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“Il futuro è nel biotech, e l’Italia può entrare in gioco”. Intervista ad Aringhieri (Farmindustria). Che sui biosimilari dice: “Un’opportunità per la sostenibilità. Ma il medico deve poter scegliere”

di Giovanni Rodriquez

Così il presidente del Gruppo biotecnologie di Farmindustria fa il punto sul settore a conclusione dell'iniziativa "Geni a bordo" che, per il terzo anno consecutivo, ha portato le biotecnologie nelle scuole italiane. "Abbiamo provato a trasmettere ai ragazzi la nostra passione spiegando loro come ormai la scienza faccia parte della nostra quotidianità e come possa rappresentare un’ottima prospettiva di lavoro"

23 OTT - Si è conclusa lo scorso 20 ottobre “Geni a bordo”, un’iniziativa giunta ormai alla sua terza edizione ideata da Sergio Pistoi e Andrea Vico e realizzata con la collaborazione di Farmindustria. I divulgatori scientifici hanno viaggiato per quasi due settimane in camper, percorrendo circa 3.000 km, per portare nelle scuole una conferenza-spettacolo multimediale sulle biotecnologie e, più in particolare, sulla genetica. Per tracciare un bilancio dell’iniziativa e, più in generale, per fare il punto sulla situazione e sulle prospettive del biotecnolgico in Italia abbiamo intervistato il presidente del Gruppo biotecnologie di Farmindustria, Eugenio Aringhieri.

Presidente Aringhieri, si è conclusa ieri la terza edizione di “Geni a Bordo”, può tracciare un bilancio di questa iniziativa?
Il nostro obiettivo era quello di avvicinare i giovani alla scienza. Abbiamo provato a spiegare ai ragazzi come ormai la scienza faccia parte della nostra quotidianità. Non è niente di lontano da loro e, soprattutto, può rappresentare un’ottima prospettiva di lavoro. Insomma abbiamo provato a trasmettere loro la nostra passione, perché noi viviamo di ricerca e innovazione.
 
Ritiene che quest’obiettivo sia stato raggiunto?
Credo di sì. Per coinvolgere i giovani abbiamo pensato di reclutare due ‘attori’: un genetista e un giornalista scientifico. Con loro abbiamo messo in piedi un vero e proprio spettacolo che quest’anno si è concentrato sulla genetica. Abbiamo spiegato come questa abbia cambiato la storia della medicina e come, per il futuro, rappresenti ormai una speranza concreta per poter curare diverse patologie attraverso terapie e interventi sempre più personalizzati. La novità di quest’ anno è che, in questo percorso, abbiamo coinvolto anche personaggi del mondo farmindustriale che sono stati interrogati dagli stessi ragazzi. Il bilancio quindi non può che essere positivo, i giovani sono sembrati davvero molto interessati.

Allargando il discorso all’attuale situazione del settore, a suo parere quali sono le prospettive per i farmaci biotecnologici in Italia?
Su questo punto sono molto positivo. Credo moltissimo alle biotecnologie e sono convinto che qui si possano trovare soluzioni a quelle domande della medicina rimaste ancora aperte. Dovendo sintetizzare il mio pensiero in una frase direi che il futuro è biotech. È qui che l’Occidente può e deve trovare un valore strategico fondamentale: la ripresa economica deve passare dalla capacità di innovare. Proprio questa capacità può essere un driver importante per il Paese.

Pensa dunque che anche l’Italia abbia le carte in regola per diventare protagonista in termini di innovazione?
Credo proprio di sì. L’Italia può giocare la sua partita. Diciamo che abbiamo tutti gli ‘ingredienti’ giusti per poterlo fare: un’industria che ha voglia di rischiare, una comunità scientifica di alto livello e delle Istituzioni attente. La nostra industria è ormai una realtà. Stessa cosa possiamo dire per la comunità scientifica, in diverse discipline l’Italia è ai vertici mondiali, pensiamo ad esempio all’oncologia o alle malattie rare. Forse il settore più ‘critico’ è quello delle Istituzioni che dovrebbero accogliere l’innovazione come un valore più che come un costo. Ma, anche in questo caso, devo dire che nell’ultimo periodo stiamo osservando dei comportamenti confortanti che ci fanno ben sperare per il futuro. Anche l’Italia sta iniziando a far sistema come Paese in tema di innovazione.

Un’ultima domanda, come valuta i farmaci biosimilari? Per lei rappresentano un’opportunità o un rischio?
Faccio una premessa: l’innovazione deve sempre andare di pari passo con la sostenibilità. Quindi il biosimilare, se usato in maniera appropriata, può essere senza dubbio un’importante opportunità per ottenere risparmi da reinvestire in innovazione. Tengo però a sottolineare che vanno usati in maniera appropriata. Per intenderci, se diventano un modo solo per far cassa non va bene. L’importante è che la centralità della scelta resti sempre nelle mani del medico prescrittore. 
 
Giovanni Rodriquez

23 ottobre 2015
© Riproduzione riservata

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