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E se l’aterosclerosi venisse (anche) dalla pancia? A finire sotto ‘accusa’ un microbiota intestinale

di Maria Rita Montebelli

Gli ultimi studi aprono un nuovo fronte di ‘responsibilità’ dei miliardi di ospiti che popolano il nostro intestino. Un microbiota particolare, selezionato da una dieta ricca di uova e carne, potrebbe provocare un eccesso di attivazione piastrinica e dunque favorire le trombosi. L’osservazione sperimentale è per ora fatta sui topi, ma ‘in natura’ è possibile rintracciare questo fenotipo anche nei soggetti obesi e con insulino-resistenza. 

25 GIU - A guidare la triste classifica della mortalità sono in tutto il mondo le malattie cardiovascolari aterotrombotiche e i vari meccanismi che ‘innescano’ il problema convergono tutti inevitabilmente nell’attivazione dell’aggregazione piastrinica e nella generazione di un trombo all’interno di un’arteria.
Un articolo appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, attira l’attenzione su un altro fronte di ‘innesco’, per molti aspetti inedito e ancora appannaggio della ricerca di base, più che della clinica.
Protagonista è ancora una volta il microbiota intestinale, già chiamato in causa per patologie sistemiche (fenotipi cardiometabolici dell’aterosclerosi, obesità e diabete di tipo 2).
 
“Alcune sostanze nutritive  come la fosfatidilcolina, la colina, la carnitina – scrive Herbert Tilg, dipartimento di medicina interna dell’Università di Innsbruck (Austria) – vengono processate dal microbiota intestinale per produrre trimetilamina (TMA) che, assorbita dall’intestino, viene convertita nel fegato in TMA-N-ossido (TMAO) dalle monossigenasi contenti flavina (FMO)”.
I TMAO hanno un effetto favorente l’aterosclerosi, promuovendo l’accumulo di macrofagi carichi di colesterolo e la formazione delle foamcell, che entrambi danno un contributo importante allo sviluppo delle placche vulnerabili.
 
Nell’uomo, il consumo di cibi quali carne e uova è stato associato ad un aumento dei livelli di TMAO, a loro volta correlati con un aumentato rischio di eventi cardiovascolari maggiori nei pazienti coronaropatici. La somministrazione di antibiotici riduce in maniera importante le concentrazioni plasmatiche di TMAO, che poi risalgono alla sospensione dei farmaci. Anche questo dimostra l’importanza del microbiota nella produzione dei TMAO.
 
Un recente lavoro di Zhu pubblicato su Cell ha evidenziato che i livelli plasmatici di TMAO nell’uomo correlano con il rischio di trombosi. A livelli fisiologici, in presenza di shear stress, i TMAO aumentano l’attivazione piastrinica. Esponendo inoltre le piastrine a livelli crescenti di TMAO, si assiste al rilascio di calcio dai depositi intracellulari, fenomeno questo che facilita l’attivazione piastrinica da parte di una serie di agonisti.
 
Somministrando ai topi un eccesso di colina con la dieta, i TMAO prodotti dal microbiota aumentano la responsività delle piastrine, promuovendo un fenotipo di tipo protrombotico. Un fenomeno che può essere prevenuto somministrando prima antibiotici e che non si osserva somministrando la colina a topi germ-free.
 
Zhu e colleghi hanno individuato 9 specie batteriche associate ai livelli plasmatici di TMAO e 15 specie correlate in maniera significativa al rischio di trombosi nei topi. Gli stessi autori hanno dimostrato che il trapianto fecale effettuato nei topi germ-free, ‘contagia’ a questi animali un aumentato rischio di trombosi che, almeno nei topi, è dunque un tratto trasmissibile.
Non è però ancora mai stato individuato un recettore per i TMAO.
 
Tilg ritiene dunque che questi studi, oltre ad aver rivelato un inedito rapporto tra dieta, microbiota, attivazione piastrinica e rischio di trombosi, apriranno la strada ad un filone di ricerca del tutto nuovo e a possibili nuovi trattamenti per la prevenzione delle patologie aterosclerotiche. E’ infatti già noto che il 3,3-dimetil-1-butanolo inibisce la formazione dei TMA da parte del microbiota, riducendo così i livelli plasmatici di TMAO e proteggendo dall’aterosclerosi facilitata dalla colina dietetica.
 
Altri autori hanno evidenziato che i livelli di FMO3 risultano elevati nei soggetti obesi con insulino-resistenza e nei topi maschi obesi con insulino-resistenza. Il knockdown di FMO3 nei topi previene iperglicemia, iperlipidemia e aterosclerosi.
FMO3 sembra dunque essere l’interruttore centrale del metabolismo epatico di colesterolo e potrebbe rappresentare un futuro target per interventi farmacologici.

Prima di elaborare approcci terapeutici anti-TMAO tuttavia - ammonisce l’autore – è necessario stabilire se oltre a dieta e microbiota ci siano altri fattori in grado di influenzare questo sistema. Inoltre la colina è un nutriente critico per molte funzioni cellulari, dunque è necessario appurare, attraverso studi clinici, che una sua riduzione nella dieta non provochi danni.
 
Maria Rita Montebelli

25 giugno 2016
© Riproduzione riservata

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