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Il trapianto di neuroni cura l'obesità (ed altre malattie)


Uno studio pubblicato su Science apre la strada a nuove straordinarie possibilità terapeutiche per obesità, malattie neurodegenerative e lesioni della spina dorsale. Il segreto? Trapiantare dei semplici neuroni, ma a uno stadio precoce di sviluppo.

28 NOV - Talvolta piccole parti del nostro organismo possono controllare moltissime funzioni vitali. È il caso, ad esempio, dell'ipotalamo, una piccola struttura nel cervello che regola fame, temperatura corporea, comportamenti di base come stimolo sessuale e rabbia e anche il metabolismo. Un disordine nell'ipotalamo, tra le altre cose, può quindi provocare un eccessivo peso corporeo e portare all'obesità. Un gruppo di ricerca dell'Università di Harvard in collaborazione con il Massachusetts General Hospital ha dimostrato, in una ricerca apparsa su Science, che un trapianto di neuroni potrebbe riuscire a riparare i circuiti del cervello che portano a questo tipo di disfunzioni. Aprendo probabilmente la strada per trattamenti terapeutici per molte altre malattie.
Se i soggetti obesi non riescono a rispondere alla leptina – ormone che regola metabolismo e peso corporeo – per via di un disordine del sistema nervoso, allora forse il problema potrebbe essere risolto con un trapianto di neuroni embrionali. Questa è stata l'intuizione di alcuni ricercatori statunitensi, che in futuro potrebbe portare non solo alla cura dell'obesità, ma anche di altre condizioni come autismo, epilessia, sclerosi laterale amiotrofica, morbo di Parkinson, malattia di Huntington e lesioni della spina dorsale. Gli scienziati hanno per ora ottenuto successi su topi obesi, riuscendo a ristabilire una corretta funzionalità metabolica.
Per verificare che l'intuizione fosse giusta, i ricercatori hanno trapiantato e studiato lo sviluppo e l'integrazione di neuroni ad uno stadio molto precoce di differenziazione, inseriti all'interno dell'ipotalamo di topi obesi. Per posizionare le cellule nel cervello nella punto esatto, i biologi hanno usato una tecnica chiamata microscopia ad ultrasuoni ad alta definizione. Successivamente hanno condotto una analisi elettrofisiologica dei neuroni trapiantati e di come essi interagissero con il sistema nervoso. Osservando così non solo che queste cellule riuscivano a sopravvivere al trapianto, ma che queste si sviluppavano correttamente sia dal punto di vista strutturale, che molecolare che elettrofisiologico nei quattro tipi di neuroni necessari per una giusta risposta alla leptina. Le cellule cerebrali così ottenute inoltre interagivano correttamente non solo con questo ormone, ma anche con insulina e glucosio. 
 
I risultati ricavati con questo metodo sono stati sorprendenti. Le cavie trattate con il trapianto di neuroni presentavano un aumento di peso che arrivava ad essere minore addirittura del 30% rispetto ai topi nel gruppo di controllo, o a quelli curati con altre tecniche.
Stupiti della scoperta, i ricercatori hanno cercato allora di vederci chiaro e hanno cercato di capire in che modo i nuovi neuroni interagissero con gli altri già presenti nel cervello dei topi. Per fare questo hanno analizzato le cellule a livello molecolare, osservato i circuiti neurali con microscopi elettronici, addirittura controllato il comportamento del singolo neurone o di coppie di essi tramite una particolare tecnica dell'elettrofisiologia chiamata patch clamp. Il team ha così scoperto che i nuovi neuroni una volta trapiantati sviluppavano delle normali sinapsi, tramite le quali inviare e ricevere informazioni. “Abbiamo osservato che le cellule embrionali erano collegate alle altre con una precisione leggermente minore rispetto agli altri neuroni”, ha spiegato Jeffrey Flier, rettore della Harvard Medical School, che ha partecipato alla ricerca. “Ma questo non sembrava essere rilevante per il loro funzionamento. In un certo senso era come se queste cellule fossero minuscole antenne, che una volta accese hanno immediatamente captato il segnale della leptina. In particolare siamo rimasti veramente colpiti dalla capacità di un numero relativamente ristretto di neuroni di riparare i circuiti del cervello che fino a poco prima sembravano danneggiati in maniera irrecuperabile.”
Ma questa non è l'unica cosa che rende questa ricerca straordinaria. “La scoperta che queste cellule embrionali possano integrarsi in maniera così efficiente con il cervello ospite, ci rende ottimisti rispetto all'uso di tecniche simili per trattare altri problemi del sistema nervoso, a livello sia fisico che psichiatrico”, ha spiegato Matthew Anderson, docente di patologia sempre alla Harvard Medical School. 
“Lo step successivo è chiedersi se potremo curare alla stessa maniera altre parti del cervello e del sistema nervoso – ha concluso Jeffrey Macklis, anche lui docente alla Harvard University – ad esempio quelle che riguardano malattie come la Sla, o condizioni come chi ha subito forti danni alla spina dorsale. Vuol dire che potremo ricostruire tutti i circuiti neurali danneggiati? Sospetto di sì.”
 
Laura Berardi


28 novembre 2011
© Riproduzione riservata

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