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Farmaci. Esiste una politica Europea “anti-dumping” sul commercio internazionale?

di Mauro Quattrone

C'è una notevole differenza sul costo dei farmaci tra Europa e Stati Uniti. Negli Usa prevale la logica di vendere più caro sul mercato interno e vendere più basso, per imporre il prezzo, sul mercato estero finalizzato ad una maggiore profittabilità ed a una minore logica di concorrenza. Si tratta di una politica naturale o commercialmente scorretta che danneggia i produttori europei?

16 GEN - Lo studio commissionato, nel 2012, dal Parlamento Europeo alla “Commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare” con all’oggetto la disparità dei i prezzi dei farmaci tra i differenti paesi europei, maggiormente industrializzati, aveva rilevato una differenza del 25% tra i prezzi più bassi e quelli più alti. Il paniere dello studio era composto da 150 farmaci, tra generici e brevettati, di undici paesi europei, la sommatoria dei prezzi del Regno Unito veniva egualiata a 100 (indice di raffronto) e rapportata agli altri stati membri.
Lo studio, non aveva evidenziato quale tipologia di prezzo era stato scelto per la comparazione: se prezzo di fabbrica, prezzo del grossista o prezzo al dettaglio.

Quali erano stati e quali sono i fattori che portano alla differenziazione dei prezzi tra farmaci della stessa tipologia?
Sicuramente il reddito pro capite nazionale, che è direttamente proporzionale all’aumento o diminuzione del prezzo al dettaglio del farmaco, approcci di regolamentazione Statali o Regionali sia della domanda (determinazione della percentuale rimborsata) che dell’offerta (politiche volte ad incoraggiare o scoraggiare la prescrizione di farmaci generici, ticket di partecipazione alla spesa farmaceutica, quantità di farmaci nazionali brevettati e non).
L’offerta dipende, anche, dal prezzo massimo fissato da organismi statali di un pese europeo “capofila” (attualmente la Germania), che può determinare in alto o basso il prezzo del farmaco in base alla convenienza/efficacia, principio terapeutico o brevetto.
Sicuramente la spesa farmaceutica è la terza macroarea di spesa nei finanziamenti sanitari nazionali, dopo l’ospedaliera e la mutualistica, per cui incide in modo determinante nel costo complessivo della spesa pubblica.

La cosa che mi ha particolarmente incuriosito è che comparando, lo stesso paniere, con quello degli Stati Uniti, la forbice differenziale si è impennata, arrivando a valori di 220-230 (indice 100= U.K) e questo trend è costante nel tempo.
Perché tanta differenza nei valori assoluti ed in quelli percentuali sul costo dei farmaci tra Europa e Stati Uniti?
Ho interpellato alcuni esperti Europei specializzati nel “pricing & rembursing” (danesi, belgi,tedeschi, spagnoli) proponendo a loro il medesimo quesito.

La risposta comune è stata quella che ha individuato nella metodologia Europea, compreso il Canada e l’Australia, un differente approccio d’intervento Statale se paragonato a quello degli Stati Uniti. In Europa esiste un mercato controllato sui prezzi e rimborsi, per cui il consumatore sanitario sia direttamente che indirettamente rappresenta un business per l’industria farmaceutica, la potenza cliente è superiore a quella degli Stati Uniti.

E’ naturale che diverso discorso viene fatto per farmaci sotto brevetto, qui tutti concordano, che in questo caso, l’industria farmaceutica agisce in regime di monopolio ed il consumatore sanitaro (pubblico o privato) non incide sulla determinazione del prezzo, ma subisce il costo in uno stato di necessità.
Viene evidenziata, però, l’anomalia che una volta che i brevetti o altre protezioni di esclusività del mercato stanno in scadenza o sono scadute, i fornitori americani perdono l’esclusività del pricing-power ed allora vengono determinati prezzi “crash” che talvolta cadono molto più velocemente rispetto ad altri mercati (EU) ed in particolare a quelli dove i prezzi dei generici sono controllati.
Per cui è sempre il farmaco “brand” a determinare il prezzo di mercato sia in presenza di brevetto o in assenza di esso.
Non dimentichiamo che la maggior parte della produzione nord-americana è delocalizzata in paesi terzi, mentre in territorio nazionale risiede la governance e la R&S (ricerca e sviluppo).
I nostri interlocutori obiettano, oltremodo, che circa il 55% della ricerca americana sui farmaci ricade nelle Università (fondi statali,federali e privati) mentre solamente il 6% viene effettuato nell’industria.

Interpellati esperti americani del settore “pricing & rembursing” le risposte, anche se sussurrate, sono state maggiormente eloquenti dal momento che hanno evidenziato la logica senza regole del mercato “free” o in regime di oligopolio e di violazione delle regole del commercio internazionale.
Il farmaco, specialmente se sotto brevetto, non può avere una schedulazione dei costi di produzione poiché subentra la R&S di non facile quantificazione in termini economici, in relazione ai differenti costi tra EU e Nord America prevale la politica commerciale del “dumping” per cui i maggiori costi diretti o di fabbricazione dei farmaci vengono sostenuti dai consumatori americani, mentre i minori costi indiretti di produzione vengono pagati dal consumatore europeo.

Prevale la logica di vendere più caro sul mercato interno e vendere più basso, per imporre il prezzo, sul mercato estero finalizzato ad una maggiore profittabilità ed a una minore logica di concorrenza.
E’ naturale o commercialmente scorretta questa politica che penalizza i produttori europei e la fragile industria del farmaco italiano ?
 
Mauro Quattrone 
Consulente direzionale forecasts & planning management

16 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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