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Scompenso cardiaco acuto: un position paper dell’ESC per individuare i pazienti da ricoverare e quelli che possono essere mandati a casa dal pronto soccorso

di Maria Rita Montebelli

Un gruppo di studio della Società Europea di Cardiologia (ESC) ha pubblicato un position paper per i medici di pronto soccorso e i cardiologi. Una guida preziosa per una patologia dalla prevalenza sempre più elevata, che rappresenta una frequente causa di accesso al pronto soccorso

23 FEB - Lo scompenso cardiaco rappresenta un problema di salute pubblica sempre più rilevante, oltre che una frequente causa di accesso al pronto soccorso. A soffrire di questa condizione, che ogni anno causa oltre un milione di ricoveri nel vecchio continente,  sono 15 milioni di europei e 5,7 milioni di americani. l’80% di questi ricoveri viene fatto attraverso il pronto soccorso; per questo i medici urgentisti giocano un ruolo di primo piano nella gestione di questi pazienti. La diagnosi precoce è fondamentale per iniziare rapidamente un trattamento, ma il sintomo di presentazione più frequente dello scompenso cardiaco acuto, la dispnea, rientra in una vasta diagnosi differenziale, nella quale il medico di pronto soccorso si può districare con successo ricorrendo alla combinazione classica di storia clinica, esame obiettivo, elettrocardiogramma, radiografia del torace e analisi di laboratorio, comprendenti l’NT-proBNP, da affiancare eventualmente con un ecocardiogramma al letto del paziente.
 
Una volta trattato e stabilizzato il paziente durante la permanenza in pronto soccorso o in osservazione breve, una delle decisioni più delicate che si trova a prendere il medico è quella di individuare quali pazienti possono essere rinviati a casa in sicurezza e quali invece meritano un ricovero. Una decisione che viene presa considerando una serie di elementi, quali naturalmente la gravità delle condizioni di base del paziente e quella dell’episodio di acuzie che lo ha condotto in pronto soccorso.

European Heart Journal –Acute Cardiovascular Care pubblica sull’argomento ‘dimissione in sicurezza dal pronto soccorso di un paziente con scompenso cardiaco acuto’ un position paper firmato dall’Acute Cardiovascular Care Association della Società Europea di Cardiologia.
 
Lo scompenso cardiaco acuto comporta un rischio di mortalità superiore a quello dell’infarto, ma il trattamento di questa condizione è sostanzialmente lo stesso di 30 anni fa.
“Solo metà dei pazienti dimessi con una diagnosi di scompenso cardiaco acuto sono ancora vivi a tre anni, anche se al momento della dimissione stavano bene – ricorda il professor Christian Mueller, presidente del Gruppo di Studio ‘Scompenso Cardiaco Acuto’ dell’Acute Cardiovascular Care Association (ACCA) della Società Europea di Cardiologia (ESC) – Nonostante la gravità di questa condizione non ci sono algoritmi standard di trattamento, cosa che è stata invece fatta in Europa già trent’anni fa per l’infarto”.
Il position paper pubblicato oggi rappresenta dunque il primo passo per riguadagnare il tempo perduto rispetto a quanto è stato fatto con l’infarto del miocardio e per arrivare a stabilire standard di trattamento simili anche per lo scompenso cardiaco.
 
“Nella maggior parte dei pazienti – prosegue Mueller – lo scompenso cardiaco non può essere guarito; possiamo trattare con successo le riacutizzazioni della dispnea con vasodilatatori o diuretici e rimuovere i liquidi che si accumulano nei polmoni. Ma la malattia progressiva sottostante permane e i pazienti hanno bisogno di essere inquadrati in un follow up di lungo termine per assicurare che continuino ad assumere i farmaci corretti nel giusto dosaggio”.
 
Il documento appena pubblicato si focalizza sulla decisione cruciale che si trova a prendere l’urgentista di fronte ad ogni paziente con scompenso cardiaco acuto: mandarlo a casa e seguirlo in ambulatorio o ricoverarlo. Non esistendo linee guida al riguardo e in epoca di medicina difensiva, quasi sempre si decide di ricoverare il paziente.
 
