggi però alcuni scienziati dell’Hospital for Sick Children di Toronto hanno scoperto come agisce un medicinale già approvato per una rara forma di fibrosi cistica, dal codice VX-770 (commercializzato coi nomi di Kalydeco e Ivacaftor), forse aprendo la possibilità di studiare anche altre forme della patologia.
 
Sebbene fosse stata approvato, non era infatti chiaro come VX-770 funzionasse. Fino ad oggi si sapeva che rendeva più facile la respirazione nelle persone con fibrosi cistica causate da una particolare mutazione della proteina CFTR (cystic fibrosis transmembrane conductance regulator): questa ha bisogno di essere modificata per legarsi a una piccola altra molecola capace di fornire energia, l’adenosina trifosfato, o ATP. Ma lo studio, pubblicato come “articolo della settimana” su Journal of Biological Chemistry, ha dimostrato che il farmaco agisce sia sulle proteine CFTR normali che su quelle mutate, senza l’azione dell’ATP.
Per arrivare a questa conclusione gli scienziati hanno dovuto creare un sistema sperimentale che potrebbe avere il potenziale di scoprire altri farmaci capaci di agire sui problemi causati da mutazioni di CFTR. “Questo strumento ci servirà per studiare sostanze capaci di interagire sia con rare mutazioni come G551D, che con la più nota mutazione F508del”, ha detto Christine E. Bear, autrice dello studio. “Dunque, il nostro lavoro potrebbe aprire la strada anche ad altri tipi di ricerca”.

02 novembre 2012
© Riproduzione riservata

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