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Angioplastica primaria con stent: l’infarto non fa più paura

di Edoardo Stucchi

Rispetto a 5 anni fa, dalla prima rilevazione della “rete IMA web 1”, è raddoppiato il numero dei pazienti con infarto extraospedaliero che vengono inviati ai laboratori di emodinamica per l’angioplastica, senza passare dal pronto soccorso, accorciando i tempi di intervento.

22 APR - L’infarto del cuore non fa più paura, purchè si intervenga presto e in un centro attrezzato per il trattamento principe, che oggi significa angioplastica primaria con stent. Secondo una rilevazione nazionale sullo stato di attuazione delle reti territoriali del miocardio acuto (Rete IMA web 2), il 95% della popolazione italiana è coperta dalla rete, nel senso che è a meno di un’ora da un centro multidisciplinare per le procedure salvavita di riperfusione coronarica, mediante angioplastica primaria, per la riapertura meccanica del vaso occluso. Il dato più rilevante è che rispetto a 5 anni fa, dalla prima rilevazione della “rete IMA web 1”, è raddoppiato il numero dei pazienti con infarto extraospedaliero che vengono inviati ai laboratori di emodinamica per l’angioplastica, senza passare dal pronto soccorso, accorciando i tempi di intervento. La novità messa in atto dalla Rete è proprio il salto del pronto soccorso, procedura standard per chiunque arrivi in ospedale con un’ambulanza.

Questo permette al paziente di raggiungere il luogo di trattamento entro quei 90 minuti considerati salvavita, il termine limite per essere curati senza conseguenze per la salute del cuore. “Arrivare al trattamento oltre questo limite – ha detto Sergio Berti, presidente del GISE, Gruppo italiano di studi emodinamici, di Massa – significa per il paziente rischiare una maggiore percentuale di mortalità o di avere salva la vita ma con un cuore affaticato, soggetto a scompenso cardiaco. Ogni mezz’ora in più di ritardo significa 2 morti in più ogni cento infartuati. Negli ultimi decenni la mortalità per infarto è passata dal 30% al 17% grazie all’innovativa cura con trombolisi e al 6-7% di oggi con l’angioplastica primaria. Per abbassare ancora di più questi rischi è necessario un lavoro di squadra tra chi riceve la segnalazione dell’evento, il 118, la rete ospedaliera di pronto soccorso, i reparti di cardiologia, i laboratori di emodinamica, che devono interagire tempestivamente e rapidamente fra loro”.

In poche parole, l’assistenza all’infarto miocardico viene considerata positiva, pur con margini di miglioramento, fotografata dalla Società italiana di cardiologia invasiva nel rapporto del progetto “Rete IMA web 2”, presentato ieri a Milano una mappa delle reti cardiologiche territoriali per il trattamento dell’infarto miocardico nel nostro paese, che ha raggiunto la media nazionale di 534 interventi di angioplastica per milione di abitanti, contro i 600 della media stabilita a livello europeo. Un dato importante, che però rivela una certa diseguaglianza fra centro-nord e centro-sud, tipica dell’assistenza sanitaria nel nostro Paese, ma in continuo progresso. Merito della volontà e della cooperazione fra medici del GISE che con i colleghi della Federazione italiana di cardiologia nel 2005 avevano stilato un documento di consenso sulla base degli scarni dati relativi alla riperfusione con angioplastica.

“Era chiara la necessità – ha detto Antonio Marzocchi, ideatore e promotore del progetto, dell’ospedale Malpighi di Bologna – di aumentare la terapia di riperfusione, per offrire a tutti la miglior cura disponibile, riducendo i tempi di attesa per il trattamento. Tutto questo però poteva essere reso possibile soltanto con la messa a punto di una rete territoriale che comprendesse l’esecuzione di un elettrocardiogramma sul territorio in teletrasmissione con i servizi di emergenza per la gestione ottimale del paziente. Da qui il progetto “Rete IMA web 1” per la rilevazione dello stato di attuazione dei servizi in Italia. Allora erano attive 157 strutture di emodinamica per eseguire l’angioplastica, oggi 188 con un incremento del 20%”.