“Ma l’ospedale - prosegue Mueller – non sempre è il posto migliore dove curare un paziente con una patologia in fase acuta. Durante il ricovero, i pazienti con scompenso cardiaco acuto, che hanno in media 78 anni, rischiano di prendersi infezioni e di avere seri problemi a dormire. Di certo beneficiano di un follow up più intensivo durante il ricovero”.
 
Nel position paper gli esperti del gruppo di studio ACCA-ESC delineano i criteri che dovrebbero aiutare i medici a selezionare i pazienti che possono essere rimandati a casa in sicurezza dal pronto soccorso; un nuovo algoritmo indica l’ordine delle decisioni da prendere e quali punti considerare ad ogni step.
 
Idealmente – scrivono gli autori – durante il periodo di osservazione sarebbe bene effettuare una stratificazione del rischio, utilizzando dei parametri specificamente individuati per l’uso in un dipartimento di emergenza. Non viene purtroppo in aiuto la letteratura scientifica, visto che le pubblicazioni sull’argomento non sono numerose. A maggior ragione è necessario trovare una definizione oggettiva e affidabile delle caratteristiche di ‘basso rischio’ che consentano di individuare i pazienti che possono essere rimandati da casa dopo essere stati stabilizzati in pronto soccorso, senza passare per un ricovero.
Non aiuta neppure il dosaggio dei biomarcatori, preziosi nel fare diagnosi e nel definire una prognosi di lungo termine, ma ancora non validati per poter guidare la decisione dei medici di pronto soccorso tra dimissione e ricovero.
 
Gli autori del documento suggeriscono tuttavia alcuni dei criteri da utilizzare, insieme all’insostituibile giudizio clinico, per considerare la possibilità di dimettere direttamente dal pronto soccorso un paziente con scompenso cardiaco acuto: sostanziale miglioramento soggettivo clinico; frequenza respiratoria < 25/min; saturazione d’ossigeno basale > 90% (non richiede l’ossigenoterapia domiciliare); pressione sistolica > 90 mmHg; frequenza cardiaca a riposo < 100 bpm; diuresi adeguata (definita come > 50 ml/ora o > 0,75 ml/Kg/ora. Idealmente nelle prime 24 ore, se il paziente rimane in osservazione, la diuresi dovrebbe essere superiore a 1.500 ml); aritmia controllata (fibrillazione atriale con un rate control accettabile); assenza di dolore toracico; normale funzionalità renale (o moderato peggioramento della funzione renale); nessun aumento della troponina nel corso delle 12-24 ore di osservazione; possibilità di un adeguato follow up.
 
Viene ribadita l’importanza del follow up di lungo termine, sia nei pazienti immediatamente dimessi che in quelli ricoverati; un lavoro questo che richiede la collaborazione di medico di famiglia, cardiologo e altri specialisti.
“Lo scompenso cardiaco acuto - afferma Mueller - non può chiaramente essere trattato in modo soddisfacente durante le 24 ore di permanenza di pronto soccorso; un adeguato follow up è sempre necessario e dovrebbe essere compito del medico di pronto soccorso o fissare il primo appuntamento di follow up o assicurarsi che questo comunque accada. I pazienti dovrebbero quindi essere rivalutati dal medico di famiglia entro 48 ore per adeguare il numero di farmaci e il loro dosaggio, valutare i segni vitali, la pressione arteriosa, gli elettroliti e la funzionalità renale”.
 
“Questo documento - conclude Mueller – mira a dare il calcio d’avvio ad un processo di collaborazione tra medici di pronto soccorso e cardiologi per applicare o per apportare aggiustamenti a questo algoritmo, così che funzioni anche a livello locale. Il percorso del paziente e le decisioni sul luogo del trattamento varieranno a seconda delle politiche di rimborso e della logistica.
Speriamo che questa guida aiuti a migliorare la gestione dei pazienti con scompenso cardiaco acuto e a fare dei passi in avanti per migliorare la loro prognosi”.
 
Maria Rita Montebelli

23 febbraio 2016
© Riproduzione riservata

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