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Coronavirus: l’uso di cortisonici e il caso dei pazienti con insufficienza surrenalica. A colloquio con il professor Andrea Lenzi


Si hanno ancora poche certezze sull'uso di cortisonici nei pazienti affetti da Covid-19. Si tratta di farmaci con azione immunosoppressiva e quindi, sopratutto nelle prime fasi dell'infezione, rischiano di favorire la replicazione virale, limitando l'immunità innata. D'altra parte sono dei noti antinfiammatori e potrebbero contribuire a contrastare l'iperinfiammazione che si osserva nei pazienti gravi. I pazienti affetti da insufficienza surrenalica in questo contesto rappresentano un caso a parte, poiché sono costretti ad assumere cortisonici a vita. Ce ne parla Andrea Lenzi, professore ordinario di Endocrinologia all’Università La Sapienza di Roma.

29 APR - Ormai lo sappiamo: le manifestazioni cliniche e la progressione dell’infezione da Covid-19 variano notevolmente tra un paziente e l’altro, dalle forme asintomatiche a forme gravi. La sindrome respiratoria acuta grave, osservata in alcuni pazienti a diversi giorni dall’inizio dell'infezione sembra non essere esclusivamente correlata alla replicazione virale, ma anche ad un’eccessiva risposta immunitaria dell’ospite. Di solito la risposta del sistema immunitario al virus, che ha inizio con l’immunità innata, ha sì il compito di eliminare l’agente patogeno ma, se fosse controllata, dovrebbe farlo danneggiando al minimo i polmoni.

Se però la replicazione virale non viene limitata, viene rilasciata un’enorme quantità di citochine - la cosiddetta "tempesta citochinica" - con conseguente iperinfiammazione e immunosoppressione. I pazienti affetti da Covid-19, infatti, nella fase avanzata mostrano una riduzione dei linfociti, in particolare linfociti B, T CD4+ (regolatori) e T CD8+ (citotossici), oltre che delle cellule Natural Killer CD16+.
 
L’azione del virus e l’eccessiva risposta immunitaria portano ad un’alterazione della coagulazione e all’infiammazione vascolare che ad oggi vengono riconosciute tra le principali cause di morte per i pazienti gravi. In questi casi è importante valutare con attenzione l’uso dei cortisonici perché possono agire sul sistema immunitario sia in senso positivo che negativo, come spiega Andrea Lenzi, professore ordinario di Endocrinologia all’Università La Sapienza di Roma.

Professor Lenzi, per quale motivo si parla molto di cortisonici nel Covid-19?
I cortisonici sono tradizionalmente associati alla soppressione immunitaria. Il loro utilizzo è stato sconsigliato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) all’inizio della pandemia, proprio per il timore che potessero favorire la replicazione virale limitando la prima linea di difesa, l'immunità innata, quella più sensibile ai cortisonici. Per questo non sono inseriti nell’armamentario di terapie di prima linea contro Covid-19, anche se alcuni studi clinici sono in corso.

I pazienti affetti da insufficienza surrenalica in questo contesto rappresentano un caso a parte, poiché sono costretti ad assumere cortisonici a vita. Cosa bisogna fare in questi casi di fronte ad un infezione da Covid?
Noi endocrinologi studiamo da anni il sistema immunitario nei pazienti con insufficienza surrenalica, costretti a prendere cortisonici a vita, oppure nei pazienti che hanno un eccesso endogeno di cortisolo, e sappiamo bene che i cortisonici possono avere sia effetti stimolanti che inibitori sulla risposta immunitaria in base al timing della loro somministrazione e alle dosi somministrate.
In caso di infezione, se usati in modo corretto, i cortisonici potrebbero favorire la risposta del sistema immunitario. Vanno somministrati prima a dosaggi medio-bassi (in quantità doppia rispetto a quanto si farebbe in assenza dell’infezione) e in modo circadiano, poi, se necessario, a dosaggi sempre più elevati al fine di ridurre l’iper-infiammazione nella patologia Covid-19.
Ci sono poi dei pazienti affetti da insufficienza surrenalica relativa, che quindi, in condizioni critiche, come un’infezione, non riescono a produrre quell’aumento di corticosteroidi richiesto dal forte stress. Di certo i cortisonici vanno utilizzati con attenzione e devono sempre essere prescritti dal medico a causa degli effetti collaterali (ad esempio, possono aumentare il rischio di trombosi) e del fatto che, sotto corticosteroidi, è difficile identificare i sintomi di alcune condizioni (per esempio potrebbero nascondere i sintomi dell’infezione stessa o altri sintomi come quelli vascolari).

Sulla rivista della Società Italiana di Endocrinologia, Journal of Endocrinological Investigation, abbiamo pubblicato di recente un aggiornamento sull’uso dei cortisonici nei pazienti con insufficienza surrenalica e, su Lancet Diabetes and Endocrinology, una Correspondance che può essere di aiuto a capire come fare quando i pazienti con insufficienza surrenalica presentano un’infezione da Sars-Cov-2. Quello che possiamo affermare con certezza  è che sia opportuno seguire una strategia di personalizzazione dell’uso dei glucocorticoidi in caso di stress Covid-19, senza trascurare l’idratazione e la profilassi tromboembolica. In questi casi è l’insieme delle conoscenze sulla fisiopatologia della risposta immunitaria, lo stadio  e l’evoluzione della infezione e le complicanze sistemiche a dettare il  protocollo terapeutico del singolo caso.

29 aprile 2020
© Riproduzione riservata

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