Fra i dati che sono emersi, secondo la dottoressa Emanuela Piccaluga, consigliere Gise dell’ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano , il dato rilevante è che l’angioplastica primaria oggi in italia è il trattamento nel 65% dei casi, mentre nel 2008 ciò avveniva soltanto in poco più di un terzo”.
A questo progetto ha partecipato anche l’Europa, con il progetto “Stent for life”, promosso dalla società europea di cardiologia e di interventistica cardiovascolare, gestito in Italia da GISE. “In tre anni abbiamo identificato gli ostacoli all’attuazione del sistema rete – ha detto Leonardo de Luca, project leader del progetto , dell’European Aurelia hospital di Roma – e siamo intervenuti anche a livello istituzionale con le Regioni per la stesura di decreti che validassero il progetto. Del resto l’Italia, pur non essendo prima in Europa (in testa c’è la Germania), è stata la prima nazione ad eseguire l’angioplastica primaria (la Francia, ad esempio, preferisce il sistema misto con trombolisi territoriale e poi l’angioplastica) e alcune regioni sono ancora un modello per la costituzione di reti territoriali contro l’infarto”.

Ma per la salvezza del cuore anche il cittadino deve fare la sua parte ed è per questo che il GISE, in collaborazione con le associazioni di volontariato dei pazienti, Cittadinanzattiva inclusa, hanno stilato un documento con le tre regole d’oro. Prima di tutto non pensare che “a me non può capitare”. Anzi, se provi un dolore forte al torace, prolungato, a riposo, come un morso nel petto, non aspettare che ti passi e non farti nessuna autodiagnosi, ma chiedi immediatamente aiuto. L’infarto non si manifesta sempre con il più conosciuto dolore al braccio, ma può coinvolgere stomaco, spalla, collo, mandibola, schiena e scapole. Negli anziani e nei diabetici può esordire in modo subdolo, come una fame d’aria o affanno improvviso. In secondo luogo, non aspettare mai l’arrivo di un familiare, non chiedere al vicino di portarti in ospedale con un mezzo privato o con un taxi, ma cerca un’ambulanza che dispone di personale e strumenti specializzati.

Come terza regola, non aspettare l’infarto ma precedilo. Come? Non fumando, abbassando i valori di alti di colesterolo e trigliceridi, abbassare la pressione se alta, se sei diabetico, obeso o in sovrappeso, se ti muovi poco e se in famiglia hai avuto casi di infarto, cambia stile di vita. E se hai avuto un dolore al petto (angina) che ti è passato, non sottovalutarlo, è un campanello d’allarme, contatta il tuo medico o il cardiologo di fiducia.
Ma non è tutto rose e fiori. Secondo Alfredo Marchese, dell’Anthea hospital care GVM di Bari, ci sono ancora un 20% di criticità, che stiamo esaminando con l’aiuto di Cittadinanzattiva, in modo da promuovere documenti congiunti e condivisi che arrivino ai cittadini, sulla base anche delle loro indicazioni. “Occorre una task force e una collaborazione fra medici specialisti e medici di base – ha ricordato Marchese – se vogliamo che le malattie di cuore non siano più la prima causa di morte, con 120.000 vittime di infarto all’anno e un 30% di decessi, metà dei quali prima dell’ospedalizzazione”.

Un’altra speranza, nel cassetto, è la individuazione di sistemi di teletrasmissione dati sanitari via web, come succede nella città di Washington, dove basta poggiare al petto lo smartphone e colloquiare con i referenti della nostra salute. Avremo un I-phone salvavita? Le premesse dicono di sì.

Edoardo Stucchi

22 aprile 2015
© Riproduzione riservata

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